Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7948 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 7948 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27066/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
NOME , elettivamente domiciliato in ROMA LARGO INDIRIZZO TORRE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. BOLOGNA n. 561/2018 depositata il 19/02/2018.
Udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica del 26 marzo 2024;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Uditi l’avv. dello Stato NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv. NOME COGNOME per il controricorrente.
FATTI DI CAUSA
La controversia attiene all’atto di contestazione THQCO3A00597, per l’anno 2009, emesso, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 472/97, nei confronti di NOME COGNOME in qualità di commercialista della RAGIONE_SOCIALE e coautore delle violazioni già contestate alla società (in forza degli avvisi THB03CE01504 e THQ013A00665) in concorso con NOME COGNOME quale amministratore di fatto di quest’ultima e interponente ex art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/73.
L’atto di contestazione traeva origine da una verifica a carico della società, esercente attività di ‘Lavori di meccanica generale’, che si chiudeva con PVC del 27.2.2015 dal quale emergeva un sistema di frodi ad opera del COGNOME, in concorso con COGNOME NOME, che comprendeva: contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e compensazione di imposte e contributi previdenziali avvalendosi di crediti IVA inesistenti; utilizzo dello schermo societario e di soggetti prestanome per l’esercizio dell’attività di impresa da parte del COGNOME, coadiuvato dal COGNOME; fusione per incorporazione di RAGIONE_SOCIALE nella società di diritto statunitense RAGIONE_SOCIALE al fine di cancellare la società dal registro delle imprese e limitare la responsabilità di COGNOME e COGNOME.
Avverso l’atto di contestazione delle sanzioni, NOME COGNOME proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Ravenna che, con sentenza n. 60/02/2017, lo rigettava.
La Commissione tributaria regionale (CTR) dell’Emilia -Romagna, con sentenza n. 561/11/2018, depositata il 19 febbraio 2018, ha accolto l’appello del contribuente.
La CTR ha osservato che mancava la prova dell’assunzione da parte del commercialista COGNOME di un ruolo attivo nella gestione dell’impresa e di una corresponsabilità negli illeciti tributari contestati; in particolare, dagli atti risultava che il COGNOME avesse svolto una incarico professionale, seguendo gli incombenti fiscali e curando gli aspetti legati alla contabilità sociale, ma non emergeva alcuna ingerenza nell’attività gestionale della società o una attività di consulenza in relazione agli illeciti fiscali; non vi erano elementi oggettivi e concreti che potessero indurre nel Papaleo la consapevolezza dell’avvenuto utilizzo da parte di FAR di fatture per operazioni inesistenti né risultava il suo coinvolgimento nelle indebite compensazioni di crediti IVA con debiti INPS e premi INAIL; gli elementi indiziari sui quali si fondavano le contestazioni dell’Ufficio – dichiarazioni di NOME COGNOME (dipendente della società che curava l’amministrazione e i rapporti con il personale) e documentazione acquisita in sede di indagini di PG presso il Credito di Romagna -afferivano esclusivamente alla partecipazione di COGNOME all’operazione di fusione della FAR con la società americana e al trasferimento della sede all’estero, costituenti di per sé operazioni astrattamente legittime; in ogni caso, il COGNOME aveva comunicato il proprio recesso dall’incarico professionale i n data 28.9.2009, anteriormente alla delibera di fusione adottata il 10.3.2010; ugualmente irrilevante appariva la documentazione acquisita presso il Credito di Romagna.
Inoltre, la CTR osservava che gli atti di contestazione erano erronei in quanto contrari all’art. 7 del d.l. n. 269/2003, perché le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società con personalità giuridica ricadono esclusivamente a carico della persona giuridica, tranne nel caso in cui questa sia una mera
fictio creata nell’esclusivo interesse della persona fisica, circostanza che, nel caso di specie, non era stata provata, non essendo emersi elementi a sostegno della tesi prospettata dall’Ufficio circa la natura simulata di RAGIONE_SOCIALE (rappresentando quest’ultima « una realtà societaria effettivamente operativa ») e il perseguimento di un interesse personale del COGNOME, amministratore di fatto e non titolare dell’impresa individuale , e del commercialista COGNOME non risultando neppure che costui avesse conseguito alcun vantaggio economico dagli illeciti fiscali ascritti alla RAGIONE_SOCIALE
Avverso la suddetta sentenza, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste con controricorso il contribuente.
