Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19113 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19113 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 8505/2022, proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, per procura allegata al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso il suo indirizzo di posta elettronica certificata
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 735/2021 della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata il 30 settembre 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 maggio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale della Spezia l’avviso di accertamento TL701A301462/2016, notificatogli il 6 dicembre 2016, sul rilievo del fatto ch’egli aveva omesso di presentare la dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2011.
Il contribuente, cittadino russo e ciclista professionista, sostenne di non essere soggetto ad imposizione in Italia, perché unicamente dimorante, e non fiscalmente residente, nel territorio dello Stato.
La C.T.P. respinse il ricorso.
Il successivo appello del contribuente seguì identica sorte.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la C.T.R. della Liguria ritenne sussistente il requisito della residenza fiscale in Italia, ricollegabile al criterio del “centro degli interessi vitali” previsto dall’ art. 4, comma 2, lett. a), secondo periodo, della Convenzione stipulata tra Italia e Russia in data 9 aprile 1994, ratificata con l. n. 370/1997, a nulla rilevando, a tal fine, che il COGNOME fosse proprietario di un’abitazione permanente in Russia.
Valorizzò, in tal senso, una pluralità di elementi significativi, quali la residenza anagrafica del contribuente nel Comune di Sarzana, ove egli fruiva di assistenza medica, l’allacciamento di utenze domestiche con consumi non irrisori e l’ immatricolazione di due autovetture con
targa italiana; tali elementi, peraltro, traevano conferma ex post dall’intervenuta presentazione delle dichiarazioni dei redditi per le successive annualità 2012 e 2013, nonché nel fatto che, come riferito dall’Agenzia delle entrate, il contribuente risiedeva ancora nel Comune di Sarzana con la propria famiglia.
La sentenza d’appello è stata impugnata dal contribuente con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’Amministrazione ha resistito con controricorso.
Il Pubblico Ministero ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte.
Considerato che:
Con il primo motivo il ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata per contrasto con gli artt. 132, comma secondo, num. 4), cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in quanto retta da motivazione tale da non consentire l’individuazione del tema della lite e delle ragioni poste a fondamento della decisione.
Assume, in particolare, che la pronunzia sarebbe retta da motivazione soltanto apparente, perché acriticamente recettiva delle tesi erariali e fondata su una valutazione parziale degli elementi di prova, selezionati e interpretati senza indicazione delle relative ragioni o con ricorso alle linee interpretative offerte dalla giurisprudenza.
Il secondo motivo reitera la censura di cui al punto che precede, sotto forma di «violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. relativamente agli artt. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.».
2.1. I motivi, meritevoli di scrutinio congiunto per la loro connessione, sono infondati.
2.2. Secondo quanto più volte affermato da questa Corte, il difetto di motivazione della sentenza rilevante sub specie ricorre quando il
giudice -in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111, comma sesto, Cost.), affermato dall’art. 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ. e dall’omologa previsione contenuta nell’art. 36, comma 2, n. 4), del d.lgs. n. 546/1992 per il processo tributario -omette di esporre, anche concisamente, i motivi in fatto e in diritto della decisione, non illustrando l ‘ iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ovvero non chiarendo le prove in base alle quali ha fondato il proprio convincimento, sì da costringere l’interprete ad integrare la statuizione con le più varie, ipotetiche congetture (v., fra le numerose altre, Cass. n. 30178/2023; Cass. n. 5335/2018; Cass. n. 2876/2017).
È poi noto, in tal senso, che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» ovvero una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053/2014), ma anche quelle sorrette da una motivazione che, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, è tuttavia tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (così Cass. n. 4448/2014).
2.3. Si è in presenza, dunque, di una ‘motivazione apparente’ quando la stessa, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a consentire un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice.
In tale caso, la mera apparenza della motivazione è causa di nullità della sentenza, in quanto ne comporta il venir meno della finalità sua
propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016).
2.4. Tale situazione non si è configurata nel caso di specie.
La sentenza impugnata, con motivazione ampia ed esaustiva, ha operato una verifica circa la sussistenza del presupposto per l’individuazione del regime territoriale di imposizione secondo i canoni dettati dall’art. 4 della richiamata Convenzione italo -russa.
