Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15860 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15860 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10065-2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in atti, da ll’ avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende (pecEMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1388/10/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del LAZIO, depositata il 15/03/2023;
Oggetto:
TRIBUTI – intimazione di pagamento -cessione di azienda -responsabilità cessionario -d.lgs. n. 472 del 1997, art. 14
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26 marzo 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto l’impugnazione dell’intimazione di pagamento emessa nei confronti della RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria di un ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALE e quindi quale coobbligata con quest’ultima ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997.
La CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Roma, adita dalla ricorrente, rigettava il ricorso e analoga sorte subiva l’appello proposto alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio che, con la sentenza in epigrafe indicata, osservava che, alla stregua di condivisi principi giurisprudenziali di legittimità, l’amministrazione finanziaria non era tenuta a notificare alla cessionaria né l’avviso di accertamento, che andava emesso esclusivamente nei confronti della parte contribuente, da individuarsi nella sola cedente del ramo d’azienda, né la successiva cartella di pagamento. Atti che nella specie erano stati regolarmente notificati alla RAGIONE_SOCIALE Rigettava, infine, la richiesta di limitare la responsabilità sussidiaria della società cessionaria al limite del valore dell’azienda trasferita, trattandosi di questione che avrebbe dovuto essere presa in considerazione nella successiva eventuale fase esecutiva.
Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
L’Agenzia delle entrate deposita memoria.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale, dott. NOME COGNOME deposita conclusioni scritte chiedendo «l’accoglimento del motivo 2) del ricorso 10065/2023, nei limiti di cui in motivazione».
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 della L. 212 del 2000, degli artt. 25 e 50 del d.P.R. 602 del 1973, dell’art. 14, D.lgs. 472 del 1997, e dell’art. 24 Cost., rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.: sulla mancata notifica dell’atto presupposto all’intimazione di pagamento ».
1.1. Si sostiene che «Nella fattispecie, la ricorrente è stata raggiunta direttamente dall’intimazione di pagamento tramite cui, senza alcuna spiegazione, è stato intimato il pagamento di oltre 1.200.000,00 euro nel termine di 5 giorni. Il Giudice a quo avrebbe dovuto dichiarare illegittima l’intimazione per violazione delle rubricate norme, rilevando che l’intimazione avrebbe dovuto essere preceduta da un’apposita cartella di pagamento».
Il motivo di ricorso non supera lo scrutinio di ammissibilità di cui all’art. 360 bis, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi, oltre che relativamente ad ogni singolo motivo, con riferimento al momento della decisione (Cass., Sez. U., n. 7155 del 2017).
2.1. Invero, la CGT2 ha accolto l’appello dell’Ufficio richiamando i principi affermati da Cass. n. 10377/2022 e n. 29722/2022, secondo cui l’avviso di accertamento per pretese tributarie nei confronti del cedente dell’azienda dev’essere notificato a quest’ult imo e non al cessionario che non è il debitore d’imposta, ancorché tenuto al pagamento a titolo di solidarietà con il cedente, né l’amministrazione finanziaria deve notificare al cessionario un diverso e separato atto di accertamento, potendo provvedere alla sola iscrizione a ruolo nei confronti del cessionario per l’importo non pagato dal cedente e notificargli la cartella di pagamento.
2.2. Trattasi di principi assolutamente consolidati e neppure mai contrastati da pronunce di segno contrario e la ricorrente non ha offerto alcuna ragione per discostarsi dagli stessi.
