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Responsabilità commercialista: concorso in illeciti

La Corte di Cassazione ha stabilito che la responsabilità del commercialista può essere affermata in caso di concorso negli illeciti fiscali commessi da una società cliente. La sentenza chiarisce che la norma che concentra le sanzioni sull’ente non protegge il consulente esterno (extraneus) che partecipa all’illecito. La Corte ha annullato la decisione di merito che aveva escluso la responsabilità del professionista, criticando anche la valutazione frammentaria delle prove e ribadendo la necessità di un’analisi globale degli indizi.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Responsabilità commercialista: quando c’è concorso negli illeciti fiscali della società

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di responsabilità del commercialista e degli altri consulenti fiscali. Il professionista che fornisce un contributo, anche solo a livello di consulenza, alla realizzazione di un illecito fiscale da parte di una società cliente, può essere chiamato a risponderne personalmente. La decisione chiarisce che le norme che imputano le sanzioni amministrative esclusivamente all’ente giuridico non costituiscono uno scudo per i concorrenti esterni.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un accertamento fiscale a carico di una società a responsabilità limitata. L’Agenzia delle Entrate contestava al commercialista della società di aver concorso, in qualità di coautore, in una serie di gravi violazioni fiscali. Queste includevano la contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, l’indebita compensazione di crediti IVA fittizi con debiti previdenziali e, infine, la pianificazione di una fusione transfrontaliera con una società statunitense per cancellare l’ente italiano dal registro delle imprese e limitare le responsabilità.

La Commissione Tributaria Regionale aveva inizialmente dato ragione al professionista, ritenendo non provato un suo ruolo attivo nella gestione dell’impresa e negli illeciti. I giudici di secondo grado avevano inoltre applicato l’art. 7 del D.L. n. 269/2003, secondo cui le sanzioni relative al rapporto fiscale di società con personalità giuridica ricadono esclusivamente su quest’ultima, escludendo la responsabilità delle persone fisiche.

La Decisione della Corte di Cassazione e la Responsabilità del Commercialista

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione di merito, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. I giudici supremi hanno basato la loro decisione su due pilastri fondamentali: la corretta interpretazione delle norme sul concorso di persone nell’illecito tributario e la metodologia di valutazione della prova presuntiva.

Il Principio del Concorso Esterno del Professionista

Il punto centrale della sentenza riguarda la responsabilità del commercialista come soggetto extraneus, ovvero esterno alla compagine sociale. La Corte ha chiarito che l’art. 7 del D.L. n. 269/2003, pur stabilendo una regola di responsabilità esclusiva in capo alla persona giuridica, non ha abrogato l’istituto del concorso di persone nell’illecito, disciplinato dall’art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997.

La norma sulla responsabilità esclusiva dell’ente è una deroga al principio generale di personalità della sanzione e riguarda le figure interne (intraneus), come amministratori e dipendenti, che agiscono nell’interesse della società. Tuttavia, questa deroga non si estende ai soggetti esterni che, con la loro condotta, forniscono un contributo causale alla violazione. Pertanto, il consulente che, con la propria competenza tecnica, agevola o rende possibile l’illecito, risponde a titolo di concorso, senza che sia necessario dimostrare un suo vantaggio economico personale ulteriore rispetto al compenso professionale.

La Valutazione della Prova Presuntiva

La Cassazione ha inoltre censurato il metodo con cui la corte di merito aveva valutato gli indizi a carico del professionista. I giudici di secondo grado avevano esaminato ogni elemento (le dichiarazioni di un dipendente, i documenti relativi al progetto di fusione) in modo isolato e ‘atomistico’, concludendo che nessuno di essi, da solo, fosse sufficiente a provare il coinvolgimento.

La Suprema Corte ha ribadito che la prova presuntiva richiede un approccio diverso: prima un’analisi dei singoli indizi e poi una valutazione complessiva e globale, per verificare se, combinati insieme, essi convergano in un quadro logico, coerente e concordante. Nel caso specifico, la partecipazione del commercialista alla pianificazione del trasferimento all’estero, unita al suo ruolo nella predisposizione dei documenti contabili affetti da falsità, avrebbe dovuto essere valutata in modo unitario per accertare la sua consapevolezza e il suo contributo all’attività illecita.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di preservare i principi generali di personalità e causalità che governano il sistema sanzionatorio tributario. Consentire a un consulente esterno di sfuggire a ogni conseguenza sanzionatoria, pur avendo contribuito consapevolmente a un illecito, creerebbe una disparità di trattamento ingiustificata e un vuoto normativo. La sanzione per concorso si applica a chiunque offra un contributo materiale o psicologico alla realizzazione dell’illecito. Il contributo del professionista, anche se si limita a un parere tecnico o a un’attività di consulenza, è sanzionabile se si inserisce in un piano illecito di cui egli è consapevole.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che la valutazione degli elementi indiziari deve essere rigorosa e complessiva. Ignorare il quadro d’insieme e limitarsi a un esame frammentario degli indizi costituisce un errore di diritto che vizia la sentenza. Il giudice deve seguire un percorso logico che, partendo dai fatti noti, giunga a dimostrare il fatto ignoto (il coinvolgimento del concorrente) come conseguenza ragionevolmente possibile.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa sentenza rappresenta un importante monito per tutti i professionisti che operano in ambito fiscale e societario. La responsabilità del commercialista non è limitata alla mera correttezza formale degli adempimenti, ma si estende alla sostanza delle operazioni che assiste. Fornire supporto a schemi elusivi o fraudolenti, anche senza essere l’ideatore principale, espone a un rischio concreto di sanzioni personali.

Le implicazioni sono chiare:
1. Dovere di diligenza rafforzato: I professionisti devono esercitare un’attenta vigilanza sulla natura delle operazioni proposte dai clienti.
2. Irrilevanza del vantaggio economico diretto: Per essere sanzionati non è necessario aver percepito un profitto dall’illecito; è sufficiente aver fornito un contributo consapevole.
3. Valore della prova indiziaria: L’amministrazione finanziaria può basare le sue contestazioni su un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti, che saranno valutati dal giudice in modo globale.

In definitiva, il ruolo del consulente deve rimanere nell’alveo della legalità, rifiutando di avallare o supportare condotte che, pur formalmente lecite, siano parte di un disegno illecito più ampio.

Un commercialista può essere ritenuto responsabile per gli illeciti fiscali di una società sua cliente?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, un commercialista può essere sanzionato a titolo di concorso se fornisce un contributo materiale o psicologico alla realizzazione degli illeciti fiscali commessi dalla società cliente, anche se agisce come consulente esterno.

La regola che concentra le sanzioni fiscali sulla sola persona giuridica protegge anche i consulenti esterni?
No. La Corte ha chiarito che la norma che prevede la responsabilità esclusiva della persona giuridica (art. 7, D.L. n. 269/2003) si applica alle figure interne all’ente (es. amministratori) e non esclude la responsabilità per concorso dei soggetti esterni (extraneus), come i professionisti, disciplinata dall’art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997.

Per sanzionare un professionista per concorso in un illecito fiscale, è necessario provare che abbia ottenuto un vantaggio economico personale oltre al suo onorario?
No. La sentenza specifica che per affermare la responsabilità del concorrente esterno non è necessario dimostrare il conseguimento di un vantaggio economico personale derivante dall’illecito, al di là del compenso professionale ricevuto. Il contributo consapevole alla violazione è di per sé sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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