Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16452 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16452 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata presso L’Avvocatura generale dello Stato, che la difende ex lege;
– ricorrente principale –
contro
NOME COGNOME con avv. NOME COGNOME
– controricorrente e ricorrente in via incidentale –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna, n. 197 depositata il 20 gennaio 2020.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del due aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Dato atto che il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale.
Dato atto che l’avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di
SANZIONE FISCALE E INTRANEUS
quello incidentale, mentre la difesa erariale ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto di quello incidentale.
RILEVATO CHE
1.A seguito di indagini svolte su società aventi formalmente sede all’estero, in Lussemburgo e nel Liechtenstein, l’Agenzia deduceva che le stesse fossero gestite ed amministrate di fatto da NOME COGNOME. Le società, i cui soci erano il NOME NOME COGNOME e tale NOME COGNOME, svolgevano attività di valorizzazione di immobili siti in Sardegna, di cui erano intestatarie. Una di tali società, RAGIONE_SOCIALE aveva domicilio fiscale in Ferrara, e veniva ritenuta soggiacente alla normativa fiscale italiana ai sensi dell’art. 25 l. n. 218/1995 e 4 modello convenzione OCSE, e dunque assoggettabile a IRES ed IRAP.
Venivano individuate operazioni imponibili quali plusvalenza di € 658.420,75, mancata istituzione della contabilità, inottemperanza all’obbligo dichiarativo e al relativo versamento.
Tali illeciti formavano oggetto di atto impositivo, su cui si innestava un contenzioso conclusosi favorevolmente per l’Agenzia, la quale però irrogava altresì ulteriore avviso di contestazione ai sensi dell’art. 9 d.lgs. n. 472/1997 nei confronti del COGNOME per le sanzioni a suo tempo irrogate alla RAGIONE_SOCIALE La CTP escludeva che il COGNOME fosse il ‘dominus’ della società in questione.
La CTR, adìta dall’Agenzia in sede di gravame, riconosceva il ruolo di amministratore di fatto in capo al COGNOME sulla base di una serie di indici fattuali. Altrettanto concludeva nel senso dell’esterovestizione della società RAGIONE_SOCIALE, e riteneva che avendo essa centro degli interessi in Italia fosse appunto assoggettata alla potestà fiscale italiana. Il giudice d’appello ha però escluso l’assoggettamento alla sanzione fiscale irrogata alla società del COGNOME, in virtù dell’esclusivo assoggettamento alla stessa della persona giuridica, beneficiaria dell’illecito fiscale, ai sensi dell’art. 7, d.l. n. 269/2003, rilevando come mai il COGNOME avesse utilizzato
la società come mero schermo -per il qual caso tornerebbe la regola generale dettata dall’art. 9 visto che il vantaggio in tali casi è ritratto dalla persona fisica che dello schermo sociale si avvale -poiché invece sarebbe risultato che l’attività era stata svolta a vantaggio della società, e particolarmente dei soci già indicati.
La CTR però accoglieva parzialmente l’appello laddove riteneva che il COGNOME dovesse essere sanzionato personalmente per le omissioni formali, non avendo egli conservato le scritture contabili.
Avverso tale pronuncia propone ricorso l’Agenzia affidandosi a due motivi. A sua volta anche il COGNOME ha proposto, con atto notificato nella stessa data, ricorso in cassazione affidato a tre motivi. Lo stesso, a fronte del ricorso dell’Agenzia, ha altresì depositato apposito controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.Pregiudizialmente il collegio qualifica come principale il ricorso proposto dall’Agenzia, ed incidentale quello proposto pur in via autonoma dal contribuente, essendo gli stessi notificati in pari data, ma il primo previamente iscritto a ruolo.
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 9, d.lgs. n. 472/1992; 7, d.l. n. 269/2003, 2727, 2729, 2697, cod. civ. e 115, cod. proc. civ.
La CTR avrebbe infatti errato nel ritenere che il vantaggio fiscale non si fosse volto a favore del COGNOME, che avrebbe artificiosamente costituito le società esterovestite.
