Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 537 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N. 3755/2023 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura allegata al ricorso, domicilio digitale come in atti
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata, domicilio digitale come in atti
-controricorrente – avverso la sentenza N. 2732/2022 emessa dalla Corte d’appello di Milano, depositata in data 16.8.2022;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 4.11.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 5.3.2014, il rag. comm. NOME COGNOME COGNOME convenne dinanzi al Tribunale di Como l’Agenzia delle Entrate (di seguito, AdE) , contestando la responsabilità ex art. 2043 c.c. dell’ Amministrazione relativamente ad una verifica fiscale a suo carico per II.DD. e IVA, avvenuta nel 1986, per gli anni fiscali 1984, 1985 e 1986, conclusasi con p.v.c. della G.d.F. del 30.4.1986, sfociata negli avvisi di accertamento nn. 17 e 18/1987, nonché in tre avvisi di rettifica IVA parziale per ciascuno degli anni oggetto di accertamento, poi integralmente annullati dal giudice tributario; dedusse l’attore che detti avvisi erano stati assunti in violazione delle norme, dei principi e delle circolari all’epoca vigenti , ed erano tali da aver portato a risultati abnormi, con ingenti danni all’attività di esso professionista. Chiese quindi la condanna dell’AdE al pagamento di tutti i danni subiti, quantificati in complessivi € 1.091.221,86, di cui € 591.221,86 per maggiori oneri in termini di interessi e sanzioni corrisposti, € 200.000,00 per perdita di chances ed € 300.000,00 a titolo di danno morale, o a quella somma ritenuta di giustizia.
Costituitasi l’Agenzia delle Entrate, che contestò le avverse domande, il Tribunale di Como, dopo aver istruito la causa e aver disposto anche CTU (ponendo il seguente quesito: ‘Dica il perito se a seguito dell’ispezione e conseguente accertamento del 23.01.1986 presso l’Ufficio del rag. NOME COGNOME di Albavilla, da parte della GDF di Erba, sono state seguite dagli
operatori le procedure di legge e le circolari amministrative all’epoca vigenti’ ), c on sentenza n. 1016/2020 del 15.12.2020 rigettò la domanda e compensò le spese.
La Corte d’appello di Milano, nella resistenza dell’AdE (che propose anche appello incidentale condizionato), rigettò il gravame principale del NOME COGNOME con sentenza n. 2732/2022 del 16.8.2022, dichiarando assorbito l’incidentale e regolando le spese sec ondo soccombenza. Osservò il giudice d’appello che correttamente ‘ il giudice di prime cure escluso la sussistenza di colpa della Pubblica Amministrazione perché non ha ravvisato nella concreta vicenda la violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, tanto più a fronte di un comportamento dell’odierno attore, ‘foriero di dubbi e difficoltà ricostruttive’, che non ha agevolato il lavoro dei funzionari accertatori ‘; ha aggiunto che, benché annullati dal giudice tributario, ‘ gli accertamenti emessi dall’Agenzia delle Entrate trovano fondamento su dati di fatto non controversi fra le parti e, precisamente, i seguenti: versamenti bancari di rilevanti importi che non trovano giustificazione nelle scritture contabili; presentazione in banca di cambiali attive che non trovano giustificazione nelle scritture contabili; pagamenti di svariati milioni di lire a mezzo assegni bancari; differenze di cassa positive non giustificate; rimborsi non giustificati. Tutti questi elementi ben potevano, a giudizio di questa Corte, essere posti a base dell’accertamento di maggior reddito in base alle presunzioni semplici, che ammettono prova contraria a carico del contribuente, previste dal D.P.R. 600/73 e dal D.P.R. 633/72. Invero,
appare logico e corretto presumere, quanto meno per quanto riguarda i versamenti di oltre 3,7 miliardi lire nel biennio 1984 e 1985 (rappresentati da entrate di cassa non contabilizzate e sconto cambiali attive) che trattasi di compensi non dichiarati (c.d. in nero), salvo prova contraria che grava, ex lege, sul contribuente. NOME COGNOME COGNOME non ha mai fornito, tanto nei ricorsi tributari quanto in sede civile, prova documentale certa e dettagliata volta a giustificare le entrate rilevate dagli agenti accertatori. Posto che le presunzioni possono essere poste legittimamente a base di accertamenti tributari, per quanto rilevato, non è ravvisabile nella condotta dell’amministrazione finanziaria alcuna colpa rilevante ex art. 2043 c.c., essendo onere del contribuente produrre documentazione giustificativa dei dati rilevati dagli accertatori ‘.