Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16454 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16454 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata presso L’Avvocatura generale dello Stato, che la difende ex lege;
– ricorrente
–
contro
COGNOME
– intimata
–
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna, n. 1174 depositata il 3 maggio 2016.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del due aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Dato atto che il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Dato atto che la difesa erariale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RILEVATO CHE
SANZIONE FISCALE E INTRANEUS
1.A seguito di indagini svolte venivano emessi p.v.c. con cui si accertava che la RAGIONE_SOCIALE aveva emesso nei riguardi della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.a. fatture per operazioni oggettivamente inesistenti (anni d’imposta da 2004 a 2008). Con altro p.v.c. scaturiva che anche la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE aveva emesso fatture per operazioni inesistenti sempre nei confronti della RAGIONE_SOCIALE s.p.a.
L’Agenzia recuperava dunque a tassazione nei confronti di quest’ultima imponibile relativo agli anni 2006 e 2007, con recupero conseguente d’imposta ed irrogazione di sanzioni.
Altresì, veniva emesso atto di irrogazione delle sanzioni anche a carico di COGNOME per aver perseguito un proprio illecito interesse economico avvalendosi dello schermo sociale.
In particolare, tutte le società citate e coinvolte nelle operazioni suddette erano ricondotte al nucleo famigliare della COGNOME e del marito NOME COGNOME COGNOME (variamente tra loro soci, anche per il mezzo di altre società a loro riconducibili, amministratori).
La CTP respingeva il ricorso, ravvisando accanto alla responsabilità della RAGIONE_SOCIALE quella concorrente dell’amministratore ai sensi dell’art. 9, d.lgs. n. 472/1997, e inappropriato il richiamo dell’art. 7, d.l. n. 269/2003, in quanto si versava non in ipotesi di responsabilità oggettiva dell’amministratore, ma di sua responsabilità soggettiva per aver utilizzato il predetto schermo societario.
La CTR invece accertava che la TEJAS non costituiva lo schermo per il perseguimento di un fine egoistico dell’amministratrice, ma era invece il soggetto nel cui interesse questa tentava di eludere la tassazione.
Riteneva dunque la piena applicabilità del disposto di cui all’art. 7, d.l. n. 269/2003 e dunque accoglieva il gravame ed annullava le sanzioni.
L’Agenzia ricorre in cassazione affidandosi a due motivi.
La contribuente è rimasta intimata.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 5,9 e 11 d.lgs. n. 472/1992; 7, d.l. n. 269/2003.
La CTR avrebbe infatti errato nel ritenere che l’art. 7 cit. operi come limite per la responsabilità concorrente dell’amministratore.
2.1. Il motivo è infondato.
2.1. In maniera estremamente sintetica può dirsi che questa Corte, affrontando l’impatto dell’art. 7, d.l. n. 269/2003 in base al quale ‘ Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di societa’ o enti con personalita’ giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica’ (disposizione che era stata introdotta con l’espresso intento di conformare il sistema sanzionatorio fiscale ai principi di responsabilità penale degli enti introdotti dal d.lgs. n. 231/2001, come attestato dalla Relazione Illustrativa) sul sistema sanzionatorio fiscale, abbia senz’altro tenuto fermi questi punti 1) in linea di principio le sanzioni fiscali vanno poste ad esclusivo carico della persona giuridica che abbia tratto vantaggio fiscale dall’illecito; 2) da ciò deriva l’esclusione di ogni responsabilità sanzionatoria in capo al c.d. intraneus , inteso soprattutto come amministratore, sia di fatto che di diritto, escludendo in tal caso qualsiasi residua applicabilità della norma sul concorso dello stesso ai sensi dell’art. 9, d.lgs. n. 471/97 (v. Cass. n. 19716/2013, n. 25993/2014, n. 13730/2015, n. 4775/2016, n. 5924/2017, n. 28331 del 2018, nn. 9448, 9449, 9450 e 9451/2020,
18116 del 2022); 3) tuttavia, proprio sul presupposto del discrimine costituito dal vantaggio fiscale, allorché la società di capitali si riduce a un mero schermo, un’entità del tutto fittizia costituita solo per consentire ad una persona fisica di trarre essa un vantaggio fiscale, va applicata la regola generale della
responsabilità per la relativa sanzione in capo alla persona fisica stessa (anche qui in conformità alle stesse indicazioni contenute nella Relazione Illustrativa, ed ispirate alla giurisprudenza fin lì formatasi) sul punto cfr. Cass n. 5924/17; 28331/18; 12334/2019; 29038/21, 23221/22; 1946/23 4) la disposizione derogatoria contenuta nell’art. 7 cit. si applicherebbe solo, come ivi espressamente previsto, alle persone giuridiche, ed in particolare alle società di capitali, mentre per le società di persone il sistema continua ad essere imperniato sulle regole proprie della responsabilità personale e del contributo causale, di cui all’art. 9, d.lgs. n. 472/1997 (d’altronde qualsiasi diversa impostazione finirebbe in proposito per avere un impatto limitato, come dimostra il nuovo impianto normativo di cui al d.lgs. n. 87/2024, che pur configurando innovativamente la responsabilità esclusiva per le sanzioni fiscali delle società personali, richiama peraltro, come ovvio, la responsabilità solidale dei soci illimitatamente responsabili).
