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Residenza fiscale: tassazione del reddito estero

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5558/2024, ha stabilito che un cittadino italiano che lavora all’estero (in questo caso, in Kazakhstan) per più di 183 giorni, ma mantiene in Italia il centro dei propri interessi familiari ed economici, conserva la residenza fiscale in Italia. Di conseguenza, il reddito prodotto all’estero deve essere dichiarato anche in Italia. La Corte ha chiarito che la convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Kazakhstan prevede una tassazione concorrente, e non esclusiva. Per evitare la doppia imposizione, al contribuente spetta un credito per le imposte già pagate all’estero.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Tassazione del reddito estero: la residenza fiscale in Italia e le convenzioni internazionali

La determinazione della residenza fiscale è un tema cruciale per i cittadini italiani che lavorano all’estero. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 5558/2024) ha fornito chiarimenti fondamentali sull’obbligo di dichiarare in Italia i redditi percepiti all’estero, anche se già tassati nel Paese straniero. Il caso riguardava un lavoratore dipendente in Kazakhstan che, pur avendo soggiornato lì per più di 183 giorni, ha mantenuto in Italia il centro dei propri interessi vitali.

Il caso: reddito da lavoro in Kazakhstan e la presunzione di residenza fiscale

Un contribuente, dipendente di una società kazaka, aveva svolto la sua attività lavorativa in Kazakhstan per un periodo superiore a 183 giorni nell’anno fiscale contestato. In virtù di ciò, riteneva di essere fiscalmente residente in Kazakhstan e di non avere alcun obbligo dichiarativo in Italia. L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, ha emesso un avviso di accertamento, sostenendo che il contribuente avesse mantenuto la residenza fiscale in Italia. L’Amministrazione Finanziaria ha evidenziato che il lavoratore aveva in Italia la sua unica casa di proprietà, la residenza della sua famiglia e conti correnti su cui venivano accreditati i compensi. I giudici tributari regionali avevano inizialmente dato ragione al contribuente, ma la Cassazione ha ribaltato la decisione.

La questione della residenza fiscale e la Convenzione contro le doppie imposizioni

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione combinata della normativa nazionale e della Convenzione internazionale tra Italia e Kazakhstan per evitare le doppie imposizioni. Secondo l’art. 2 del T.U.I.R. (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), si è considerati fiscalmente residenti in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta, si verifica almeno una delle seguenti condizioni:
1. Iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente.
2. Domicilio nel territorio dello Stato (inteso come sede principale di affari e interessi).
3. Residenza nel territorio dello Stato (intesa come dimora abituale).

La Corte ha ribadito che questi criteri sono alternativi. Pertanto, anche se un cittadino trascorre più di 183 giorni all’estero, non perde automaticamente la residenza fiscale italiana se mantiene in Italia il proprio domicilio, cioè il centro dei suoi legami personali ed economici.

L’interpretazione dell’Art. 15 della Convenzione Italia-Kazakhstan

Il punto decisivo è stato l’interpretazione dell’art. 15 della Convenzione. Questo articolo stabilisce che i salari percepiti da un residente di uno Stato sono imponibili soltanto in quello Stato, a meno che l’attività non sia svolta nell’altro Stato. Se l’attività è svolta nell’altro Stato (Kazakhstan, in questo caso), le remunerazioni possono essere tassate anche in quest’altro Stato. La Cassazione, superando un precedente orientamento, ha sottolineato la differenza cruciale tra l’avverbio “soltanto” (presente nella prima parte della norma) e la sua assenza nella seconda. Questa distinzione, evidente anche nel testo inglese della convenzione (“shall be taxable only” vs “may be taxed”), implica che nel secondo caso non si ha una tassazione esclusiva dello Stato della fonte, ma una potestà impositiva concorrente tra i due Paesi.

Le motivazioni e le conclusioni della Corte di Cassazione

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione affermando che il contribuente, avendo mantenuto in Italia il centro dei propri affari e interessi (famiglia, proprietà immobiliare, conti bancari), non ha mai perso la residenza fiscale italiana. Di conseguenza, in base al principio della tassazione su base mondiale (“worldwide taxation”), era tenuto a dichiarare in Italia tutti i suoi redditi, ovunque prodotti. L’art. 15 della Convenzione non esclude questo diritto per l’Italia, ma stabilisce un regime di tassazione concorrente. Lo Stato della fonte (Kazakhstan) ha il diritto di tassare il reddito prodotto sul suo territorio, e lo Stato di residenza (Italia) ha il diritto di tassare il reddito complessivo del suo residente. Per evitare che il contribuente paghi due volte le imposte, la normativa italiana (art. 165 T.U.I.R.) prevede il meccanismo del credito d’imposta, che permette di detrarre dalle imposte italiane quelle già pagate a titolo definitivo all’estero.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di diritto chiaro: il reddito percepito da un soggetto fiscalmente residente in Italia per un lavoro svolto in Kazakhstan, pur essendo già stato tassato alla fonte in quel Paese, è imponibile anche in Italia. Il contribuente ha l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi in Italia, includendo tali proventi, e ha il diritto di beneficiare del credito per le imposte pagate all’estero. Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche per tutti i lavoratori italiani all’estero, che devono valutare attentamente non solo la durata della permanenza fuori dall’Italia, ma anche e soprattutto la solidità dei loro legami personali ed economici con il nostro Paese per determinare correttamente la propria residenza fiscale.

Lavorare all’estero per più di 183 giorni fa perdere automaticamente la residenza fiscale in Italia?
No. Secondo la sentenza, la permanenza all’estero per più di 183 giorni non è sufficiente a escludere la residenza fiscale in Italia se il contribuente mantiene nel territorio italiano il proprio domicilio, inteso come centro principale dei propri legami familiari, sociali ed economici.

Se un reddito prodotto all’estero è già stato tassato lì, deve essere dichiarato anche in Italia?
Sì. Se il contribuente ha la residenza fiscale in Italia, deve dichiarare anche i redditi prodotti e tassati all’estero. La Convenzione tra Italia e Kazakhstan, in questo caso, prevede una potestà impositiva concorrente, non esclusiva, per lo Stato dove il lavoro è svolto.

Come si evita di pagare due volte le tasse sullo stesso reddito guadagnato all’estero?
Per evitare la doppia imposizione giuridica, la normativa italiana prevede il meccanismo del credito d’imposta (art. 165 T.u.i.r.). Il contribuente può detrarre dalle imposte dovute in Italia un importo pari alle imposte pagate a titolo definitivo nello Stato estero.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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