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME COGNOME sulla scorta di tre motivi, cui resiste con controricorso l’AdE. Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione de ll’articolo 115 c.p.c., in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’ appello posto a fondamento della pronuncia impugnata circostanze in fatto incompatibili con le prove documentali in atti. In particolare, il ricorrente si duole della affermazione del giudice ambrosiano secondo cui l’Amministrazione avrebbe ‘ correttamente accertato un maggior reddito ‘, inconciliabile con il risultato dei giudizi tributari, conclusisi con l’annullamento degli atti impositivi. Si sostiene
che i movimenti finanziari al tempo accertati dalla G.d.F. non potevano essere utilizzati quale innesco del meccanismo presuntivo, in assenza di altri elementi e che esso NOME COGNOME aveva depositato copiosa documentazione attestante che tutti i predetti movimenti erano riferibili a pagamenti per conto terzi e non costituivano proventi occultati derivanti dalla sua attività professionale. Errata risultava, dunque, l’ulteriore affermazione del giudice d’appello per cui ‘ a fronte dei rilievi dei verbalizzanti nessuna contestazione o giustificazione è stata fornita da NOME COGNOME COGNOME nemmeno in sede di contenzioso tributario; contenzioso in parte definito con declaratoria di estinzione e, quindi, senza alcun esame nel merito ‘.
1.2 -Con il secondo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 195 e 196 c.p.c. , in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non aver il giudice d’appello disposto sull’istanza di rinnovazione e/o integrazione della CTU attinente ad una circostanza decisiva ai fini della decisione (se gli accertatori avessero rispettato o meno le norme e le circolari in sede di verifica). Deduce il ricorrente che nel corso del giudizio erano stati evidenziati i comportamenti tenuti dagli accertatori in contrasto con i principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, richiamando anche le norme e le circolari la cui osservanza avrebbe scongiurato l’emissione degli atti impositivi in parola. Proprio in ragione dell’elevato tecnicismo delle questioni, il G.I. aveva disposto una CTU, ponendo uno specifico quesito (n.d.e.: esso è riportato nella parte espositiva), rimasto tuttavia inevaso all’esito del deposito
N. 3755/23 R.G.
della relazione, ove è stato soltanto affrontato il tema del rispetto formale delle disposizioni, omettendo il resto. Tale lacuna era stata evidenziata nell’atto d’appello, ma la Corte ambrosiana nulla ha disposto sul punto, difettando nella motivazione ogni riferimento alla questione.
1.3 -Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione de ll’art. 26 della legge n. 4 del 1929, applicabile ratione temporis , a tenore del quale per procedere al l’iscrizione ipotecaria l’Intendenza di Finanza avrebbe dovuto munirsi dell’ autorizzazione del Presidente del Tribunale, mancante nel caso di specie. Sul punto, la Corte d’appello ha laconicamente disatteso le doglianze dell’appellante, rifacendosi alla mancanza di colpa a carico dell’Amministrazione Finanziaria, benché l’iscrizione ipotecaria fosse stata presa in violazione di una norma di legge e avesse comportato la revoca degli affidamenti bancari in danno di esso NOME Guida.
1.4 -Con il quarto motivo, infine, si denuncia la nullità della sentenza impugnata ex art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per motivazione illogica e contraddittoria e quindi omessa. Ciò in quanto la Corte lombarda, a causa dell’omessa evasione del quesito peritale e dell’omessa considerazione dei documenti prodotti, ha presunto la legittimità degli accertamenti, per escludere la colpa in capo all’A.F.
2.1 -Il ricorso presenta un generale profilo di inammissibilità, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis .
Come è noto, ‘ Il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. – secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa – non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, bensì a consentire alla S.C. di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti; per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata ‘ (così la recente Cass. n. 1352/2024).
Ora, nel ricorso che occupa, l ‘esposizione del fatto è del tutto lacunosa e lo è (come emergerà di seguito esaminando i motivi) anche se integrata sulla base di ciò che essi espongono.