In base poi ad un orientamento a lungo dominante, anche l’ extraneus , cioè colui che -non avvinto da nessun rapporto di immedesimazione di fatto o di diritto con la persona giuridica -abbia partecipato all’illecito fiscale della persona giuridica quale consulente, notaio, avvocato, commercialista o altro, proprio perché il vantaggio fiscale è da ricondursi alla società, rimane esente dalla responsabilità sanzionatoria in discussione, sull’evidente presupposto della prevalenza della disposizione (derogatoria) sancita dall’art. 7, d.l. n. 269/2003 su quella (generale) di cui all’art. 9, d.lgs. n. 472/1997, basata sul principio di personalità, ritenendosi sotto tal profilo che non vi fosse ragione di distinguere l’ipotesi dell’ intraneus da quella dell’ extraneus (Cass. nn. 9448, 9449, 9450 e 9451/ 2020 e più di recente, Cass. n.25757 del 2020 e n.26057/2023).
Recentemente si è però registrata una divaricazione sul punto, ritenendosi in alcune pronunce ( ex plurimis , Cass. n. 20697/2024) che invece, per l’ extraneus , si applica in ogni caso la regola generale di cui all’art. 9, d.lgs. n. 472/1997, e dunque egli risponda dell’illecito fiscale in concorso con la persona giuridica avvantaggiata. Talora peraltro si è richiesto un quid pluris , cioè uno specifico vantaggio personale dell’ extraneus (identificato soprattutto in un vantaggio aggiuntivo rispetto ad una normale rimunerazione della propria attività di consulente ecc.).
2.2. Nella specie che ne occupa ricorre l’ipotesi sub 2, cioè quella caratterizzata dal coinvolgimento del soggetto intraneus, nella specie dell’amministratrice COGNOME.
La difesa dell’amministrazione prescinde dai riferiti orientamenti in base ai quali il soggetto intraneus non è responsabile delle sanzioni fiscali, e tenta di inquadrare la responsabilità dell’amministratore come avente natura differente da quella imputata alla società, ed in particolare la fonda sul disposto dell’art. 9 del d.ls. n. 472/1997.
Come riferito sopra però questa Corte ha invece già stabilito come in effetti la disciplina dell’art. 7, d.l. n. 269/2003 comporti, in via d’eccezione, una deroga alla responsabilità personale di cui all’art.
9 cit., per cui ricorrendo l’ipotesi di violazioni poste in essere nell’interesse della società da parte dell’amministratore l’unica a rispondere è la società stessa.
In altri termini è proprio il riferimento al rapporto fiscale, intercorrente fra una società e l’erario e cui fa riferimento espresso l’art. 7 cit., a determinare l’esclusiva responsabilità della società che si avvantaggia dell’evasione.
Scelta legislativa che non prevede alcuna forma di eccezione, e che non prende in esame altre forme di vantaggi personali (riflessi) degli altri soggetti coinvolti, ma che allo stesso tempo, per la sua natura eccezionale rispetto al principio di personalità della responsabilità, vale solo nell’ambito delle sanzioni fiscali, il che
dunque comporta, ad esempio, che rimane intatto il profilo civilistico e penalistico della responsabilità del concorrente.
In altri termini non può ritenersi la convivenza della responsabilità per sanzioni fiscali della società con quella dell’ intraneus, proprio perché il collegamento normativamente stabilito è fra rapporto fiscale e vantaggio fiscale da un lato, ed esclusiva responsabilità della società dall’altro.
D’altronde ritenere l’amministratore concorrente della società, e dunque responsabile in proprio ex art. 9, d.lgs. n. 472/97, costituisce un’ interpretatio abrogans della disposizione di cui all’art. 7 d.l. cit.
Il che spiega come unica ipotesi in cui la responsabilità di un altro soggetto -ed in particolare dell’amministratore – possa essere configurata, è quella in cui la società stessa non costituisca un’entità effettiva, ma una fictio, un mero schermo sociale.
Nella specie, di là dalle mere affermazioni, non risulta affatto che la società costituisca una mera fictio , anzi la stessa Agenzia la rese destinataria dell’accertamento fiscale e delle relative sanzioni (cfr. pagg. 4 e 5 del ricorso) e piuttosto la natura di ‘cartiere’ viene identificata nelle società che emisero le fatture.
In altri termini va confermato l’orientamento di questa Corte per cui la società fittizia è quella che non ha mai effettuato reali operazioni né ha mai svolto attività d’impresa.
Al riguardo ha sostenuto questa Corte che «il menzionato art. 7 intende regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente, e, in particolare, l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima», ma non nel caso in cui la persona fisica sia «esclusivo beneficiario delle violazioni contestate», nel qual caso «non sussiste detta differenza, atteso che quest’ultimo è, al tempo stesso, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una
mera fictio , creata nell’esclusivo interesse della persona fisica» (Cass. n. 19716 del 2013, in motivazione; conf. Cass. n. 5924 del 2017, in motivazione; v., inoltre, Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10975 del 18/04/2019).