8.Con ordinanza interlocutoria n. 20150 del 2024 si è disposto rinvio per la trattazione congiunta con quelle RG n. 27121/2018, RG n. 27064/2018 e RG n. 128/2023.
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 7 del d.l. n. 269/2003, 5, 9 e 11 del d.lgs. n. 472/97, 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/73 essenzialmente sotto due profili: da un lato, la CTR aveva erroneamente ritenuto che la deroga all’art. 7 del d.l. n. 269/2003 richiede la dimostrazione che la società sia stata costituita artificiosamente ovvero sia una mera fictio , confondendo così la ‘società interposta’ con la ‘società non operativa’ perché l’interposizione di cui all’art. 37 comma 3 cit. può essere tanto fittizia quanto reale ; d’altro lato, erroneamente la CTR aveva affermato che la limitazione della responsabilità per le sanzioni tributarie alla sola persona giuridica cui è riferibile il rapporto fiscale, prevista dall’art. 7 del d.l. n. 269/2003, esclude il concorso
di persone previsto dall’art. 9 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e disciplinato dai principi generali in tema di concorso di persone nell’illecito che non richiedono la prova del vantaggio economico conseguito dal concorrente.
Il motivo, pienamente ammissibile in quanto incentrato su questioni di diritto, è fondato.
Va chiarito che nel caso in discussione l’Ufficio aveva contestato a NOME COGNOME, commercialista di RAGIONE_SOCIALE, il concorso c.d. esterno -ex art. 9 del d.lgs. n. 472/1997 -nelle violazioni tributarie ascrivibili a NOME COGNOME in qualità di interponente ex art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/73 e amministratore di fatto della società interposta RAGIONE_SOCIALE La CTR, invece, ha accertato l’operatività della RAGIONE_SOCIALE, « quale realtà societaria effettivamente operativa che gestiva concretamente le relazioni commerciali con i propri clienti e fornitori erogando prestazioni e servizi per mezzo del proprio personale »; pertanto, il COGNOME era « l’amministratore di fatto della società, anziché il titolare dell’impresa individuale» e non poteva escludersi l’ applicazione del l’art. 7 del d.l. n. 269/2003 stante la non configurabilità dell’ipotesi derogatoria della creazione della persona giuridica come mera fictio nell’interesse esclusivo della persona fisica, autrice della violazione. Inoltre, secondo il Giudice d’appello, la responsabilità del concorrente per le sanzioni amministrative tributarie ex art. 9 d.lgs. n. 472/1997 è incompatibile con l’art. 7 d.l. n. 269/2009, cosicché la responsabilità del concorrente extraneus (in generale, il consulente o professionista al servizio della società) può ricorrere soltanto ove sia operativa la deroga all’art. 7 cit. nei confronti dell’ intraneus (l’amministratore) e, quindi, nei casi in cui costui abbia utilizzato la società come schermo o paravento per il perseguimento di interessi propri; in ogni caso, è necessario il conseguimento da parte del concorrente di un « vantaggio economico » ulteriore rispetto al
« proprio compenso professionale come commercialista della società », che non era stato provato.
Quanto alla prima questione va rammentato che il sistema sanzionatorio tributario di cui al decreto legislativo n. 473 del 1997 è caratterizzato, in ossequio ai principi di matrice penalistica e alla volontà di allineare il sistema sanzionatorio tributario alla disciplina generale sulle sanzioni amministrative di cui alla legge n. 689 del 1981, dalla «personalizzazione» della sanzione, rivolta a punire l’effettivo autore dell’illecito. Il decreto-legge n. 269 del 2003 ha mitigato la portata del principio di personalità con la previsione della responsabilità esclusiva degli enti dotati di personalità giuridica che traggono beneficio dal compimento della violazione del precetto fiscale (art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003 recante « Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici »). Mentre il legislatore del 1997 ha individuato quale soggetto responsabile per la sanzione amministrativa l’autore della violazione, l’art. 7, cit. ha modificato tale disciplina, prevedendo che « le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica », così ridimensionando il principio della personalità (art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 47 del 1997) secondo cui è la trasgressione materiale del precetto fiscale a innescare la reazione punitiva dell’ordinamento (e non il diretto beneficio ottenuto dal contribuente). Si legge specificamente nella relazione illustrativa al disegno della legge di conversione del decreto-legge n. 269 del 2003 (n. 2518-Senato) che « L’art. 7 introduce il principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie. L’articolo introduce disposizioni innovative rispetto al sistema sanzionatorio delineato dal D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. In deroga al principio della riferibilità della sanzione alla persona fisica, di cui all’art. 2, comma
2, del D.Lgs. n.472/ 1997 e al principio di solidarietà, di cui all’art. 11 dello stesso Decreto legislativo, si prevede la responsabilità esclusiva della persona giuridica per la sanzione amministrativa allorché questa sia relativa al rapporto fiscale della stessa persona giuridica. In tal caso, quindi, è obbligato a sopportare l’onere della sanzione un soggetto diverso da quello che ha commesso l’illecito ».