2.3. Della questione, infatti, si sono occupate le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 28709 del 20/10/2020, che, così come ribadito recentemente da questa Sezione con la sentenza n. 2769 del 30/01/2023 (citata dalla controricorrente) «hanno offerto un’ampia ricostruzione della portata soggettiva del titolo nella procedura di riscossione ed esecuzione di tributi a mezzo ruolo. Nelle motivazioni di detta sentenza (parr. 7 ss., p. 9 ss.), leggesi che detta ricostruzione ‘è conformata, sul piano sostanziale, dalla posizione, rispetto all’ente creditore, dell’obbligato in via principale e di quello sussidiario. Nei confronti dell’ente creditore il socio illimitatamente responsabile è obbligato, per i debiti sociali, in via sussidiaria, ma al pari della società (Cass., sez. un., 13 febbraio 2015, n. 3022), anche per quelli tributari, e pure se sia receduto -come nel caso in esame-, in base all’art. 2290 c.c. (tra varie, Cass. 22 dicembre 2014, n. 27189 e 4 marzo 2020, n. 6020). Si tratta di una responsabilità «da posizione», perché deriva dalla qualità di socio e concerne indistintamente e automaticamente tutti i debiti della società: quella del socio non è un’obbligazione da fatto proprio, ma è propria, e scaturisce direttamente dalla legge. Anche il cessionario o conferitario d’azienda risponde di un’obbligazione propria, perché subentra al cedente, e ne risponde in via sussidiaria, in base all’art. 14 del d.lgs. n. 472/97, pur non avendo realizzato il fatto indice di capacità contributiva (Cass. 12 gennaio 2012, n. 255). L’esistenza dell’obbligo della società o del cedente, quindi, è costitutiva dell’obbligo del socio illimitatamente responsabile o di quello del cessionario/conferitario; e quest’obbligo, sebbene diverso per causa, concerne il medesimo oggetto, ossia il debito d’imposta. Si spiega, allora, perché l’ente creditore notifica soltanto alla società o soltanto al cedente l’avviso di accertamento, senza necessità di ‘simultaneus processus’ con i soci o col cessionario/conferitario (tra varie, Cas s. 21 novembre 2014, n. 24795; 5 dicembre 2014, n. 25765; 11 maggio 2016, n. 9527): i soggetti passivi del tributo sono appunto loro ed è
rispetto a loro che va accertato che il tributo è dovuto, ai fini della formazione del titolo esecutivo, ossia del ruolo (art. 49, comma 1, del d.P.R. n. 602/73). È quindi sufficiente notificare ai soci illimitatamente responsabili e al cessionario/conferitario d’azienda o di un ramo di essa la cartella di pagamento (Cass. n. 15966/16, cit.) o anche soltanto l’avviso di mora – oggi, l’intimazione di pagamento- (Cass. 13 gennaio 2006, n. 618; 16 maggio 2007, n. 11228; 1 ottobre 2014, n. 20704; n. 25765/14, cit.; 16 marzo 2018, n. 6531), atti giuridicamente dipendenti dal ruolo già formatosi nei confronti del soggetto passivo d’imposta (sulla giuridica dipendenza della cartella dal ruolo, si veda Cass., sez. un., 2 ottobre 2015, n. 19704)’».
2.4. Nello stesso senso, più recentemente, Sez. 5, n. 18117 del 24/06/2021, in motivazione (par. 4.2, p. 12 s.), rileva: ‘ per questa Corte l’avviso di accertamento, relativo al pagamento delle imposte e delle sanzioni, diretto al cedente dell’azienda o di un suo ramo non deve essere notificato anche al cessionario, né in caso di cessione lecita, né in quella in frode al fisco, in mancanza di espressa deroga al principio generale, desumibile dall’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui l’avviso di accertamento è notificato al contribuente e non agli altri soggetti che, a vario titolo, possano essere tenuti al pagamento dell’imposta accertata (Cass., sez. 5, 14 marzo 2014, n. 5979). Inoltre, l’articolo 25, primo comma, d.P.R. n. 602 del 1973, prevede che “il concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza”. Pertanto, il concessionario può alternativamente notificare la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo oppure al coobbligato. In caso di cessione di ramo d’azienda, come nella specie, tra il cedente ed il cessionario si instaura un rapporto di solidarietà dipendente successiva. Ciò consente al concessionario di notificare la cartella esclusivamente al debitore
principale, senza necessità di una ulteriore notifica nei confronti del coobbligato solidale (cessionario)’» e viceversa.
2.5. Principi ribaditi ancor più recentemente da Cass. n. 13619 del 2024.
2.6. A quanto fin qui detto, aggiungasi che in fattispecie come quelle in esame non è neanche postulabile una lesione del diritto di difesa della cessionaria, per come affermato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza (par. 11.1) sul rilievo che la contribuente si trova comunque nella condizione di far ‘valere le proprie ragioni senza alcuna limitazione’, contestando sia il rapporto di solidarietà, sia la sua responsabilità, sia anche l’esistenza e l’entità del debito della cedente.
Con il secondo motivo viene dedotta la « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7, della L. 212 del 2000, 24 Cost. e 14, del D.lgs. 472 del 1197, rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.: sulla totale assenza di motivazione, all’interno dell’intimazione di pagamento, in merito ai presupposti e ai limiti di operatività della responsabilità solidale del cessionario ».
3.1. Sostiene la ricorrente che l’intimazione di pagamento impugnata è sprovvista di qualsiasi motivazione: manca, infatti, anche la mera menzione dell’art. 14, D.lgs. 472 del 1997 e ricomprende solo un elenco di atti, del tutto sconosciuti alla ricorrente. In tale stato di cose, il Giudice a quo avrebbe dovuto annullarla per totale difetto di motivazione, rilevando la violazione della norma in rubrica.
Il motivo è infondato.
4.1. Invero, alla stregua dei principi giurisprudenziali enunciati nel primo motivo di ricorso, ed in particolare quelli relativi al diritto di difesa del cessionario d’azienda che non vengono lesi dalla notifica allo stesso della sola intimazione di pagamento, discende l’applicabilità al caso di specie del principio giurisprudenziale di legittimità in base al quale «l’avviso di intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo, da notificarsi al contribuente ai sensi dell’art. 50, commi 2 e 3,
del d.P.R. n. 602 del 1973, ha un contenuto vincolato, in quanto deve essere redatto in conformità al modello approvato con decreto del Ministero dell’Economia, sicché è sufficiente che la motivazione faccia riferimento alla cartella di pagamento in precedenza notificata» (Cass. n. 10692/2024; n. 28689/2018).
4.2. Nel caso in esame, nell’atto impugnato, allegato al ricorso, oltre ad essere indicate le sottese cartelle di pagamento con la data della loro notificazione, nelle ulteriori numerose pagine di cui è composto (ben 30) sono riportati gli enti creditori, il titolo delle varie pretese e l’entità delle stesse, sicché lo stesso era congruamente motivato e allo stesso tempo, per i dati in esso contenuti, era agevole per il destinatario conoscere le ragioni della pretesa erariale e, in particolare, il suo titolo di responsabilità, atteso che gli atti impositivi elencati nell’intimazione facevano riferimento a debiti erariali anteriori alla cessione.
4.3. Nella specie, poi, la ricorrente non ha nemmeno contestato di aver avanzato richiesta all’agente della riscossione di rateizzazione del debito sulla medesima incombente quale cessionaria coobbligata in epoca precedente alla ricezione dell’intimazione per c ui è causa, e ciò comprova la pretestuosità della censura, non essendo nemmeno ipotizzabile che la cessionaria si sia determinata a chiedere la rateizzazione in considerazione dell’elevata entità del credito erariale senza nemmeno indagare ed accertarsi delle ragioni per le quali sarebbe stata tenuta alla soddisfazione dello stesso.
4.4. Quanto detto si pone anche in linea con l’affermazione di questa Corte secondo cui «nell’ipotesi di cessione conforme a legge, viene valorizzata la diligenza del cessionario nell’assumere, prima della conclusione del negozio traslativo, informazioni sulla posizione debitoria del cedente, così assumendo il primo una responsabilità sussidiaria, con “beneficium excussionis”, limitata nel “quantum” (entro il valore della cessione) e nell’oggetto (con riferimento alle
imposte e sanzioni relative al triennio prima del contratto ovvero anche anteriori, ma irrogate o contestate nel triennio, ovvero entro i limiti del debito risultante, alla data del contratto, dagli atti degli uffici finanziari)» (Cass. n. 29722 del 2020).
4.5. A ciò aggiungasi che, mutuando i principi espressi da questa Corte in fattispecie relative alla motivazione della cartella di pagamento (cfr., tra le altre, Cass. n. 2373/2013 e n. 9778/2017), il difetto di motivazione dell’atto, che faccia rinvio ad altro atto costituente il presupposto dell’imposizione senza indicarne i relativi estremi in modo esatto, non può condurre alla dichiarazione di nullità, allorché la cartella o, come nel caso in esa me, l’intimazione di pagamento sia stata impugnata dal contribuente, il quale abbia dimostrato, in tal modo, di avere piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli puntualmente contestati; pertanto, non può ravvisarsi un difetto di motivazione nell’atto impositivo vincolato, che, come nel caso in esame, elenchi in maniera specifica gli atti impositivi notificati precedentemente all’obbligato principale, la data della loro notificazione, gli enti creditori, il titolo delle varie pretese e l’entità delle stesse. Alla stregua di tali considerazioni, l a mancanza nell’atto impugnato dell’indicazione della norma di legge che prevede la responsabilità del coobbligato, ovvero l’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, diventa nella specifica fattispecie del tutto irrilevante.