La stessa CTR ha d’altronde accertato in fatto l’effettività della RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, di cui anche la COGNOME era socia, sottesa a tutta la motivazione della sentenza.
Il coinvolgimento dell’amministratore nella responsabilità fiscale per sanzioni della società non può neppure essere verificato per il mezzo della prospettata esorbitanza dalle mansioni svolte dallo stesso rispetto alla normale gestione, nel senso che la COGNOME (nella specie) non si sarebbe limitata alla gestione sociale, ma avrebbe perseguito un fine suo proprio, doloso.
Infatti, o si dimostra che la società costituisce un mero schermo, un’entità non effettiva o ancora uno strumento di mera interposizione, ma come detto la CTR ha accertato esattamente il contrario, oppure la finalità è sempre riconducibile al vantaggio fiscale della società che, come tutti gli altri vantaggi della società, certamente poi si riverberano sugli utili percepiti dai soci, tra cui nella specie la COGNOME, senza però che la fisiologia del rapporto sociale ne risenta.
Tantomeno la stessa prospettazione dell’Agenzia risulta compatibile con l’ipotesi in cui ferma come nella specie l’accertata effettività della società di capitali — il soggetto maturi dei redditi attraverso il meccanismo dell’interposizione, previsto dall’art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, che , nel nostro ordinamento, mira a riallineare l’attività svolta da un altro soggetto con l’effettivo percettore dei redditi. Invero in tal caso si è concluso che in tema di sanzioni tributarie, nell’interposizione del gestore “uti dominus” alla società di capitali interposta, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 non ha rilievo il rapporto fiscale di quest’ultima, ma quello che fa capo direttamente all’interponente,
in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa, sicché, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, la fattispecie esula dal disposto di cui all’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 e le violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività. In tal caso peraltro incombe sull’Amministrazione l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente (Cass. n. 23231 del 25/07/2022, cit.; Cass. n. 33434 dell’11/11/2022, cit.), tale, quindi, da dimostrare: a) la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte del reddito del soggetto imprenditoriale interposto; b) che il primo sia l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società (Cass. n. 33457 del 30/11/2023).
Può dunque affermarsi il seguente principio di diritto
‘In caso di società di capitali o di ente dotato di personalità giuridica, la quale non costituisca un mero schermo e quindi un’entità fittizia, o che comunque non sia utilizzata come mero soggetto interposto dal relativo amministratore e in generale dell ‘intraneus per scopi suoi propri -nei quali casi è infatti quest’ultimo il soggetto passivo in quanto titolare del vantaggio fiscale -tutte le sanzioni fiscali che dipendono dal suo comportamento debbono essere irrogate esclusivamente in capo alla società od alla persona giuridica stessa cui va ricondotto il rapporto fiscale e dunque il relativo vantaggio, in base al disposto di cui all’art. 7, d.l. n. 269/2003, con esclusione dunque di qualsiasi imputazione della sanzione a titolo di concorso all’ intraneus ai sensi dell’art. 9, d.lgs. n. 472/1997′.
Orbene nel caso che ne occupa l’Agenzia sostiene che la COGNOME sarebbe stata sanzionata ‘per aver posto in essere diverse condotte che hanno agevolato e consentito le violazioni della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE‘ (pag. 19 del ricorso), per cui si è totalmente al di fuori della prospettazione dell’interposizione (peraltro in contrasto con la tesi pur sostenuta della fittizietà della società).
La tesi, infine, secondo cui l’art. 7, d.l. n. 269/2003, sia stato inteso solo a regolare i rapporti interni tra amministratore e società, risulta del tutto estranea all’orientamento di questa Corte ed alla stessa formulazione della disposizione.
Col secondo motivo l’amministrazione deduce omesso esame di un fatto decisivo, costituito nella specie negli elementi probatori trascurati dalla CTR e invece valorizzati dalla difesa erariale, che dovrebbero dimostrare il perseguimento da parte della COGNOME di un interesse non della società, ma proprio.
In particolare, si sottolinea come sia stato trascurato dalla CTR il fatto che, proprio la mancata previsione di un compenso all’amministratore, dimostrerebbe come in realtà essa perseguiva un fine proprio, come confermato dall’essere la RAGIONE_SOCIALE inserita in un ampio schema evasivo di cui facevano parte altre società riconducibili al nucleo famigliare della COGNOME.
3.1. Il motivo è infondato perché invece a pag. 4, e poi ancora a pag. 5 la sentenza d’appello prende espressamente in considerazione tali elementi dedotti dall’Agenzia, e li ritiene non decisivi.
D’altronde anche il percepimento di utili derivanti dall’evasione, come già osservato, non ha nessuna attinenza rispetto alla effettività della società.
Va in proposito richiamato quanto detto al paragrafo precedente in ordine all’effettività o meno di una società, e pertanto come nella specie anche in astratto gli elementi addotti non siano tali da dimostrare la fittizietà della società.
In definitiva il ricorso dev’essere respinto. Nulla per le spese essendo la COGNOME rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025
Il Giudice estensore
(NOME COGNOME Il Presidente
(NOME COGNOME)