Il ricorso, nella parte dedicata all’esposizione, dopo aver effettuato ampio resoconto sullo svolgimento della vicenda in sede tributaria, sia giudiziale che stragiudiziale, omette di indicare quali fossero stati i fatti costitutivi dell’azione spiegata in sede civile , limitandosi (a pag. 7, fatto salvo un generico riferimento alla responsabilità ex art. 2043 c.c. nell’emissione
degli atti impositivi, ‘ per essere stati assunti in violazione delle norme, dei principi, delle circolari all’epoca vigenti … ‘) a riportare le conclusioni della citazione, che evocano anodinamente gli sconosciuti ‘ motivi di cui in narrativa ‘. Ne consegue che resta ignoto l’oggetto del contendere quanto al tenore dei fatti – secondo la domanda – determinativi della responsabilità ex art. 2043 c.c. Parimenti nulla è indicato sulle ragioni del rigetto della domanda in primo grado, nonché sulla consistenza dei motivi d’appello e, a ben vedere, sul come la Corte d’appello li abbia partitamente delibati.
Una simile esposizione è dunque inidonea ad assolvere al requisito del l’art. 366, comma 1, n. 3, nel testo applicabile ratione temporis .
Né, del resto, la lettura dei motivi del ricorso consente di superare tali aspetti, restando incognite le carenze indicate e particolarmente quelle sui fatti costitutivi della domanda.
3.1.1 -In ogni caso, anche la disamina dei singoli motivi – per quanto da essi possa desumersi, nonostante gli indicati deficit -non sfugge alla partita declaratoria di inammissibilità per ciascuno di essi.
Iniziando dal primo motivo, esso è inammissibile in quanto il ricorrente, invece di lamentare l’omesso esame dei fatti che sarebbero stati rappresentati dalle decisioni tributarie (cosa che avrebbe dovuto fare sotto le insegne dell ‘art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.), deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c. da parte del giudice d’appello , ma senza rispettare i criteri di deduzione indicati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. Un., n. 11892/2016 e successive conformi, fra cui Cass.,
Sez. Un., n. 20867/2020). Lamenta, infatti, che la Corte territoriale avrebbe svolto le sue valutazioni senza considerare quelle decisioni e, dunque, imputa ad essa un’erronea valutazione del quadro probatorio. Ma pur a riqualificare le descritte doglianze nel canone corretto, ut supra, l’assenza di individuazione dei fat t i costitutivi dell’azione, unita alla carenza di sufficiente indicazione del contenuto delle decisioni tributarie, in chiara violazione dell’art. 366 , comma 1, n. 6, c.p.c. (atteso che ciò che si riporta risulta del tutto insufficiente, sempre tenendo conto della carenza di indicazione delle ragioni della domanda giudiziale) e con precisazione del se e dove e del che cosa si era dedotto rispetto ad esse nel giudizio di merito, renderebbe il motivo pur riqualificato del tutto non rispondente ai principi dettati, al riguardo, dalle note Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014.
Ancora sul primo motivo, può poi osservarsi che esso si presta ad una ulteriore valutazione di inammissibilità, perché esso non coglie la ratio decidendi dell’impugnata sentenza .
Infatti, per quanto la C orte d’appello di Milano abbia affermato che il rag. NOME COGNOME non avrebbe mai offerto documentazione contraria idonea a superare le presunzioni, neppure nel giudizio tributario, il dictum essenziale della sentenza impugnata va ravvisato nel fatto che la situazione documentale e contabile che la G.d.F. si trovò ad esaminare, durante l’ispezione, era tale da giustificare ampiamente la legittima emissione degli atti impositivi, poi evidentemente superata dal giudice tributario, ma solo per effetto di quanto valutato in sede contenziosa (e
peraltro, come evidenzia l’AdE in controricorso, non del tutto, almeno per le II.DD.). In altre parole, all’esito dell’ispezione, secondo il giudice d’appello, l’emissione degli atti impositivi era più che giustificata; ergo , non può ravvisarsi nessuna colpa in capo all’ Amministrazione, che ha solo fatto ricorso, in tali condizioni, alle presunzioni di legge. Né vale richiamare documenti di prassi, ha proseguito la Corte meneghina: se la ‘realtà gestionale’ dell’attività del rag. NOME COGNOME non era emersa in corso di accertamento, ciò è dipeso solo dalla ‘ omessa produzione da parte del contribuente … della documentazione giustificativa richiesta dagli accertatori ‘ (v. sentenza, p. 10). Come dire: se il contribuente avesse collaborato nell’immediatezza dell’ispezione , questa avrebbe anche potuto concludersi in modo diverso, ma tanto non è avvenuto proprio per fatto imputabile all’odierno ricorrente .
Pertanto, l’affermazione criticata è stata riportata dal ricorrente solo pro domo sua e comunque in modo incompleto: al di là della proposizione sopra richiamata, comunque di per sé irrilevante o innocua, la Corte ambrosiana ha comunque inteso cristallizzare la limpidezza dell’operato dell’ A mministrazione all’esito dell’accertamento fiscale, giustificato dalla situazione oggettiva incontroversa e superato solo in ambito contenzioso tributario.
Né, del resto, il ricorrente ha adeguatamente sottoposto a critica l’argomentazione della Corte d’appello per cui quei determinati elementi fattuali valorizzati ( id est : ‘ versamenti bancari di rilevanti importi che non trovano giustificazione nelle scritture contabili; presentazione in banca di
cambiali attive che non trovano giustificazione nelle scritture contabili; pagamenti di svariati milioni di lire a mezzo assegni bancari; differenze di cassa positive non giustificate; rimborsi non giustificati ‘) non costituissero presunzioni semplici a carico del contribuente, ai sensi del d.P.R. n. 600/73 (per le II.DD.) e del d.P.R. n. 633/1972 (per l’IVA), tali da giustificare il ricorso alla prova inferenziale da parte dell’Ufficio, neppure sotto l’ipotetico profilo dell’eventuale vincolo per effetto d i quanto emergente dal giudicato tributario (valga anche, in proposito, quanto già detto circa la lacunosità dell’esposizione).
Da tutto quanto precede deriva che il mezzo si rivela, dunque, pure aspecifico.
3.1.2 -Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
I n disparte l’erronea evocazione dell’art. 112 c.p.c., occorre anzitutto rilevare la totale inosservanza dell’art. 366 , comma 1, n. 6, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis ), atteso che si omette di riprodurre il contenuto dell’atto di appello quanto alla pretesa richiesta di rinnovazione della CTU: la terzultima proposizione riportata a pag. 21 risulta del tutto generica, in proposito.
Ma vi è di più. Il ricorrente si duole di una mancata rinnovazione della CTU, perché il perito non aveva compiutamente risposto al quesito posto dal G.I. (prima riportato).
Ora, anche al lume del tenore del quesito peritale (di carattere non solo ictu oculi esplorativo, ma involgente addirittura questioni giuridiche, chiaramente di esclusiva pertinenza dell’A.G. adita), più che dolersi della
mancata rinnovazione di una simile (ed inammissibile) indagine tecnica, il ricorrente avrebbe invece dovuto verificare se comunque il giudice di merito avesse o meno riscontrato la violazione di norme primarie o secondarie, nonché di prassi, da parte del giudice d’appello, ed eventualmente dolersi del relativo giudizio: ma il mezzo in esame prescinde del tutto dalla questione.
D’altra parte, la C orte d’appello ha escluso la violazione di tali norme (e della stessa prassi) da parte dell’ Amministrazione, e proprio rispetto a tale statuizione avrebbe al più potuto lamentarsi il ricorrente. Questi, come in parte anticipato, non solo non l’ha fatto con la necessaria specificità, ma ha del tutto obliterato il tema, insistendo per l’accertamento delle dedotte violazioni per il tramite d i una CTU che, già per come prospettata, non avrebbe nemmeno dovuto disporsi. Da qui, dunque , l’inammissibilità del mezzo in esame anche per difetto di specificità.
3.1.3 -Anche il terzo motivo -concernente la pretesa illegittimità dell’iscrizione ipotecaria in suo danno – è inammissibile, non risultando dagli atti legittimamente consultabili da questa Corte dove e quando l’odierno ricorrente abbia avanzato la relativa domanda, e ciò in ancora violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.
3.1.4 -Stessa sorte segue, infine, il quarto motivo, anzitutto perché basato -e peraltro genericamente -su elementi aliunde rispetto alla motivazione.
Inoltre, ancora una volta, il ricorrente non coglie la ratio decidendi dell’impugnata sentenza .
Per quanto ampiamente già detto, né la presunta omessa risposta al quesito peritale, né il presunto omesso esame delle sentenze tributarie (elementi da cui il ricorrente fa discendere il preteso vizio motivazionale denunciato), rilevano ai fini del dictum della C orte d’appello di Milano, essenzialmente fondato sull’assenza di colpa dell’A.F. al momento della emissione degli atti impositivi, perché gli elementi riscontrati dagli accertatori erano comunque tali da giustificare la loro adozione. Il mezzo in esame, dunque, si rivela anche aspecifico, perché prescinde dalla effettiva ragione della decisione adottata dal giudice d’appello.
4.1 -In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell ‘ applicabilità dell ‘ art. 13, comma 1quater , del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in € 10.000,00 per compensi, oltre spese eventualmente prenotate a debito.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo
N. 3755/23 R.G.
a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile,