Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21945 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 21945 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 11261/2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione.
(pec:EMAIL).
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO.
– controricorrente –
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore ;
-intimata- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, n. 7642/15/2021, depositata in data 25 ottobre 2021, non notificata; udita la relazione della causa udita svolta nella pubblica udienza del 23 aprile 2024, dal Consigliere NOME COGNOME; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito per l’RAGIONE_SOCIALE controricorrente l’AVV_NOTAIO che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria provinciale di Napoli, con sentenza n. 7965/20, aveva rigettato il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la cartella di pagamento, relativa a IVA e IRES per l’anno d’imposta 2014, emessa in seguito ad un controllo automatizzato, effettuato ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 602 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, con revoca della rateizzazione concessa per il pagamento RAGIONE_SOCIALE imposte per il mancato pagamento della rata n. 5.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello della società contribuente, per quanto rileva in questa sede, sulla base RAGIONE_SOCIALE seguenti considerazioni:
-) era infondato il primo motivo sul difetto di motivazione della sentenza di primo grado, perché il motivo era estremamente generico ed ai limiti della inammissibilità e perché le contestazioni della società appellante, circa la mancata corrispondenza tra somme iscritte a ruolo e i dati emergenti dalla dichiarazione, erano smentite dal dato che la
società contribuente ben conosceva, avendola ricevuta, la comunicazione di irregolarità, e infatti aveva chiesto e ottenuto la rateizzazione, né poteva prospettarsi il doppio recupero della eccedenza di credito di cui si doleva l’appellante, ma alla stregua di considerazioni meramente apodittiche, ovvero in presenza del dato incontrovertibile che la stessa aveva accettato la pretesa dell’amministrazione anche nel quantum, sicché le doglianze mosse erano inammissibili;
-) nel caso in esame, non era applicabile l’art. 15 ter, comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1973, come novellato dall’art. 3 del decreto legislativo n. 159 del 2015, in vigore dal 22 ottobre 2015 e norma, ratione temporis, non applicabile, né retroattiva;
-) la società appellante non aveva offerto alcun elemento utile sulla dedotta riferibilità RAGIONE_SOCIALE irregolarità contestate al commercialista cui la società stessa si era rivolta, responsabile di gravi violazioni fiscali e non poteva ritenersi sufficiente la circostanza che il commercialista fosse stato denunciato per truffa (non essendo, peraltro, intervenuta sentenza penale di condanna), né tale circostanza valeva ad esonerare la società contribuente da responsabilità, dovendo la stessa provare di aver comunque vigilato sull’opera del professionista infedele;
-) infine, anche in assenza di uno specifico motivo di appello, le sanzioni e gli interessi apparivano correttamente quantificati.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per difetto di motivazione e,
in subordine, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio. La Commissione tributaria regionale aveva ritenuto immune da vizi la sentenza di primo grado, non avendo indicato l’ iter logico argomentativo e i presupposti fondanti la decisione. Al contrario, l’appello aveva censurato specificamente il contenuto della sentenza di primo grado, laddove il giudice si riferiva ad un presunto difetto di prova nel caso di liquidazione automatizzata. Il giudice aveva omesso di valutare le ragioni sostenute e le pretese avanzate, nonché le prove addotte e le argomentazioni spiegate, qualificandole sbrigativamente come astratte considerazioni, senza tener conto che con esse, invece, si contestava, in concreto la erroneità della iscrizione a ruolo (per il fatto che le liquidazioni periodiche Iva dovevano porsi a confronto con la dichiarazione annuale; che tra le somme iscritte figurava una eccedenza a credito già accertata; che la liquidazione dell’RAGIONE_SOCIALE non era in linea con i dati emergenti dalla dichiarazione).
Senza trascurare la apodittica e sibillina considerazione per cui il vizio di motivazione, rilevato in secondo grado, non poteva mai risolversi in nullità della sentenza medesima, affermazione questa, non sorretta da ragioni giuridiche e perciò, ancora una volta, sintomatica di una omessa motivazione. In disparte il fatto che la comunicazione di irregolarità non era atto autonomamente impugnabile e che eventuali vizi sulle somme iscritte a ruolo potevano farsi valere esclusivamente nei confronti della cartella, la società RAGIONE_SOCIALE aveva insistito sulla circostanza che l’avviso cd. bonario n. 46831781516 era una ulteriore prova della negligenza del professionista depositario RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, con la conseguenza che nessuna implicita accettazione del debito poteva desumersi dal pagamento rateizzato della comunicazione anzidetta, che era stata ricevuta dalla società in data 22 febbraio 2017, allorquando non erano ancora emersi i comportamenti fraudolenti del professionista.
1.1 Premessa l’inammissibilità del motivo, formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione RAGIONE_SOCIALE doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto, il motivo è infondato.
1.2 Ed invero, i giudici di secondo grado (sul presupposto, pure evidenziato, che la cartella di pagamento impugnata era stata emessa a seguito dell’iscrizione a ruolo conseguente alla decadenza dal beneficio della rateazione per il mancato pagamento della quinta rata e che alla base vi era stato un controllo automatizzato effettuato ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 602 del 1973 e dell’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972) hanno così motivato sulla prima censura proposta dalla società contribuente in fase di gravame, con la quale era stata dedotta la nullità della sentenza per carenza e erroneità della motivazione, in riferimento agli artt. 132 cod. proc. civ. e 36 del decreto legislativo n. 564 del 1992: « Il motivo è estremamente generico, effettivamente ai limiti della inammissibilità (cf.r le difese dell’ADER), in quanto si risolve ampiamente in astratte considerazioni
giuridiche ovvero in deduzioni in fatto (ampiamente riproduttive di quanto già dedotto in primo grado) svincolate, sostanzialmente, dalla sentenza impugnata (a parte il rilievo che il vizio di motivazione, rilevato in secondo grado, non potrebbe mai risolversi in nullità della sentenza medesima). In realtà le contestazioni dell’appellante , circa la mancata corrispondenza tra somme iscritte a ruolo e dati emergenti dalla dichiarazione, sono smentite dal semplice dato che la società contribuente ben conosceva, avendola ricevuta, la comunicazione di irregolarità, e infatti -null’altro obiettando -aveva chiesto e ottenuto la rateizzazione. Né, beninteso, può prospettarsi il doppio recupero della eccedenza di credito di cui si duole l’appellante, ma alla stregua di considerazioni meramente apodittiche. Detto in altri termini, ad onta di quanto dedotto dall’appellante circa le eccedenze di credito, vi è il dato incontrovertibile che la stessa aveva accettato la pretesa dell’amministrazione anche nel quantum, sicché le doglianze ora mosse sono inammissibili ».
1.3 Risulta, pertanto, evidente che la decisione impugnata assolve in misura adeguata al requisito di contenuto richiesto dalle disposizioni di legge di cui il ricorso lamenta la violazione, attesa l’esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto e di diritto della decisione, sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione
1.4 In proposito, va osservato, con la giurisprudenza di questa Corte, che l’obbligo motivazionale deve ritenersi compiutamente adempiuto allorché per mezzo della concisa esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto e di diritto della decisione venga ad essere illustrato il percorso motivazionale che ha indotto il giudice a regolare la fattispecie al suo esame mediante la norma di diritto applicata e che, di contro, viene meno all’obbligo in parola – e si mostra perciò viziata dal difetto di motivazione apparente o di mancanza della motivazione – la decisione nella quale « il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo
ragionamento » (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105).
1.5 Più specificamente in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la «motivazione apparente» ricorre allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881).
