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Residenza fiscale estero: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha stabilito che un cittadino italiano, pur lavorando all’estero per oltre 183 giorni, resta soggetto a tassazione in Italia se mantiene qui il proprio domicilio, inteso come centro degli interessi familiari ed economici. La sentenza chiarisce che la convenzione contro le doppie imposizioni con il Kazakhstan prevede una tassazione concorrente e non esclusiva. Pertanto, il reddito estero deve essere dichiarato in Italia, con diritto al credito per le imposte già pagate all’estero.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Residenza Fiscale Estero: Guida Pratica alla Sentenza della Cassazione

Lavorare all’estero è un’opportunità per molti professionisti italiani, ma spesso sorgono dubbi complessi sugli obblighi fiscali. Una delle questioni più dibattute riguarda la residenza fiscale estero: superare i 183 giorni fuori dall’Italia basta per non dover più dichiarare i redditi nel nostro Paese? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, chiarendo l’importanza dei legami familiari ed economici con l’Italia.

I Fatti del Caso: Lavoratore in Kazakhstan, Fisco in Italia

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un lavoratore dipendente italiano che, per l’anno d’imposta 2001, aveva svolto la sua attività in Kazakhstan per un periodo superiore a 183 giorni. Il contribuente aveva regolarmente pagato le imposte sui suoi redditi nello Stato asiatico, ritenendo di non avere più alcun obbligo dichiarativo in Italia. L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, non era dello stesso avviso e ha emesso un avviso di accertamento, sostenendo che il lavoratore fosse a tutti gli effetti ancora un residente fiscale italiano. Questo perché, nonostante la lunga permanenza all’estero, egli manteneva in Italia la propria abitazione, la famiglia e il centro dei suoi interessi patrimoniali e sociali.

L’Errore della Commissione Tributaria Regionale

In un primo momento, la Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione al contribuente. I giudici di secondo grado avevano infatti ritenuto che la permanenza fisica in Kazakhstan per più di 183 giorni fosse un criterio sufficiente per escludere la residenza fiscale in Italia, rendendo irrilevante la Convenzione tra i due Paesi contro le doppie imposizioni. Questa interpretazione, come vedremo, è stata completamente ribaltata dalla Cassazione.

Analisi della Cassazione sulla residenza fiscale estero

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza d’appello e fornendo un’interpretazione rigorosa sia della normativa interna sia di quella convenzionale.

I Criteri per la Residenza Fiscale in Italia

La Corte ha ribadito che, secondo l’articolo 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.u.i.r.), una persona si considera residente fiscale in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta, soddisfa anche solo una delle seguenti condizioni:
1. È iscritta nelle anagrafi della popolazione residente.
2. Ha il domicilio in Italia ai sensi del codice civile (sede principale di affari e interessi).
3. Ha la residenza in Italia ai sensi del codice civile (dimora abituale).

Nel caso specifico, il contribuente, pur essendo fisicamente in Kazakhstan, non aveva mai reciso i suoi legami con l’Italia, dove risiedeva la sua famiglia, possedeva l’unica casa di proprietà e aveva conti correnti su cui venivano accreditati i compensi. Questi elementi sono sufficienti a radicare il domicilio in Italia e, di conseguenza, la residenza fiscale.

L’Interpretazione della Convenzione Italia-Kazakhstan

Il punto cruciale della sentenza riguarda l’interpretazione dell’art. 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni. La Corte ha spiegato che, quando un residente di uno Stato (Italia) percepisce un reddito da lavoro dipendente svolto nell’altro Stato (Kazakhstan), il trattato non prevede una tassazione esclusiva a favore del Paese dove l’attività è prestata. Al contrario, stabilisce un principio di tassazione concorrente. Lo Stato della fonte (Kazakhstan) può tassare il reddito, ma anche lo Stato di residenza (Italia) mantiene il suo diritto impositivo.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Corte si fonda su un’attenta analisi testuale della Convenzione. L’art. 15, paragrafo 1, stabilisce che i salari sono imponibili “soltanto” nello Stato di residenza, a meno che l’attività non sia svolta nell’altro Stato. In quest’ultimo caso, la norma afferma che le remunerazioni “sono imponibili in questo altro Stato”, omettendo deliberatamente l’avverbio “soltanto”.
Questa differenza non è casuale. Come chiarito anche dai commentari OCSE e dalla giurisprudenza consolidata, l’assenza della parola “soltanto” implica che la potestà impositiva degli Stati contraenti è concorrente. Di conseguenza, l’Italia ha pieno diritto di tassare i redditi percepiti dal suo residente in Kazakhstan. Per evitare la doppia imposizione, il sistema italiano prevede il meccanismo del credito d’imposta (art. 165 T.u.i.r.), che permette di scomputare dalle imposte italiane quelle già versate all’estero a titolo definitivo.

Le Conclusioni

La Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “In materia d’imposte sul reddito, l’art. 15 della Convenzione Italia – Repubblica del Kazakhstan […] non esclude che il reddito percepito da un soggetto residente in Italia per il lavoro svolto in Kazakhstan […] sia imponibile anche nello Stato di residenza del lavoratore e debba essere dichiarato, ferma la possibilità per il contribuente di portare in detrazione le imposte corrisposte all’estero”.
Questa sentenza ribadisce un concetto fondamentale per chi lavora all’estero: la semplice presenza fisica in un altro Paese per oltre 183 giorni non è sufficiente a escludere la residenza fiscale in Italia, se qui si mantengono il domicilio e il centro dei propri interessi vitali. È quindi necessario presentare la dichiarazione dei redditi anche in Italia, indicando i redditi di fonte estera e avvalendosi del credito per le imposte già pagate, per evitare spiacevoli sorprese con il fisco.

Se lavoro all’estero per più di 183 giorni sono esonerato dal dichiarare i redditi in Italia?
No, non necessariamente. Se mantieni in Italia il tuo domicilio (inteso come centro principale dei tuoi affari e interessi familiari, economici e sociali), sei considerato fiscalmente residente in Italia e devi dichiarare anche i redditi prodotti all’estero.

Come si determina la residenza fiscale di un cittadino italiano che lavora all’estero?
La residenza fiscale in Italia sussiste se per la maggior parte dell’anno si verifica anche solo una di queste tre condizioni: iscrizione all’anagrafe, domicilio (sede principale di affari e interessi) nel territorio dello Stato, o residenza (dimora abituale) nel territorio dello Stato.

Se ho già pagato le tasse all’estero, devo pagarle di nuovo in Italia?
No, non paghi due volte l’intera imposta. Devi dichiarare il reddito in Italia, calcolare l’imposta dovuta e da questa potrai detrarre, attraverso il meccanismo del credito d’imposta, le tasse che hai già pagato a titolo definitivo nello Stato estero in cui hai lavorato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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