5. Con riguardo al cd. beneficium excussionis , che pure la ricorrente ha dedotto come ragione di illegittimità dell’intimazione sotto il versante del difetto di motivazione dell’atto impugnato, del tutto silente sul punto, va ricordato che questa Corte, nella sua massima espressione nomofilattica, ha affermato, anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n.114 del 2018, la possibilità per il cessionario di far valere la natura sussidiaria della propria obbligazione, eccependo il beneficium excussionis , tramite l’impugnazione della cartella innanzi al Giudice tributario ma, al contempo, hanno anche
sancito che, essendo pur sempre il coobbligato beneficiato a dover far valere il beneficio al fine di impedire che inizi l’esecuzione vera e propria, non si configura alcuna impossibilità di notificare al coobbligato sussidiario la cartella prima dell’escussione dei beni dell’obbligato principale dal che l’ulteriore principio per cui « la violazione del beneficium excussionis non configura un vizio proprio della cartella, perché la relativa deduzione è eccezione che va a integrare autonoma causa petendi di impugnazione appartenente al perimetro dell’esecuzione. Inoltre la mera violazione dell’ordine che il creditore deve seguire per fare valere le proprie ragioni non può di per sé comportare la caducazione delle pretesa rivolta al socio, ma al più può fondare la richiesta di sospensione dell’esecuzione dell’atto riscossivo impugnato, ex art. 47 del d.lgs. n. 546/92 » (Cass., Sez. U, n. 28709/2020; conf. Cass. n. 14736/2021).
5.1. Principio ribadito da Cass. n. 14736/2021 che, proprio «in tema di responsabilità solidale ex art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997 del cessionario di azienda o di ramo di essa», ha affermato che «va esclusa la nullità della cartella di pagamento» o della successiva intimazione di pagamento, «per il solo fatto che l’emissione della stessa e l’iscrizione a ruolo non siano stati preceduti dalla preventiva escussione del cedente il ramo di azienda, poiché la violazione del “beneficium excussionis” non configura un vizio proprio della cartella ma la relativa eccezione integra un’autonoma “causa petendi” impugnatoria appartenente al perimetro dell’esecuzione che può fondare, al più, la richiesta di sospensione dell’atto riscossivo ex art. 47 d.lgs. n. 546 del 1992».
6. Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta la « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, 19, D.lgs. 546 del 1992, 14, comma, 1, D.lgs. 472 del 1992, rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.: sulla violazione del riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice ordinario laddove la sentenza ha ritenuto che fosse
quest’ultimo il giudice competente per la valutazione dell’illegittima estensione della responsabilità solidale del cessionario oltre il valore dell’azienda ceduta ».
6.1. In relazione a tale motivo, la ricorrente sostiene che «Il Giudice a quo ha parzialmente declinato la propria competenza, ritenendo di non doversi pronunciare in merito all’eccezione relativa al superamento del limite di cui all’art. 14, comma 1, D.lgs. 472 del 1992, secondo cui il cessionario risponde dei debiti del cedente nei limiti del valore dell’azienda ceduta, motivando che la questione dovrà essere risolta dinanzi al giudice dell’esecuzione. Viceversa, trattandosi di una questione ‘sostanziale’ del rapporto tributario e tenuto conto che l’intimazione di pagamento è il pr imo atto con cui è stata rivolta la pretesa impositiva alla Società (secondo il Giudice a quo non è necessaria la notifica di alcun atto prodromico per attivare la responsabilità solidale del cessionario), la Corte di secondo grado avrebbe dovuto affrontarla e, per l’effetto, dichiarare l’illegittimità della pretesa impositiva nella parte in cui è stato intimato il pagamento di somme (oltre Euro 1.200.000,00) ben superiori al valore dell’azienda ceduta (Euro 220.000,00)».
7. Il motivo è fondato.
7.1. «In tema di controversie su atti di riscossione coattiva di entrate di natura tributaria (nella specie, ordine di pagamento diretto ex art. 72 bis del d.P.R. n. 602 del 1973), il discrimine tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria va così individuato: alla giurisdizione tributaria spetta la cognizione sui fatti incidenti sulla pretesa tributaria (inclusi i fatti costitutivi, modificativi od impeditivi di essa in senso sostanziale) che si assumano verificati fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento, se validamente avvenute, o fino al momento dell’atto esecutivo, in caso di notificazione omessa, inesistente o nulla degli atti prodromici; alla giurisdizione ordinaria spetta la cognizione sulle questioni di legittimità formale
dell’atto esecutivo come tale (a prescindere dalla esistenza o dalla validità della notifica degli atti ad esso prodromici) nonché sui fatti incidenti in senso sostanziale sulla pretesa tributaria, successivi all’epoca della valida notifica della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento o successivi, in ipotesi di omissione, inesistenza o nullità di detta notifica, all’atto esecutivo cha abbia assunto la funzione di mezzo di conoscenza della cartella o dell’intimazione« (Cass., Sez. U, n. 7822/2020; conf. Cass., Sez. U, n. 21642 del 2021).