1.6 Questa Corte, poi, con orientamento condiviso, ha affermato che la sentenza d’appello può essere motivata per relationem , purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, RAGIONE_SOCIALE ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità RAGIONE_SOCIALE questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (cfr. Cass., 2 agosto 2022, n. 23997, in motivazione, Cass., 3 febbraio 2021, n. 2397; Cass., 5 agosto 2019, n. 20883; Cass., 5 novembre 2018, n. 28139;
1.7 Così delineati i principi statuiti da questa Corte, la censura svolta dal motivo non appare fondata, dal momento che dalla lettura della sentenza impugnata risultano chiaramente esposte, anche se in forma concisa, le ragioni della decisione.
1.8 Peraltro, sullo specifico rilievo della « apodittica e sibillina considerazione per cui il vizio di motivazione, rilevato in secondo grado, non potrebbe mai risolversi in nullità della sentenza medesima », deve precisarsi che anche nel processo tributario, al pari del rito ordinario, il vizio di omessa motivazione comporta la necessità, per il giudice
d’appello che dichiari il vizio, di porvi rimedio, trattenendo la causa e decidendola nel merito, senza che a ciò osti il principio del doppio grado di giurisdizione, che è privo di rilevanza costituzionale (Cass., 30 agosto 2006, n. 18824 e, più di recente, Cass., 12 dicembre 2018, n. 32126), così dovendosi spiegare la corretta statuizione dei giudici di secondo grado, secondo cui il vizio di motivazione, rilevato in secondo grado, non si potrebbe mai risolvere in un nullità della sentenza impugnata e, dunque, anche sotto questo profilo è priva di interesse la censura della società ricorrente riferita all’omesso esame della doglianza formulata davanti al giudice di appello, concernente il difetto di motivazione della sentenza resa di primo grado, dovendo comunque il giudice del gravame pronunciare – quando siano stati formulati i relativi motivi, come nel caso che ci occupa – anche sul merito RAGIONE_SOCIALE questioni che siano state ritualmente sottoposte al suo esame.
1.9 In ultimo, rileva un ulteriore profilo di inammissibilità in ordine alla censura sollevata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ( sull’omessa valutazione RAGIONE_SOCIALE ragioni sostenute e RAGIONE_SOCIALE pretese avanzate, nonché RAGIONE_SOCIALE prove addotte e RAGIONE_SOCIALE argomentazioni esposte sulla erroneità della iscrizione a ruolo ), in costanza del principio della cd. doppia conforme ex art. 348 ter cod. proc. civ. (Cass., 18 dicembre 2014, n. 26860; Cass., 11 maggio 2018, n. 11439), nonché in quanto « la giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai consolidata (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. Un., 18 aprile 2018, n. 9558; Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2018, n. 33679) nell’affermare che il novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa
sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento RAGIONE_SOCIALE prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma » (Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 23 agosto 2023, n. 25124).
2. Il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 15 ter del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all’art. 3 del decreto legislativo n. 472 del 1997. La Commissione tributaria regionale aveva fatto un improprio riferimento al 3 comma dell’art. 15 ter del d.P.R. n. 602 del 1973 (lieve inadempimento ai fini della revoca della rateizzazione), non avvedendosi del fatto di aver richiamato principi normativi non aderenti al caso in esame. Trattandosi specificatamente dell’irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni in misura non piena, ma con ragguaglio all’ammontare RAGIONE_SOCIALE rate non versate, non aveva pregio e difettava di adeguata motivazione quanto statuito nel capo conclusivo della sentenza per cui non essendovi specifico motivo di appello al riguardo le sanzioni e gli interessi apparivano correttamente quantificati in sentenza.
2.1 Il motivo è inammissibile.
2.2 Come questa Corte ha precisato, il ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza, deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso
con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass., 15 luglio 2015, n. 14784; Cass., 27 luglio 2017, n. 18679; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34469).
2.3 Con riguardo, poi, al tema di specificità dei motivi di ricorso, questa Corte, da ultimo, ha avuto occasione di precisare che « Ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno RAGIONE_SOCIALE censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito » ( Cass., Sez. U., 18 marzo 2022, n. 8950).
2.4 Dunque, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, deve ritenersi apprezzato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali (cfr. Cass., 19 aprile 2022, n. 12481) e non può, invece, ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso faccia rinvio agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte senza riassumerne il contenuto al fine di soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione, fondato sull’idoneità del contenuto RAGIONE_SOCIALE censure a consentire la decisione (cfr. Cass., 1 marzo 2022, n. 6769). 2.5 Ciò posto, la società ricorrente non ha ottemperato a tali oneri, come era, invece, necessario, anche alla luce della sentenza impugnata, laddove, a pag. 1, afferma che « Con altro motivo l’appellante
assume l’applicabilità dell’art. 15 ter, comma 3, d.p.r. 602/73 come novellato dall’art. 3 d.lgs 15915 » ed anche alla luce di quanto si legge a pag. 2 del ricorso per cassazione nella parte dedicato al processo di primo grado « Avverso la cartella 2014 il contribuente ha proposto il ricorso notificato il 26/11/2019 ed iscritto sub R.G. n. 16110/2019 con il quale ha contestato, quanto alle imposte, la erroneità della iscrizione a ruolo, che non trovava corrispondenza con i dati indicati in dichiarazione e quanto alle sanzioni, la eccessività RAGIONE_SOCIALE stesse, poiché applicate in misura piena su tutto l’importo dovuto e non solo su quello non versato nei termini », oltre che della mancata trascrizione dell’intero contenuto del motivo di appello, ed è, dunque, evidente che, alla luce dei principi richiamati, la censura in disamina si rileva priva della necessaria compiutezza atta ad assicurarne l’autosufficienza, in tal modo precludendo alla Corte di potere attingere il contenuto della censura dalla diretta lettura del ricorso.
2.6 L’osservanza del principio di autosufficienza avrebbe imposto, nel caso in esame, l’onere per la società ricorrente di trascrivere integralmente il motivo del ricorso introduttivo di primo grado riguardante le sanzioni e il correlato motivo dell’atto di appello, oltre che la statuizione su punto dei giudici di primo grado, il cui contenuto costituisce l’imprescindibile termine di riferimento per l’esame della censura sollevata e la mancata trascrizione, nell’odierno ricorso, RAGIONE_SOCIALE specifico contenuto di tali atti impedisce, allora, la necessaria verifica dell’astratta idoneità del motivo di ricorso ad incrinare il fondamento logico giuridico RAGIONE_SOCIALE argomentazioni che sorreggono la decisione impugnata.
Il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 423 del 1995 e dell’art. 6 del decreto legislativo n. 472 del 1997. La pronuncia impugnata violava le norme in epigrafe per i motivi già proposti nelle fasi di merito (riprodotti alle pagine 9 e 10 del ricorso per cassazione) alla luce dei quali la decisione della Commissione
tributaria regionale sul punto meritava di essere cassata, con l’ulteriore precisazione che, l’amministratore della società RAGIONE_SOCIALE, con sentenza del Tribunale di Nola, n. 1360/2021, depositata il 17 giugno 2021, divenuta irrevocabile in data 8 luglio 2021, era stato assolto dal delitto di cui all’art 10 quater del decreto legislativo n. 74/2000 (indebite compensazioni con crediti inesistenti) per non aver commesso il fatto, risultando dagli elementi posti a fondamento del processo e, per quanto qui interessa, dalla versione difensiva e dagli elementi di riscontro forniti dalla società, che sarebbe stato il COGNOME, commercialista fin dal 2005 della società RAGIONE_SOCIALE, tenutario RAGIONE_SOCIALE scritture contabili ed investito della gestione fiscale della società ad aver indotto quest’ultima in errore circa la sussistenza di crediti in compensazione.
3.1 Il motivo è infondato.
3.2 In disparte, il difetto di autosufficienza della censura, laddove la società contribuente non ha trascritto l’intero contenuto della sentenza del Tribunale di Nola n. 1360 del 17 giugno 2021, deve ricordarsi che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che « In tema di sanzioni tributarie, l’art. 6, comma 3, del d.lgs n. 472 del 1997, prevede una causa RAGIONE_SOCIALE di non punibilità dei contribuenti per omesso versamento di tributi addebitabile al fatto del professionista incaricato della redazione della denuncia dei redditi, rispetto alla quale l’art. 1 della legge n. 423 del 1995 introduce una disciplina di carattere speciale in relazione alla sospensione della riscossione RAGIONE_SOCIALE soprattasse e RAGIONE_SOCIALE pene pecuniarie, qualora la violazione consegua alla condotta illecita, penalmente rilevante, del predetto professionista, di talché non solo in fase di riscossione, ma anche in sede contenziosa, il contribuente può andare esente da sanzione ove dimostri di aver fornito al professionista incaricato la provvista di quanto dovuto all’Erario e di avere vigilato sul puntuale adempimento del mandato conferito » (Cass., Sez. U., 18 ottobre 2021, n. 28640).
3.3 Ciò posto e più specificamente, avuto riguardo alla responsabilità del professionista incaricato degli adempimenti tributari, questa Corte, con un orientamento consolidato, ha precisato che « In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’esimente di cui all’art. 6, comma 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997 si applica in caso di inadempimento al pagamento di un tributo imputabile esclusivamente ad un soggetto terzo, purché il contribuente abbia adempiuto all’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria e non abbia tenuto una condotta colpevole ai sensi dell’art. 5, comma 1, del detto decreto, nemmeno sotto il profilo della culpa in vigilando. Ne consegue che l’applicabilità di detta esimente deve essere esclusa laddove, pur in presenza di denuncia all’autorità giudiziaria del fatto imputabile al terzo, il contribuente non dia anche prova in ordine all’assolvimento a monte dell’obbligo di vigilanza sul puntuale e corretto adempimento del mandato da parte dell’intermediario » (Cass., 5 dicembre 2022, n. 35612) e che « Il contribuente, in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi attribuibile al professionista “infedele”, deve fornire la prova, non solo dell ‘ attività di vigilanza e controllo in concreto esercitata sull’operato di questi, facendosi anche consegnare le ricevute telematiche dell’avvenuta presentazione della dichiarazione, ma anche del comportamento fraudolento del professionista, finalizzato proprio a mascherare il proprio inadempimento all’incarico ricevuto, quindi anche mediante falsificazione di modelli F 24 di pagamento RAGIONE_SOCIALE imposte o RAGIONE_SOCIALE ricevute di ricezione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni telematiche o attraverso altre modalità di difficile riconoscibilità da parte del mandante » ( Cass. 20 luglio 2018, n. 19422; Cass., 11 aprile 2018, n. 8914; Cass., 17 marzo 2017, n. 6930; Cass., 9 giugno 2016, n. 11832; Cass., 18 dicembre 2015, n. 25580).
3.4 Il contribuente, dunque, non assolve agli obblighi tributari con il mero affidamento ad un commercialista del mandato a trasmettere in via telematica la dichiarazione alla competente RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, essendo egli sempre tenuto a vigilare, affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto, sicché la sua responsabilità è esclusa solo se viene provato un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento (Cass., 9 giugno 2016, n. 11832).
3.5 Ciò posto, la Commissione tributaria regionale si è attenuta ai suindicati principi, in quanto ha accertato, con una verifica in fatto non censurabile in sede di legittimità, che la società contribuente non aveva dimostrato, in concreto, la condotta fraudolenta del commercialista, al di là della denuncia penale operata nei suoi confronti (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) e che, dunque, non aveva indicato elementi concreti da cui desumere che il comportamento del professionista fosse stato fraudolento ed idoneo ad impedire alla società contribuente di vigilare sulla corretta esecuzione dell’incarico .
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 23 aprile 2024.