2.1. Il motivo è infondato.
In maniera estremamente sintetica può dirsi che questa Corte, affrontando l’impatto dell’art. 7, d.l. n. 269/2003 in base al quale ‘ Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di societa’ o enti con personalita’ giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica’ (disposizione che era stata introdotta con l’espresso intento di conformare il sistema sanzionatorio fiscale ai principi di responsabilità penale degli enti
introdotti dal d.lgs. n. 231/2001, come attestato dalla Relazione Illustrativa) sul sistema sanzionatorio fiscale, abbia senz’altro tenuto fermi questi punti 1) in linea di principio le sanzioni fiscali vanno poste ad esclusivo carico della persona giuridica che abbia tratto vantaggio fiscale dall’illecito; 2) da ciò deriva l’esclusione di ogni responsabilità sanzionatoria in capo al c.d. intraneus , inteso soprattutto come amministratore, sia di fatto che di diritto, escludendo in tal caso qualsiasi residua applicabilità della norma sul concorso dello stesso ai sensi dell’art. 9, d.lgs. n. 471/97 (v. Cass. n. 19716/2013, n. 25993/2014, n. 13730/2015, n. 4775/2016, n. 5924/2017, n. 28331 del 2018, nn. 9448, 9449, 9450 e 9451/2020, n. 18116 del 2022); 3) tuttavia, proprio sul presupposto del discrimine costituito dal vantaggio fiscale, allorché la società di capitali si riduce a un mero schermo, un’entità del tutto fittizia costituita solo per consentire ad una persona fisica di trarre essa un vantaggio fiscale, va applicata la regola generale della responsabilità per la relativa sanzione in capo alla persona fisica stessa (anche qui in conformità alle stesse indicazioni contenute nella Relazione Illustrativa, ed ispirate alla giurisprudenza fin lì formatasi) sul punto cfr. Cass n. 5924/17; 28331/18; 12334/2019; 29038/21, 23221/22; 1946/23 4) la disposizione derogatoria contenuta nell’art. 7 cit. si applicherebbe solo, come ivi espressamente previsto, alle persone giuridiche, ed in particolare alle società di capitali, mentre per le società di persone il sistema continua ad essere imperniato sulle regole proprie della responsabilità personale e del contributo causale, di cui all’art. 9, d.lgs. n. 472/1997 (d’altronde qualsiasi diversa impostazione finirebbe in proposito per avere un impatto limitato, come dimostra il nuovo impianto normativo di cui al d.lgs. n. 87/2024, che pur configurando innovativamente la responsabilità in proposito delle
società personali, richiama peraltro, come ovvio, la responsabilità solidale dei soci illimitatamente responsabili).
In base poi ad un orientamento a lungo dominante, anche l’ extraneus , cioè colui che -non avvinto da nessun rapporto di immedesimazione di fatto o di diritto con la persona giuridica -abbia partecipato all’illecito fiscale della persona giuridica quale consulente, notaio, avvocato, commercialista o altro, proprio perché il vantaggio fiscale è da ricondursi alla società, rimane esente dalla responsabilità sanzionatoria in discussione, sull’evidente presupposto della prevalenza della disposizione (derogatoria) sancita dall’art. 7, d.l. n. 269/2003 su quella (generale) di cui all’art. 9, d.lgs. n. 472/1997, basata sul principio di personalità, ritenendosi sotto tal profilo che non vi fosse ragione di distinguere l’ipotesi dell’ intraneus da quella dell’ extraneus (Cass. nn. 9448, 9449, 9450 e 9451/ 2020 e più di recente, Cass. n.25757 del 2020 e n.26057/2023).
Recentemente si è però registrata una divaricazione sul punto, ritenendosi in alcune pronunce (ex plurimis, Cass. n. 20697/2024) che invece, per l’ extraneus , si applica in ogni caso la regola generale di cui all’art. 9, d.lgs. n. 472/1997, e dunque egli risponda dell’illecito fiscale in concorso con la persona giuridica avvantaggiata, in alcuni casi richiedendosi però un quid pluris , cioè uno specifico vantaggio personale dell’ extraneus (identificato soprattutto in un vantaggio aggiuntivo rispetto ad una normale rimunerazione della propria attività di consulente ecc.).
Nella specie che ne occupa ricorre l’ipotesi sub 2, cioè quella caratterizzata dal coinvolgimento del soggetto intraneus, nella specie un amministratore di fatto in riferimento ad una società che, come si vedrà subito, risulta in base ad un accertamento di fatto reso dal giudice de merito, effettiva e non fittizia.
L”Agenzia ritiene di inquadrare la fattispecie sub 3.
In altri termini l’amministrazione ritiene che il COGNOME si sia avvalso di un mero schermo sociale, frutto di costruzione artificiosa, per raggiungere in proprio vantaggi fiscali.
Per giungere a tali conclusioni la difesa erariale si basa essenzialmente su due differenti percorsi, uno maggiormente sviluppato, secondo cui la CTR avrebbe raggiunto il risultato per cui il COGNOME ebbe a garantire con il suo comportamento un vantaggio esclusivo in favore della persona giuridica procedendo ad un’erronea valutazione delle prove, in particolare numerose operazioni allo sportello sul conto della società, che dovevano denotare i consistenti vantaggi economici che lo stesso traeva dalle operazioni da lui realizzate.
Ora, la CTR ha ricavato le sue conclusioni da altri elementi probatori, che ha rassegnato nella sua motivazione, traendo dagli stessi la convinzione che l’attività dell’amministratore di fatto fosse strumentale al vantaggio fiscale della società. Invero, la CTR ha valorizzato una serie di contatti con i soci, da cui l’amministratore assumeva direttive o rendicontava gli esiti delle operazioni, nonché la corrispondenza dello stesso con terzi in cui egli dava atto dell’appartenenza dei beni e dunque della società a tali soci.
In particolare, la CTR ha accertato che il COGNOME agiva come amministratore di fatto, e che lo stesso neppure interloquiva con i formali amministratori, ma allo stesso tempo la sentenza dà atto di come invece egli, ai fini del recupero dell’iva, dell’aggiornamento catastale ecc., interloquisse con i due soci COGNOME e COGNOME, nipote del principe NOME. E soprattutto con essi, sempre in base alla sentenza, egli interloquiva per le operazioni più rilevanti, quali la vendita di un terreno a un determinato prezzo, e a suffragio di ciò viene fatto richiamo alla ‘corposa corrispondenza’ rinvenuta presso l’abitazione del COGNOME stesso, soprattutto intervenuta con l’avv. COGNOME
Tra l’altro, nei vari passaggi societari succedutisi nel tempo, e soprattutto volti al trasferimento dei terreni a società aventi sede nel Liechtenstein, emerge come gli stessi siano sempre rimasti nella titolarità di NOME COGNOME e dell’Aga Khan (e poi del di lui nipote), e ciò fin dal 1962.
Con ciò la CTR ha in fatto accertato la natura non fittizia, ma vitale della società, che effettivamente faceva capo ai due soci, appunto altrettanto reali.
E si è appena concluso sopra, ripercorrendo pur sommariamente la giurisprudenza di questa Corte in argomento, come in tal caso la responsabilità per le sanzioni fiscali va ricondotta esclusivamente in capo alla società.
Appare allora evidente che la censura erariale, sotto tale profilo, mira a ripercorrere l’accertamento fattuale riservato al giudice di merito, mediante la valorizzazione di elementi probatori differenti rispetto a quelli ritenuti centrali, peraltro senza sconfessare l’effettività della compagine sociale dal momento che non ci si cura di negare la riferibilità ai soci della stessa, limitandosi a ritenere provati vantaggi personali del COGNOME, vantaggi che però, appunto attesa l’incontestata presenza di soci effettivi, non possono identificarsi con quelli di natura fiscale, come tali riconducibili al rapporto fra la società stessa ed il fisco.
Tale censura, dunque, non può sottrarsi ad un giudizio di inammissibilità.
Meno sviluppato ma pur presente appare un secondo percorso argomentativo sotteso al motivo in scrutinio, attraverso il quale il ragionamento del giudice d’appello è ritenuto viziato sotto il profilo dell’errata sussunzione. Ciò traspare dalle difese dell’Agenzia laddove nelle stesse si legge che proprio dagli stessi accertamenti della CTR (l’indiscutibilità dei quali costituisce il presupposto che consente di distinguere la censura di vizio di sussunzione dall’inammissibile censura avente ad oggetto la richiesta di nuovo
accertamento in fatto) circa l’esterovestizione della società e il vantaggio dei soci, dovesse ricavarsi la natura fittizia della società stessa e non la sua effettività, e ulteriormente il suo essere piegata al solo vantaggio dell’amministratore e appunto dei soci.
Con ciò la difesa erariale individua una sorta di concorso fra gli stessi nello spartirsi i vantaggi suddetti.
Tale prospettiva non appare convincente, e la sussunzione operata dalla CTR appare invece conforme alla giurisprudenza di questa Corte, dal momento che come detto non viene posto in discussione il risultato dell’accertamento secondo cui la società aveva soci effettivi, e dunque tale era essa stessa.
Che poi del vantaggio fiscale della persona fisica si avvantaggino i soci, e che anche l’ intraneus possa trarre indiretti benefici (non fiscali ma) in termini remuneratori, non risulta rilevante ai fini dell’individuazione dei soggetti passivi della sanzione fiscale.
Ne resta infatti che -sussistente nella prospettazione del giudice di merito una compagine sociale pur formalmente estera ed anzi residente in un paese a fiscalità privilegiata -che si riconosce con domicilio fiscale e stabile organizzazione in Italia, dunque assoggettata alla fiscalità domestica, titolare di un patrimonio e facente capo a soci effettivi, i relativi vantaggi fiscali derivanti da illecito vanno senz’altro sanzionati, ma tali sanzioni rientrano ad ogni effetto nel disposto dell’art. 7 d.l. n. 289/2003.
Il ragionamento della difesa erariale poi finisce addirittura per identificare di necessità l’amministratore di fatto come un concorrente da coinvolgersi nella sanzione ai sensi dell’art. 9, d.lgs. n. 472/1997, in pieno ed insanabile contrasto con l’insegnamento di questa Corte, sul punto senza contrasto, in ipotesi di soggetto intraneus .