7.2. Alla stregua di tale principio, è evidente che al cessionario d’azienda destinatario di una cartella di pagamento o di un’intimazione di pagamento, è legittimato ad impugnarla dinanzi al giudice tributario per far valere il limite della responsabilità fiss ato dall’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997 entro il «valore dell’azienda o del ramo d’azienda» oggetto di cessione, che è una circostanza attinente alla ‘giusta’ pretesa tributaria nei confronti del soggetto coobbligato ai sensi del citato art. 14.
7.3. Al riguardo e seguendo il percorso argomentativo della sopra citata sentenza delle Sezioni unite, deve ricordarsi:
che l’esecuzione di una pretesa tributaria (come diritto di procedere in executivis ), come per qualsiasi esecuzione, suppone l’esistenza di un titolo esecutivo e di esso fa l’individuazione l’art. 49 del d.P.R. n. 602 del 1973, che, nel testo vigente, dispone al primo inciso del comma 1, che «Per la riscossione delle somme non pagate il concessionario procede ad espropriazione forzata sulla base del ruolo, che costituisce titolo esecutivo»;
che l’art. 21, comma 1, secondo inciso, del d.lgs. n. 546 del 1992 stabilisce che «la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo» mentre l’art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, dispone al comma 1 che «il concessionario procede ad espropriazione forzata quando è inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, salve le
disposizioni relative alla dilazione ed alla sospensione del pagamento», e, quindi, al comma 2, che «se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall’articolo 26, di un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni»;
che il ruolo, giusta l’art. 19, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 546 del 1992, è atto impugnabile davanti alla giurisdizione tributaria e, quindi, la cognizione di ogni questione che riguardi la pretesa tributaria in esso individuata appartiene alla giurisdizione tributaria; e sempre l’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 prevede l’impugnabilità dell’avviso di mora, che attualmente si identifica nell’intimazione di cui all’art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973;
che, pertanto, alla giurisdizione tributaria spetta «la cognizione di ogni questione con cui si fossero fatti valere fatti relativi alla pretesa tributaria e su di essa incidenti: a1) sia in senso formale, cioè in quanto afferenti ad atti di manifestazione di essa come provvedimenti autoritativi ed alle regole della loro adozione come atti amministrativi, fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento, e ciò tanto se validamente avvenute quanto se mancate o inesistenti; a2) e sia in senso sostanziale, cioè in quanto afferenti ai fatti costitutivi, modificativi od impeditivi della pretesa tributaria in senso sostanziale, ove però manifestatisi fino alla notificazione della cartella o dell’intimazione di pagamento se v alidamente avvenute e fino allo stesso atto esecutivo, se quella notificazione fosse mancata o fosse avvenuta in modo inesistente o invalido».
7.4. Da quanto detto consegue che legittimamente la ricorrente ha fatto valere dinanzi al giudice tributario il limite della responsabilità fissato dall’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997 e lo ha fatto anche fondatamente atteso che l’agente della risc ossione ha proceduto all’iscrizione a ruolo nei confronti del coobbligato per un importo di
molto superiore all’entità della sua concorrente responsabilità, e così intimandogli, con l’atto impugnato, il pagamento dell’intero debito della cedente (ammontante ad euro 1.207.671,27) e cioè di un importo ben superiore al limite del valore della cessione del ramo di azienda pari a 220.000,00 euro e, considerato che tale valore non è stato contestato dalla controricorrente, in tale misura deve ridursi l’entità della pretesa erariale, annotandosi al riguardo che nell’intimazione impugnata non vi è alcuna specificazione al riguardo.
In estrema sintesi, vanno rigettati il primo e secondo motivo di ricorso mentre va accolto il terzo con cassazione della sentenza d’appello in relazione a tale motivo e rinvio alla CGT -2 del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 26 marzo 2025