4.1. Secondo orientamento consolidato di questa Corte, peraltro, l’applicazione dell’art. 7, d.l. n. 269/2003 presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica, poiché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico (società dotata di personalità giuridica) quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore; viceversa, qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, viene meno la ratio che giustifica l’applicazione dell’art. 7, d.lgs. n. 269 del 2003 e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (Cass. n. 12334 del 2019; Cass. n. 29038 del 2021; Cass., n. 10651 del 2022; Cass. n. 36037 del 2021; Cass. n. 25757 del 2020; Cass. n. 10975 del 2019).
4.2. Va precisato, inoltre, che la valutazione del perseguimento di un interesse diverso da quello societario e l’utilizzo strumentale della società per perseguire scopi personali o, comunque, diversi da quelli societari non richiede la dimostrazione che la società sia una mera fictio ovvero uno schema formale privo
di risorse personali e/o reali e di operatività; si esclude, infatti, la configurabilità dell’istituto della simulazione in tema di società (v. Cass. n. 23231 del 2022) e si riconosce la deroga all’art. 7 cit. nella fattispecie di cui all’art. 37 comma 3 cit., che non distingue tra interposizione fittizia e reale ma richiede la prova, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, della gestione uti dominus dell’impresa e delle sue risorse finanziarie e dell’effettivo possesso del reddito del soggetto interposto (Cass. n. 23231 del 2022; Cass. n. 5276 del 2021; Cass. n. 11055 del 2021). Ricorrendo tale fattispecie, quindi, delle sanzioni formalmente ascrivibili all’ente collettivo interposto risponde anche la persona fisica interponente, in deroga alla previsione dell’art. 7 cit.
4.3. Come precisato nella sentenza n. 33457 del 2023, la fattispecie di cui all’art. 37 comma 3 cit. , secondo cui « In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona », mira a riallineare l’attività svolta da un altro soggetto sull’effettivo percettore dei redditi. La norma prevede che l’Ufficio possa utilizzare elementi indiziari, dotati di pregnanza presuntiva, al fine di accertare il fatto costitutivo dell’imposizione tributaria rappresentato dal possesso effettivo di un reddito « per interposta persona ». Come costantemente ribadito dalla Corte, ai fini del soddisfacimento dell’onere probatorio dell’Ufficio, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass. n. 13807 del 2019; Cass. n. 4168 del 2018; Cass. n. 17833 del 2017; Cass. n. 25129 del 2016; già Cass. S.U. n. 9961 del
1996). L’oggetto della prova incombente sull’Amministrazione finanziaria, peraltro, non attiene agli elementi costitutivi dell’interposizione ma solo come precisa la norma -che « egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona »: la funzione della norma, dunque, è quella di evitare che il contribuente (effettivo possessore) si sottragga al prelievo occultando all’Amministrazione finanziaria la propria identità di contribuente, ricorrendo a interposizioni negoziali tali da attribuire a terzi il possesso del reddito. In altri termini, il possesso del reddito « per interposta persona » costituisce il fatto ignoto oggetto della prova logica a carico dell’Ufficio, quale elemento che lega il reddito prodotto dal soggetto interposto al titolare effettivo: la rilevanza dell’effettivo possesso del reddito rispetto alla sua titolarità formale sancisce la prevalenza della sostanza (possesso del reddito) sulla forma (titolarità del reddito) e della realtà sull’apparenza, dovendosi individuare non la natura fittizia o ingannevole della titolarità del reddito, bensì l’effettività dell’esercizio del possesso del reddito a prescindere dalla sua formale titolarità. Tale percorso argomentativo e giuridico, per l’ampia latitudine della norma, non è limitato dalla tipologia di reddito oggetto di accertamento e, dunque, si estende -come recentemente precisato da questa Corte (Cass. n. 5276 del 2022) -anche al reddito d’impresa e all’ipotesi in cui l’interposto sia una società di capitali, salva la necessaria specifica verifica della relazione di fatto tra contribuente e reddito per operare la traslazione del reddito d’impresa prodotto all’effettivo titolare. Nel caso di reddito d’impresa ha rilievo, di norma, la figura dell’amministratore di fatto del soggetto imprenditoriale formalmente titolare del reddito (i.e. la società); tuttavia, tale ruolo, per assumere incidenza, deve « assumere una particolare pregnanza al fine di integrare la presunzione del possesso del reddito perché deve essere tale da comportare la traslazione del
