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Responsabilità contribuente: commercialista infedele

Un contribuente si oppone a delle cartelle esattoriali, attribuendo la colpa di dichiarazioni errate al proprio commercialista. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21742/2024, ha chiarito che la responsabilità del contribuente non è esclusa automaticamente. Per ottenere l’annullamento delle sanzioni, il contribuente deve fornire prova rigorosa di aver vigilato sull’operato del professionista e che la frode non era facilmente riconoscibile. La Corte ha inoltre cassato la sentenza d’appello per motivazione contraddittoria, rinviando il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazione fraudolenta del commercialista: quando la responsabilità del contribuente è esclusa?

La gestione degli adempimenti fiscali è un compito complesso, spesso affidato a professionisti del settore. Ma cosa succede se il commercialista incaricato agisce in modo fraudolento? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21742 del 1° agosto 2024, ha fornito importanti chiarimenti sui limiti della responsabilità contribuente in questi casi, sottolineando il rigoroso onere della prova che grava su chi si dichiara vittima di una truffa.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla notifica di quattro cartelle esattoriali a un contribuente, emesse a seguito di un controllo automatizzato sulle sue dichiarazioni IRPEF, IRAP e IVA per gli anni 2007 e 2008. Il contribuente ha impugnato gli atti, sostenendo di essere stato vittima del proprio commercialista, il quale, a sua insaputa, avrebbe predisposto e presentato al Fisco dichiarazioni mendaci, utilizzando fatture false per operazioni inesistenti. A riprova della sua buona fede, il contribuente aveva sporto denuncia contro il professionista.

Il giudice di primo grado aveva parzialmente accolto le ragioni del contribuente, annullando le sanzioni e individuando nel commercialista l’unico responsabile. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale, in sede di appello, aveva ribaltato la decisione, confermando la legittimità delle cartelle esattoriali e accogliendo il gravame dell’Amministrazione Finanziaria.

Analisi dei motivi di ricorso e la Responsabilità del Contribuente

Giunto dinanzi alla Corte di Cassazione, il contribuente ha lamentato, tra le altre cose, la violazione della norma che prevede la non punibilità quando il mancato pagamento del tributo derivi da un fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi (art. 6, comma 3, D.Lgs. 472/1997).

La Suprema Corte ha rigettato questo motivo, chiarendo che per beneficiare di tale esimente non è sufficiente una generica denuncia. La responsabilità contribuente non viene meno se non si fornisce una prova specifica e dettagliata che dimostri:

1. L’attività di vigilanza e controllo esercitata sull’operato del professionista.
2. Il comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento.
3. La difficile riconoscibilità della frode da parte del mandante, ad esempio attraverso la consegna di falsi modelli F24 o ricevute di trasmissione telematica apparentemente autentiche.

Nel caso specifico, le allegazioni del contribuente sono state ritenute troppo generiche e prive del necessario supporto probatorio, rendendo inapplicabile la causa di non punibilità.

La Motivazione Contraddittoria della Sentenza d’Appello

Se il ricorso principale del contribuente è stato respinto, quello incidentale dell’Agenzia delle Entrate ha invece trovato accoglimento. L’Amministrazione Finanziaria ha lamentato la grave anomalia motivazionale della sentenza d’appello.

I giudici regionali, infatti, erano incorsi in una palese contraddizione: da un lato, avevano affermato che le cartelle esattoriali erano legittime e andavano confermate; dall’altro, in un passaggio immediatamente precedente, avevano disposto che l’Ufficio dovesse comunque procedere alla “verifica di quanto lamentato” dal contribuente riguardo a una presunta duplicazione dell’imposta IRAP per un’annualità. In pratica, il giudice d’appello, pur confermando l’atto, delegava all’Agenzia un’attività di accertamento che sarebbe spettata al giudice stesso.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che la condotta del contribuente che si affida a un commercialista non può essere esente da un dovere di diligenza e vigilanza. La semplice denuncia penale non basta a trasferire automaticamente la responsabilità fiscale. Il contribuente deve dimostrare attivamente di aver fatto tutto il possibile per assicurarsi del corretto operato del professionista e di essere stato ingannato con espedienti difficilmente rilevabili.

Sul piano processuale, la Corte ha sancito un principio fondamentale: la motivazione di una sentenza deve essere logica, coerente e non può contenere affermazioni inconciliabili. Ordinare all’Amministrazione Finanziaria di compiere una verifica su un punto controverso, dopo aver integralmente confermato gli atti impugnati, costituisce una violazione del “minimo costituzionale” della motivazione. Un simile comando giudiziario contrasta insanabilmente con la decisione finale, rendendo la sentenza nulla per questa parte.

Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce la solidità del principio della responsabilità contribuente anche quando gli adempimenti sono delegati a terzi. La fiducia riposta in un professionista non esonera da un dovere di controllo. Per liberarsi da obbligazioni tributarie e sanzioni derivanti da una condotta fraudolenta altrui, è necessario fornire una prova rigorosa e circostanziata della propria estraneità e della diligenza impiegata. La decisione sottolinea inoltre l’importanza della coerenza logica delle sentenze, censurando le motivazioni contraddittorie che demandano alle parti compiti di accertamento propri del giudice. Per questi motivi, la sentenza d’appello è stata cassata con rinvio a un’altra sezione della Corte di giustizia tributaria, che dovrà riesaminare la questione attenendosi ai principi enunciati.

Quando un contribuente può evitare la responsabilità per le dichiarazioni fraudolente del proprio commercialista?
Un contribuente può essere esonerato da sanzioni solo se dimostra che il mancato pagamento del tributo è dovuto a un fatto denunciato all’autorità giudiziaria ed esclusivamente attribuibile al professionista. Ciò richiede la prova di aver esercitato un’effettiva attività di vigilanza e controllo e che la frode (ad esempio, tramite falsi documenti di pagamento) non era facilmente riconoscibile.

È sufficiente denunciare il commercialista per essere esonerato da imposte e sanzioni?
No, la sola denuncia penale non è sufficiente. Secondo la Corte, il contribuente deve fornire prove concrete e specifiche, come dimostrare che le dichiarazioni presentate riportavano redditi diversi da quelli reali o che gli sono state consegnate false ricevute di pagamento (es. modelli F24 falsificati) che apparivano genuine. Le semplici e generiche affermazioni non bastano.

Cosa accade se la motivazione di una sentenza è internamente contraddittoria?
Se una sentenza contiene affermazioni tra loro inconciliabili, come confermare delle cartelle esattoriali e allo stesso tempo ordinare all’Agenzia delle Entrate di verificare le lamentele del contribuente, essa viola il ‘minimo costituzionale’ della motivazione. In tal caso, la Corte di Cassazione può annullare la decisione e rinviare la causa a un altro giudice per un nuovo esame che fornisca una motivazione coerente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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