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Residenza fiscale all’estero: la decisione della Corte

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5550/2024, ha stabilito che un cittadino italiano che lavora all’estero per più di 183 giorni non perde automaticamente la residenza fiscale italiana se mantiene in Italia il proprio “centro degli interessi vitali”, come la famiglia e il patrimonio. La Corte ha chiarito che, in base alla convenzione contro le doppie imposizioni con il Kazakhstan, si applica un regime di tassazione concorrente: il reddito è imponibile sia nello Stato della fonte (Kazakhstan) sia in quello di residenza (Italia), con quest’ultimo che deve riconoscere un credito per le imposte già pagate all’estero.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Residenza Fiscale e Lavoro all’Estero: La Cassazione Chiarisce

Molti professionisti italiani che lavorano all’estero si interrogano sul corretto adempimento dei loro obblighi fiscali. Una delle questioni più complesse riguarda la residenza fiscale: trasferirsi per lavoro in un altro Paese significa automaticamente smettere di pagare le tasse in Italia? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 5550 del 1° marzo 2024) fornisce chiarimenti cruciali, affermando che la permanenza all’estero per oltre 183 giorni non è, da sola, sufficiente a escludere la residenza fiscale in Italia se qui si mantiene il centro dei propri interessi vitali.

Il Caso: Lavoro in Kazakhstan, Famiglia e Interessi in Italia

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un contribuente che, per l’anno d’imposta 2005, aveva lavorato come dipendente in Kazakhstan per un periodo superiore a 183 giorni. L’Agenzia delle Entrate gli aveva notificato un avviso di accertamento per omessa dichiarazione del reddito da lavoro dipendente percepito all’estero, sostenendo che il contribuente fosse a tutti gli effetti fiscalmente residente in Italia. Nonostante la lunga permanenza in Kazakhstan, infatti, in Italia egli manteneva la propria famiglia, possedeva l’unica casa di proprietà e aveva conti correnti su cui venivano accreditati i compensi. La Commissione Tributaria Regionale aveva inizialmente dato ragione al contribuente, ma la Cassazione ha ribaltato la decisione.

Il Principio della Residenza Fiscale: Oltre i 183 Giorni

La normativa italiana (art. 2 del T.u.i.r.) stabilisce che una persona è considerata fiscalmente residente in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta, soddisfa anche solo una delle seguenti condizioni:
1. È iscritta nelle anagrafi della popolazione residente.
2. Ha il domicilio nel territorio dello Stato (inteso come sede principale dei propri affari e interessi).
3. Ha la residenza nel territorio dello Stato (intesa come dimora abituale).

La Corte ha ribadito un principio consolidato: questi criteri sono alternativi. Pertanto, la sola cancellazione dall’anagrafe o la permanenza fisica all’estero per più di 183 giorni non basta a escludere la residenza fiscale italiana se il soggetto mantiene nel nostro Paese il proprio domicilio, ovvero il centro principale delle sue relazioni personali, familiari ed economiche.

L’Interpretazione della Convenzione e la Tassazione Concorrente

Il punto cruciale della sentenza è l’interpretazione dell’art. 15 della Convenzione tra Italia e Kazakhstan contro le doppie imposizioni. La difesa del contribuente sosteneva che, lavorando in Kazakhstan, il reddito dovesse essere tassato esclusivamente lì. La Cassazione, invece, ha chiarito la differenza tra due scenari previsti dalla norma:

1. Tassazione Esclusiva: Il reddito è imponibile soltanto nello Stato di residenza, a meno che l’attività non sia svolta nell’altro Stato.
2. Tassazione Concorrente: Se l’attività è svolta nell’altro Stato (in questo caso, il Kazakhstan), il reddito può essere tassato anche in quello Stato (detto “Stato della fonte”).

La mancanza dell’avverbio “soltanto” nel secondo caso, come evidenziato anche dal testo inglese della Convenzione (“may be taxed”), implica che entrambi gli Stati hanno il diritto di tassare quel reddito. Si instaura quindi un regime di doppia imposizione giuridica.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando che la permanenza del contribuente in Kazakhstan per oltre 183 giorni non era un elemento sufficiente a escludere la sua residenza fiscale in Italia. Gli Ermellini hanno dato prevalenza al concetto di “centro degli interessi vitali”. Elementi come la stabile residenza della famiglia in Italia, la proprietà dell’unico immobile adibito a casa familiare e l’accredito dei compensi su conti correnti italiani hanno dimostrato che il fulcro degli interessi personali e patrimoniali del soggetto era rimasto in Italia. Di conseguenza, pur lavorando all’estero, il suo domicilio ai fini fiscali era radicato nel territorio italiano. Sulla base di ciò, e interpretando l’art. 15 della Convenzione Italia-Kazakhstan, la Corte ha concluso che lo Stato della fonte (Kazakhstan) e lo Stato di residenza (Italia) avevano entrambi una potestà impositiva concorrente. Pertanto, il reddito prodotto all’estero doveva essere dichiarato anche in Italia.

le conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di diritto fondamentale: il reddito percepito da un soggetto residente in Italia per il lavoro svolto in Kazakhstan, pur essendo già stato tassato alla fonte nel Paese estero, è imponibile anche nello Stato di residenza. Per evitare la doppia imposizione, il contribuente ha il diritto di portare in detrazione le imposte pagate all’estero attraverso il meccanismo del credito d’imposta, previsto dall’art. 165 del T.u.i.r. La Corte ha quindi accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza precedente e rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per una nuova valutazione alla luce dei principi enunciati.

Lavorare all’estero per più di 183 giorni esclude automaticamente la residenza fiscale in Italia?
No. Secondo la sentenza, la permanenza fisica all’estero per oltre 183 giorni non è di per sé sufficiente a escludere la residenza fiscale italiana se il contribuente mantiene in Italia il proprio domicilio, inteso come il centro principale dei suoi interessi familiari, sociali ed economici.

Cosa si intende per “centro degli interessi vitali” per determinare la residenza fiscale?
Il “centro degli interessi vitali” è il luogo dove una persona ha i suoi legami più stretti. La sentenza lo identifica con la stabile residenza della famiglia, la proprietà dell’abitazione principale e il luogo dove si concentrano gli interessi patrimoniali, come i conti bancari.

Se un reddito è tassato sia in Italia che all’estero, si pagano le tasse due volte?
No. La sentenza chiarisce che si applica un regime di “tassazione concorrente”. Questo significa che entrambi gli Stati possono tassare il reddito, ma lo Stato di residenza (l’Italia in questo caso) deve concedere un credito d’imposta per le tasse già pagate nello Stato in cui il lavoro è stato svolto, evitando così una doppia imposizione effettiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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