reddito realizzato dall’ente collettivo percettore interposto nel suo complesso (e, quindi, anche ai fini Irap e Iva) al soggetto persona fisica interponente come se fosse stato prodotto da quest’ultimo » (così Cass. n. 5276 del 2022, cit.). Ciò significa che la posizione dell’interponente non è quella di mero gestore dell’ente collettivo -condizione che, in quanto tale, sarebbe significativa ai fini reddituali solo nelle società di persone interposte e, in caso di socio, a fondamento del maggior reddito da partecipazione ai fini Irpef -ma di soggetto che disponga uti dominus delle risorse del soggetto interposto. Come si è osservato, del resto, nell’ipotesi in questione, « si configura, in relazione all’interponente, una fattispecie simile a quella della holding unipersonale, ossia di chi eserciti professionalmente con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società (Cass., Sez. I, 26 febbraio 1990, n. 1439; Cass., Sez. I, 16 gennaio 1999, n. 405; Cass., Sez. I, 9 agosto 2002, n. 12113; Cass., Sez. I, 13 marzo 2003, n. 3724; Cass., Sez. U., 29 novembre 2006, n. 25275; Cass., Sez. I, 6 marzo 2017, n. 5520; Cass., Sez. I, 3 giugno 2020, n. 10495) » (così, sempre la già citata Cass. n. 5276 del 2022). Ne deriva che, in tale ipotesi, la prova che incombe sull’Amministrazione finanziaria ha ad oggetto il totale asservimento della società interposta all’interponente, tale, quindi, da dimostrare: a) la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte del reddito del soggetto imprenditoriale interposto; b) che il primo sia l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società. Come già osservato, non ha rilievo, invece, la dimostrazione che l’interposizione sia reale o fittizia: l’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, infatti, si riferisce a qualsiasi ipotesi di interposizione, anche a quella reale, ed anche ad un uso improprio di un legittimo strumento giuridico ( ex multis , Cass. n. 11055 del 2021; Cass. n. 17128 del 2018; Cass. n. 5408 del 2017). A fronte di tale prova, che può essere fornita anche solo in via presuntiva,
incomberà poi al contribuente fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto (Cass. n. 29228 del 2021; Cass. n. 5276 del 2022).
Quanto alla seconda questione, la decisione impugnata segue la tesi che, valorizzando l’avverbio « esclusivamente » di cui alla lettera dell’art. 7 cit., pone le sanzioni amministrative esclusivamente a carico della persona giuridica titolare del rapporto tributario escludendo ogni responsabilità delle persone fisiche, non solo dei soggetti legati all’ente da un rapporto organico ma anche dei terzi che possono essere chiamati in responsabilità quali concorrenti esterni ex art. 9 d.lgs. n. 472 del 1997 (Cass. n. 25284 del 2017; Cass., nn. 9448/9449/9450/9451 del 2020; Cass. n. 14364 del 2022; Cass. n.26057 del 2023).
5.1. Peraltro, recentemente questa Corte è andata di contrario avviso (Cass. n. 20697 del 2024; v. anche Cass. n. 21092 del 2024; Cass. n. 23172 del 2024; Cass. nn. 33994 e 33996 del 2024), ritenendo che l’art. 7 cit. «riguarda solo gli amministratori, i dipendenti ed i rappresentanti di società, associazioni od enti con personalità giuridica» , riguarda cioè solo le cd. figure interne, quali manager , dipendenti e funzionari esecutivi, non essendo stato abrogato l’istituto del concorso di persone nel reato ex art. 9 del d.lgs. n. 472/1997 ( v. anche Circolare Agenzia delle entrate, n. 28/E del 21 giugno 2004, pag. 14).
5.2. Deve darsi continuità a questo orientamento, a cui la Corte è giunta sulla scorta delle seguenti considerazioni: a) si rileva, in primo luogo, la ratio dell’art. 7 della legge n. 269 del 2003, che è quella di concentrare le sanzioni amministrative fiscali esclusivamente in capo al contribuente (società dotata di personalità giuridica) che abbia tratto un effettivo vantaggio dalla violazione, spostando il carico sanzionatorio su quest’ultimo,
ovvero sul beneficiario dell’illecito, con la conseguenza che la prevista deroga al regime generale di responsabilità personale deve intendersi necessariamente circoscritta alle persone fisiche titolari di un rapporto organico (di diritto o di fatto) all’ente contribuente e non passibile di applicazione estensiva, data l’eccezionalità della norma, all’ipotesi del concorso di persone, come si può desumere anche dal tenore letterale dell’art. 7 che, laddove indica « Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica », si riferisce proprio alla riferibilità alla persona giuridica contribuente del rapporto tributario e della violazione tributaria commessa, alludendo quindi al rapporto organico (di diritto o di fatto) tra la persona fisica che abbia agito e la persona giuridica contribuente, nel nome e per conto della quale si è operato; b) in questo senso, viene ridimensionato il carattere « inequivoco » dell’avverbio « esclusivamente », affermato dalla dottrina al fine di ricondurre le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale delle persone giuridiche soltanto a carico di queste ultime, optandosi per un’interpretazione sistematica della norma che riconduce l’avverbio « esclusivamente » al contribuente persona giuridica, titolare del rapporto tributario cui è collegata la violazione tributaria commessa; c) si esclude che con la previsione di cui all’art. 7 cit. vengano scardinati i principi generali di personalità e causalità psichica dettati dal decreto legislativo n. 472 del 1997, segnatamente dall’art. 2, che stabilisce il principio della ‘personalità della sanzione’ prevedendo che la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione, dall’art. 4 del stesso decreto dettato in tema di imputabilità (« Non può essere assoggettato a sanzione chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di intendere e di volere »), dall’art. 5 in tema di colpevolezza che dispone che « Delle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria
azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa », nonché dall’art. 8 che prevede il principio della intrasmissibilità della sanzione agli eredi, quale corollario del carattere personale della responsabilità; d) lo stesso art. 7, al comma 3, fa salve le disposizioni del decreto legislativo n. 472 del 1997, in quanto compatibili, e tra queste certamente rientra, per quanto rilevato, anche l’art. 9 che disciplina le ipotesi del concorso di persone, in coerenza, peraltro, con quanto espresso anche nella relazione illustrativa dell’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003 ( Relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 269/2003, Senato n. 2518), ove si legge che l’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003 introduce disposizioni innovative rispetto al sistema sanzionatorio delineato dal decreto legislativo n. 472 del 1997, in deroga al principio della riferibilità della sanzione alla persona fisica, di cui all’art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997 e al principio di solidarietà, di cui all’art. 11 dello stesso decreto legislativo, prevedendo la responsabilità esclusiva della persona giuridica per la sanzione amministrativa allorché questa sia relativa al rapporto fiscale della stessa persona giuridica; e) si rammentano ulteriori ragioni di ordine logico e sistematico, desunte dalle norme generali in materia di sanzioni tributarie, dettate dal decreto legislativo n. 472 del 1997, quali la disposizione sull’autore mediato ex art. 10 e l’art. 11 sulla responsabilità individuale del dipendente, rappresentante legale o negoziale o da un soggetto in rapporto organico con l’ente, dovendosi evitare un disparità di trattamento tra la posizione della persona fisica, soggetto terzo, che partecipa alla realizzazione della violazione con il titolare di un’impresa individuale e che risponde, ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997, secondo le comuni regole del concorso di persone, e la persona fisica, soggetto terzo che non dovrebbe rispondere delle violazioni commesse in concorso con la persona giuridica o, meglio, con l’autore della violazione, il quale,
come tale, sfuggirebbe completamente ad ogni conseguenza sanzionatoria sul piano amministrativo tributario, in virtù della disposizione di cui all’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003.
