Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18311 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18311 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13809/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa dall’
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO. (ADS80224030587)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. Valle D’ AOSTA n. 36/2016 depositata il 22/11/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La CTR, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato il primo motivo di appello e dichiarato inammissibile il secondo motivo, con la conferma della decisione di primo grado (che aveva respinto il ricorso della contribuente avverso la cartella di pagamento per imposta di registro relativa alla cessione di azienda del 22 settembre 2008);
ricorre per cassazione la contribuente con tre motivi di ricorso;
l’Agenzia delle Entrate ha depositato controdeduzioni e chiede di dichiarare inammissibile o, comunque, di rigettare il ricorso della contribuente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato e deve respingersi, con la condanna al pagamento delle spese e con il raddoppio del contributo unificato.
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente prospetta violazione di legge rilevante per l’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. con riguardo a ll’art. 2, d. lgs. n. 472 del 1997.
Per la ricorrente, in assenza di contestazione di una frode, nell’ipotesi di cessione i debiti non risultanti all’Agenzia delle entrate al momento della cessione non sarebbero imputabili al cessionario. Nel caso in giudizio, prospetta la ricorrente come alla data della cessione di azienda in oggetto, il 22 settembre 2008 (cessione della RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE), il debito fiscale non risultasse da alcun atto dell’Amministrazione finanziaria , «né poteva ivi risultare, derivando dalla rettifica dell’atto sottoscritto fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in data 8 agosto 2008».
Il motivo è infondato; risulta pacifico, e prospettato dalla stessa ricorrente, che non era stato richiesto il certificato di cui all’art. 14, terzo comma, d. lgs. 18 dicembre 2017 n. 472. Altrettanto certo risulta che non è stata contestata alcuna frode rilevante ex art. 14, citato, comma 4.
Nell’ipotesi di cessione senza frode la norma espressamente prevede la responsabilità del cessionario entro il valore della cessione limitatamente ai precedenti tre anni di imposta.
Infatti, «In tema di riscossione dei tributi, l’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997 introduce misure antielusive a tutela dei crediti tributari, disposizioni speciali rispetto all’art. 2560, comma 2, c.c., dirette ad evitare, tramite la previsione della responsabilità, solidale e sussidiaria, del cessionario per i debiti tributari gravanti sul cedente, che, attraverso il trasferimento dell’azienda, sia dispersa la garanzia patrimoniale del contribuente in pregiudizio dell’interesse pubblico. Ne consegue che, nell’ipotesi di cessione conforme a legge, viene valorizzata la diligenza del cessionario nell’assumere, prima della conclusione del negozio traslativo, informazioni sulla posizione debitoria del cedente, così assumendo il primo una responsabilità sussidiaria, con “beneficium excussionis”, limitata nel “quantum” (entro il valore della cessione) e nell’oggetto (con riferimento alle imposte e sanzioni relative al triennio prima del contratto ovvero anche anteriori, ma irrogate o contestate nel triennio, ovvero entro i limiti del debito risultante, alla data del contratto, dagli atti degli uffici finanziari); diversamente, nell’ipotesi di cessione in frode al fisco, la responsabilità del cessionario è presunta “iuris tantum”, “quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante” e senza i limiti previsti per le cessioni conformi a legge» (Cass. Sez. 5, 29/12/2020, n. 29722, Rv. 660039 -01; vedi anche Cass. Sez. 5, 07/06/2024, n. 15948, Rv. 671287 – 01).
Per la norma, quello che rileva è la violazione commessa ‘nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti’. Solo se fosse stato richiesto il certificato di cui al terzo comma dell’art. 14, d. lgs. 18 dicembre 2017 n. 472, non ci sarebbe responsabilità solidale per debiti non conosciuti dal fisco.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione, rilevante ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli art. 14, primo comma, d. lgs. n. 472 del 1997 e 115 cod. proc. civ., in quanto il valore della cessione, come accertato, risultava pari a zero ed il limite della responsabilità del cessionario doveva essere quello (zero). Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato, in quanto la ricorrente prospetta una omessa valutazione di prove ‘prodotte dalla società per ricondurre entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo di azienda ceduti’. Si tratta di una prospettazione sostanzialmente riconducibile all’ art. 360, primo comma, n.5 cod. proc. civ., come tale inammissibile stante la doppia conforme di merito.
Inoltre, la CTR adeguatamente motiva sul valore dell’azienda con accertamenti di merito insindacabili in questa sede, rilevando come l’Agenzia delle entrate si era limitata ‘a recuperare ad imposizione in capo a LVR (alla contribuente) delle quote di ammor tamento dedotte a seguito dell’acquisto di azienda’.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione degli art. 57, d. lgs. N. 546 del 1992, 1306, secondo comma, e 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. .
La rettifica del valore del ramo di azienda trasferito alla ricorrente è stata annullata con sentenza della CTP di Aosta del 23 gennaio 2011, passata in giudicato, emessa su ricorso della RAGIONE_SOCIALE; il valore del ramo di azienda ceduto veniva ridotto ad euro 5.500.000,00 (da 5.700.000,00). La ricorrente in appello aveva fatto presente che solo all’udienza di primo grado aveva preso
conoscenza della decisione in oggetto. La CTR con la sentenza oggi impugnata ha ritenuto inammissibile il motivo in quanto tardivamente proposto (non con il ricorso introduttivo).
Il motivo è infondato, sia perché generico sia perché la decisione impugnata evidenzia che la sentenza di cui si è eccepito il giudicato era divenuta definitiva il 14 dicembre 2011 mentre il ricorso introduttivo è del 22 settembre 2014. Con il ricorso introduttivo nessuna questione di ‘opposizione’ ex art. 1306 cod. civ., era stata prospettata, conseguentemente la CTR ha dichiarato inammissibile il motivo di impugnazione.
Infatti, è indubbio che il giudicato esterno o interno è rilevabile d’ufficio (« L’esistenza di un giudicato, anche esterno, non costituisce oggetto di eccezione in senso tecnico, ma è rilevabile in ogni stato e grado anche d’ufficio, senza che in ciò sia riscontrabile alcuna violazione dei principi del giusto processo», Cass. Sez. 6, 06/06/2011, n. 12159, Rv. 618244 -01; Cass. Sez. U., 25/05/2001, n. 226, Rv. 548189 – 01). Tuttavia, come evidenziato dalla sentenza impugnata, nel nostro caso trova applicazione la regola speciale dell’art. 1306 cod. civ. e, quindi, l’efficacia extrasoggettiva del giudicato non poteva essere rilevata d’ufficio: «Il processo tributario è un processo costitutivo rivolto all’annullamento di atti autoritativi, sicché il parziale annullamento ottenuto dal condebitore impugnante, incidendo su un unico atto impositivo che sorregge il rapporto, esplica i suoi effetti verso tutti i condebitori cui sia stato notificato. Ne consegue, giusta l’art. 1306, comma 2, c.c., che il coobbligato solidale può far valere in giudizio contro l’ente impositore il giudicato a lui favorevole formatosi nel diverso giudizio tra detto Ufficio e l’altro condebitore, sempre che la sentenza non sia fondata su ragioni personali e non siano intervenute preclusioni processuali a carico del soggetto che intende esercitare questo diritto, non essendo tale efficacia extrasoggettiva del giudicato rilevabile d’ufficio» (Cass. Sez. 5, 05/12/2019, n. 31807, Rv. 656015 -01; vedi anche Cass. Sez.
3, 21/12/2011, n. 27906, Rv. 620983 -01 e Cass. Sez. 5, 05/07/2019, n. 18154, Rv. 654512 – 01).
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00, per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 13/05/2025 .