Col secondo motivo l’amministrazione deduce omesso esame di un fatto decisivo, costituito nella specie dagli elementi probatori
trascurati dalla CTR e invece valorizzati dalla difesa erariale, già indicati nel punto precedente.
3.1. Il motivo è inammissibile, non solo perché più che trattarsi di fatti non valutati, si tratta di un’opzione del giudice di merito in ordine alla rilevanza o meno tra quelli presenti al processo, e di loro selezione, per giungere alla propria decisione; ma anche perché lo stesso è estremamente generico, non offrendo neppure un’indicazione precisa degli elementi che inducono a ritenere che il giudice non abbia neppur tenuto presenti siffatti elementi.
In ogni caso il motivo tende ancora una volta a riproporre una rivalutazione dell’accertamento in fatto svolto dal giudice del merito.
Venendo così ai motivi del ricorso incidentale, col primo d’essi di deduce violazione dell’art. 7, d.l. n. 269/2003 in relazione all’art. 9, d.lgs. n. 471/1997; col secondo, subordinato al primo, si deduce, in relazione all’ultima disposizione citata, la violazione dell’art. 2639 cod. civ., laddove la CTR ha ritenuto l’applicabilità della sanzione per violazioni formali sul presupposto della diretta riferibilità della violazione all’amministratore, laddove appunto si presuppone la qualifica di amministratore di fatto in capo al COGNOME; col terzo motivo infine, si deduce violazione dell’art. 15, d.lgs. n. 546/1992, laddove la CTR ha operato la compensazione delle spese pur dando atto del limitato accoglimento dell’appello (in relazione ad una sanzione di poco più di mille euro).
4.1. Il motivo primo e principale è fondato, con assorbimento degli altri motivi in quanto spiegati in via meramente subordinata.
Invero volta che la fattispecie sia inquadrata in fattispecie di sanzioni fiscali riconducibili ad illecito relativo al vantaggio della persona giuridica, non è dato distinguere all’interno delle singole violazioni fiscali. Le stesse peraltro risultano tutte riconducibili al rapporto fiscale tra la società di capitali e l’amministrazione fiscale cui allude espressamente il disposto del più volte richiamato art. 7,
d.l. n. 269/2003 (salvo che norme specifiche non individuino la concorrente od esclusiva responsabilità di un altro soggetto, ipotesi pacificamente non ricorrente), norma che ha una portata chiaramente omnicomprensiva.
Nella specie la CTR ha voluto distinguere dalle altre violazioni quelle relative alla tenuta della contabilità, ma è oltremodo evidente come anche la regolare tenuta e la conservazione della contabilità rientrino pienamente tra gli obblighi fiscali strutturali della società (e in generale dell’imprenditore: cfr. artt. 2214 e 2220, cod. civ.; 14, d.p.r. n. 600/1973; 22, d.p.r. n. 633/72), e dunque nel relativo rapporto fiscale con l’amministrazione finanziaria.
Del resto, lo stesso atto di irrogazione imputava tutte le violazioni fiscali al COGNOME ‘per le responsabilità a lui attribuibili quale effettivo beneficiario delle violazioni di legge commesse in qualità di amministratore di fatto nonché di autentico dominus dell’ente esterovestito RAGIONE_SOCIALE‘ e nell’atto di contestazione si precisava che ‘l’Ufficio ritiene il sig. COGNOME responsabile ex art. 9 del d.lgs. n. 472/1997…’.
Aldilà della ricostruzione fattuale, è evidente la riconduzione di tutte le violazioni, nessuna esclusa, all’assunto concorso e a una condotta riconducibile, come del resto necessariamente, alla qualità di amministratore, e non a una condotta personale ed esclusiva dello stesso (come se si trattasse, cioè, di una sanzione non riconducibile alla società).
Al postutto il ricorso principale dev’essere respinto, mentre quello incidentale dev’essere accolto e in relazione a quest’ultimo, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito il ricorso introduttivo dev’essere accolto. Il tutto con aggravio di spese a carico dell’amministrazione soccombente. Spese delle fasi di merito inerenti all’accoglimento compensate.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso principale e, in accoglimento del ricorso incidentale, cassa in relazione a quest’ultimo la sentenza impugnata, e decidendo nel merito, accoglie -sempre in relazione al ricorso incidentale -il ricorso introduttivo.
Condanna la ricorrente principale a pagare in favore dell’avv. NOME COGNOME che se ne dichiara antistatario le spese di lite, che liquida in € 10.000,00 oltre 15 % dell’onorario per spese generali, i.v.a. e c.p.a. ed oltre ad esborsi per € 200,00.
Spese delle fasi di merito per quanto in motivazione, compensate.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025