5.3. Va altresì osservato che la responsabilità, a titolo di concorso, per le persone esterne è prevista dall’art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997 in presenza di quelli che, sulla base di quanto affermato nella dottrina penalistica, sono gli elementi costitutivi della responsabilità per concorso di persone nell’illecito tributario, ovvero la pluralità di agenti, la realizzazione dell’elemento oggettivo dell’illecito da parte di almeno uno degli agenti, il contributo causale del singolo concorrente alla realizzazione del fatto illecito, la volontà effettiva di cooperare alla commissione dell’illecito. Il legislatore tributario, dunque, con l’art. 9 (che ricalca la lettera dell’art. 110 cod. pen., oltre che dell’art. 5 della legge n. 689 del 1981), ha espressamente introdotto una norma specifica per la sanzionabilità del contributo del concorrente. La norma rende applicabile la sanzione a tutti coloro che offrono un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell’illecito tributario, ivi compresi i soggetti che apportano un contributo comunque agevolatore (quindi un contributo atipico non conforme alla fattispecie punitiva) rispetto alla realizzazione collettiva dell’illecito tributario. La conseguenza, in tema di applicazione delle sanzioni, è che ciascun concorrente nella realizzazione della violazione soggiace alla sanzione per questa disposta.
5.4. Nel sistema definito dal d.lgs. n. 472 del 1997 è sempre la persona fisica che può essere soggetto attivo e autore materiale dell’illecito tributario e sono qualificati come illeciti anche quei comportamenti che non integrano appieno la condotta tipica prevista dalla norma sanzionatoria, pur traducendosi in un contributo causale alla loro realizzazione. Al riguardo, va evidenziato che il legislatore ha voluto ricondurre la responsabilità del concorrente nell’illecito tributario ai principi di personalità e
causalità psichica dell’evento. Dunque, il concorrente nella realizzazione della violazione amministrativa è la persona fisica a cui è riferibile il ‘contributo causale’ che integra la violazione, ovvero il soggetto che abbia in concreto tenuto la condotta positiva o omissiva che abbia concorso, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale, a realizzare l’infrazione. È importante puntualizzare, in proposito, che tale contributo posto in essere dal concorrente ha una sua autonomia sia rispetto alla condotta posta in essere dall’autore della violazione (ossia la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione), sia rispetto all’obbligazione del corresponsabile solidale. In conclusione, il soggetto attivo dell’illecito tributario, cui è riferibile l’azione o l’omissione che ha determinato la violazione, deve essere identificato in chi materialmente ha posto in essere la violazione tributaria a mezzo di una condotta commissiva od omissiva, ma ciò non esclude l’eventuale concorso morale o materiale di altre persone fisiche, che sono soggetti autonomamente sanzionabili a titolo di concorso di persone ex art. 9 del d. lgs. n. 472 del 1997, nel qual caso ciascuna di esse dovrà soggiacere alla sanzione, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge (così nella seconda parte dell’art. 9 citato, quando la violazione consiste nell’omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti). L’art. 9, contemplando il concorso di persone, recepisce, per quanto già rilevato, i principi fissati in materia dal codice penale, rendendo così applicabile la sanzione non soltanto all’autore, o ai coautori, della violazione tributaria, ma anche a coloro che abbiano comunque dato un contributo causale, anche se esclusivamente sul piano psichico. La sanzione è applicabile a tutti coloro che abbiano offerto un contributo alla realizzazione dell’illecito tributario, concepito come una struttura unitaria, nella quale confluiscono tutti gli atti dei quali l’evento punito costituisce il risultato e sempre che sussista nei singoli partecipi la consapevolezza del collegamento
finalistico dei vari atti, cioè la coscienza e volontà di portare un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell’illecito tributario. In conclusione, i soggetti terzi (come nel caso in esame, il commercialista) sono sanzionabili in via amministrativa a titolo di concorso ai sensi dell’art. 9 del d. lgs. n. 472 del 1997, nelle violazioni relative al rapporto fiscale proprio di società con personalità giuridica anche dopo l’entrata in vigore del d. l. n. 269 del 2003.
5.5. Se il concorso di persone terze nelle violazioni tributarie relative alle società con personalità giuridica è sanzionabile per il contributo materiale e psicologico offerto nella realizzazione dell’illecito, si deve prescindere dal conseguimento da parte del terzo di un personale effettivo vantaggio economico (v. Cass. n. 20697 del 2024; Cass. nn. 33994 e 33996 del 2024), cosicché deve essere disatteso il diverso orientamento espresso da questa Corte, nella sentenza n. 23229 del 2024, che richiede, per l’applicabilità dell’art. 9 cit., che il concorrente « tenga una condotta finalizzata al raggiungimento di un autonomo beneficio (..) un quid pluris, cioè di benefici che vadano ben oltre il corrispettivo della propria prestazione, traducendosi in altri termini non già in una mera prestazione al servizio di un committente, ma in una diretta e comune finalità di concorso nell’attuazione di condotte soggettivamente intese a ottenere vantaggi economici non spettanti, mediante il compimento di illeciti fiscali». Tale orientamento, secondo cui il consulente risponde a titolo di concorso « se non si sia limitato a svolgere le sue tipiche funzioni professionali, ma, attraverso le sue capacità tecniche, abbia condiviso, o coinvolto, la società nel compimento di condotte illecite, tese a ottenere vantaggi economici non spettanti » altera i principi generali sopra riportati, accomunando, in sostanza, l’ extraneus a colui che, in forza di un rapporto organico con l’ente, abbia tenuto una condotta diretta al conseguimento di benefici per
la sola società e ponendo un’ulteriore restrizione nella disciplina delle sanzioni in materia di enti con personalità giuridica, cioè proprio nel settore di maggior rilievo sul piano economico e quindi fiscale, che non trova un preciso fondamento normativo. Deve escludersi, pertanto, la necessità di provare il conseguimento da parte del consulente di un vantaggio o un profitto personale dagli illeciti fiscali oltre il compenso professionale, ciò che non costituisce elemento costitutivo della fattispecie ma può valere soltanto quale elemento indiziario, ma non unico, comprovante la ricorrenza del concorso.
Con il secondo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c. laddove la CTR aveva ritenuto che l’Ufficio non avesse provato il coinvolgimento di COGNOME nelle violazioni fiscali commesse dalla società senza valutare globalmente gli elementi indiziari portati dall’Ufficio comprovanti la partecipazione del commercialista alla gestione della società e la sua consapevolezza dell’attività illecita posta in essere dal COGNOME attraverso la società interposta.
Il motivo è ammissibile, in quanto non aggredisce l’accertamento in fatto svolto dal giudice del merito ma lamenta che la CTR non abbia seguito le regole che governano il ragionamento presuntivo, ed è fondato.
7.1. E’ noto che il ragionamento presuntivo deve essere condotto secondo il modello “atomistico-analitico”, che prevede il rigoroso esame di ciascun singolo fatto indiziante e la successiva valutazione congiunta, complessiva e globale, degli stessi, da compiersi alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale e concordanza (Cass. n. 18327 del 2023). Invero, « in tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a
base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento » (Cass. 29402 del 2021; Cass. n. 9059 del 2018; conf. Cass. n. 27410 del 2019; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 5374 del 2017).
7.2. Nella valutazione della prova presuntiva la CTR non ha seguito questi principi, perché si è limitata all’esame dei s ingoli elementi indiziari offerti dall’Amministrazione , in presenza di un quadro complessivo che presenta elementi incompatibili con l’ asserita estraneità del COGNOME alla gestione societaria e agli illeciti fiscali accertati. In particolare, la CTR ha dato valore decisivo al fatto che la delibera di fusione con la società estera è successiva al recesso del COGNOME ma secondo le dichiarazioni del COGNOME la fusione e il trasferimento all’estero della sede della società erano già state decise da COGNOME e da COGNOME sin dalla costituzione della società e vi è traccia documentale del coinvolgimento di
quest ‘ultimo nel progetto di trasferimento all’estero (v. l’annotazione «parlare con commercialista Dott. NOME COGNOME» sul ‘preventivo’ 20.7.2009 per il trasferimento della sede negli USA rinvenuto tra la documentazione acquisita in sede di indagini P.G. presso il Credito di Romagna). Inoltre, la CTR ha trascurato che, sempre secondo il COGNOME, era il COGNOME a dare le indicazioni per la «predisposizione dei documenti contabili » e sono emerse diverse fittizietà documentali risalenti al periodo in cui il COGNOME aveva collaborato con la società: non solo erano stati omessi versamenti IRES, IVA e IRAP, ma erano stati assolti debiti per ritenute, per INPS e per premi INAIL utilizzando crediti IVA inesistenti ed erano stati contabilizzati cospicui pagamenti per operazioni risultate fittizie (RAGIONE_SOCIALE).
Conclusivamente, accolto il ricorso e cassata di conseguenza la sentenza impugnata, la causa deve essere rinviata al giudice del merito.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione;
Così deciso in Roma, il 05/12/2024.