Il par. 2 di tale articolo, nel dettare i criteri di risoluzione del possibile conflitto tra le potestà impositive dei due Stati, individua, in particolare, il criterio di riferimento per l’ipotesi in cui il contribuente possa considerarsi residente in entrambi gli Stati contraenti in base a quanto disposto dal precedente par. 1.
In questo senso, i giudici regionali hanno ritenuto dimostrata la condizione di cui alla lett. a) del par. 2, ovvero il fatto che il Petrov, quantunque munito di residenza permanente in entrambi gli Stati, avesse tuttavia «il centro dei suoi interessi vitali» nel territorio italiano.
Le ragioni di tale convincimento sono state esposte dalla C.T.R. in modo chiaro e completo, con indicazione dei mezzi di prova ritenuti persuasivi, e ciò pur a fronte delle diverse allegazioni svolte dall’odierno ricorrente.
La motivazione della decisione si colloca, pertanto, ben al di sopra della soglia de l ‘minimo costituzionale’ indicato dalla giurisprudenza di questa Corte per la valutazione di sufficienza richiesta dall’art. 111, comma sesto, Cost. (cfr. Cass. sez. U. n. 8053 e 8054/2014).
Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 17 e 24 della Convenzione tra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo della Federazione Russa per
evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni, stipulata a Roma il 9 aprile 1996, ratificata con l. n. 370/1997.
Al riguardo, osserva che i propri versamenti retributivi provengono tutti da datori di lavoro ( ‘ squadre corse ‘ ) che hanno sede all’e stero; essi, inoltre, concernono la partecipazione ad eventi sportivi che si svolgono in Italia solo in minima parte, dal che discenderebbe il rilievo del difetto di uno dei requisiti per l’imposizione italiana stabiliti dall’art. 15 della Convenzione.
Su tale presupposto, soggiunge che la C.T.R. aveva male applicato la regola probatoria che fa onere all’Amministrazione di provare i presupposti della pretesa impositiva.
3.1. Il motivo non è fondato.
La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione dell’art. 4, par. 1 e 2, della Convenzione, a mente del quale il presupposto per l’applicazione ad un contribuente del regime impositivo di uno o dell’altro Stato contraente consiste, in via fondamental e, nella residenza nel relativo territorio, considerata tale in relazione alla disponibilità di una «abitazione permanente» in esso.
Laddove, come previsto dal par. 2, lett. a), la persona disponga di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati Contraenti, essa è considerata residente dello Stato Contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali); e tale ultimo è il criterio espressamente richiamato dai giudici d’appello.
3.2. L’invocato art. 17 della Convenzione a mente del quale i redditi ritratti dallo sportivo professionista nello Stato non di residenza soggiacciono ad imposizione in tale ultimo Stato -rendeva necessaria la dimostrazione del relativo presupposto, ovvero che tali redditi derivavano da «prestazioni personali esercitate nell’altro Stato
contraente»; e di tanto era onerato il contribuente , poiché l’effetto che deriva dalla circostanza affermata è quello di un beneficio, vale a dire di un’esenzione da imposta (sull’onere della prova in relazione ai benefici convenzionali si veda, in motivazione, Cass. n. 6005/2023).
Il ricorrente, tuttavia, non ha neppure allegato che i propri redditi avessero tale origine, essendosi limitato ad indicare, in modo generico ed indistinto, la propria partecipazione ad eventi che si svolgono in vari Stati, senza alcun elemento di connessione con quanto oggetto di accertamento in questa sede.
4. Infine, con il quarto motivo, lamentando l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, il ricorrente lamenta il fatto che la C.T.R. non abbia esaminato i documenti da lui prodotti, aventi significato contrario a quanto dalla stessa deciso, quali, in particolare, la copia delle bollette relative alle sue utenze in Russia e il certificato di residenza nel medesimo Paese.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, incontra in primo luogo la barriera preclusiva di cui all’art. 348 -ter cod. proc. civ., vertendosi qui in ipotesi di ‘doppia conforme’ in senso sfavorevole al contribuente.
In ogni caso, poi, la censura si risolve nella richiesta di una rivalutazione delle prove apprezzate dai giudici di merito, che non può trovare ingresso in questa sede.
Il ricorso è dunque complessivamente meritevole di rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del l’art. 13, comma 1bis , del d.P.R. n. 115/2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema