Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24070 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24070 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/09/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 30719-2021, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , c.f. 92027190880, COGNOME NOME , c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME , c.f. CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliati in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf CODICE_FISCALE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis-
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 3931/13/2021 della Commissione tributaria regionale della Sicilia, depositata il 28.04.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 14 maggio 2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME,
RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE – Requisiti – Conseguenze – Accertamento fiscale
Premesso che
RAGIONE_SOCIALE e gli associati COGNOME e COGNOME propongono ricorso per la cassazione della sentenza n. 3931/13/2021, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia il 28.04.2021.
La controversia trae origine dall’avviso d’accertamento che l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva notificato ai ricorrenti, per l’anno 2013, in conseguenza della pretesa carenza di requisiti oggettivi e soggettivi per la qualifica di RAGIONE_SOCIALE. Disconoscendo pertanto l’applicabilità del regime fiscale agevolato, e di contro riscontrando l’esercizio di attività commerciale, l’ufficio aveva proceduto alla rideterminazione RAGIONE_SOCIALE imposte Ires, Irap e Iva, per l’importo complessivo di € 122.620,40 comprensivo di sanzioni.
L’atto impositivo fu impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ragusa, che con sentenza n. 877/03/2019 respinse le ragioni della contribuente. La Commissione tributaria regionale della Sicilia rigettò l’appello introdotto dall’associazio ne con la sentenza ora al vaglio della Corte.
Il giudice regionale, dopo aver respinto la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, sulla quale l’appellante aveva insistito, e dopo aver inquadrato la disciplina RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto legittimo e motivato l’accertamento induttivo, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. 29 settembre 1973, eseguito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; ha sostenuto la correttezza del disconoscimento dei requisiti propri RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e innanzitutto l’assenza di democraticità, l’irregolare funzionamento del Consiglio Direttivo e dell’organo assembleare, la discrasia tra risultanze del conto di cassa e quanto effettivamente rilevato, la scarsa trasparenza nei pagamenti e nella gestione RAGIONE_SOCIALE quote sociali nonché nelle modalità di ammissione degli associati, la contraddittorietà di versamenti eseguiti a soggetti, che solo successivamente risultavano essere ammes si come soci, l’assenza di iscrizione nel registro RAGIONE_SOCIALE associazioni di RAGIONE_SOCIALE prescritta dalla l. n. 266 del 1991, pur essendo qualificata come tale.
Per la cassazione della sentenza i contribuenti hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui ha resistito l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Nell’adunanza camerale del 14 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
Considerato che
Con il primo motivo i ricorrenti si dolgono della «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, co. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546», in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ. La commissione regionale avrebbe erroneamente rigettato la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, indispensabile, a parere dei ricorrenti, per la corretta ricostruzione dei ricavi e dei costi della RAGIONE_SOCIALE. Di questi ultimi non si sarebbe neppure tenuto conto.
Il motivo, formulato quale vizio di interpretazione della norma, sostanziale e processuale, già con tale sovrapposizione di parametri di critica per ciò stesso censurabile, è inammissibile. La decisione di disporre dell’ausilio di un consulente è intanto questione di merito, riservata alla valutazione discrezionale del giudice di merito. Va a tal fine ribadito il principio secondo cui il giudizio sulla necessità e RAGIONE_SOCIALE di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è censurabile per cassazione unicamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., soggiacendo la relativa impugnazione alla preclusione derivante dalla regola della cd. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ. ratione temporis vigente , ora nell’art. 360, quarto e quinto comma, cod. proc. civ.- (Cass., 25 agosto 2023, n. 25281; 23 marzo 2017, n. 7472).
Per mera completezza la motivazione con la quale il RAGIONE_SOCIALE regionale ha ritenuto non necessaria la consulenza è analitica, dettagliata, puntuale nell’evidenziare le ragioni del rigetto della istanza. Né nel ricorso l’ente, al di là di generiche difese, si è premurato di evidenziare dettagliatamente almeno alcuno di quei costi che lamenta non siano state conteggiati al fine della determinazione del reddito, ed invero, ai fini del rispetto del principio di specificità del motivo, non ha neppure avuto cura di riportare le ragioni per la quali la consulenza medesima era stata richiesta.
Infine, sempre per mera completezza, non è neppure vero che non siano stati riconosciuti i costi, come al contrario risulta analiticamente illustrato dalla difesa della controricorrente alla pag. 3 del controricorso.
NUMERO_DOCUMENTO AVV_NOTAIO rel. COGNOME COGNOME COGNOME secondo motivo si denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’a r t. 36 ter del DPR 600/73 in relazione all’art. 360, co 1, n. 3 e 5 c.p.c. Errata e/o illegittima interpretazione RAGIONE_SOCIALE norme relative all’accertamento
tributario. Mancata pronuncia su uno dei motivi di ricorso». La Commissione regionale avrebbe erroneamente ritenuto corretta la pronuncia di primo grado, per non essere stata mai trattata la denuncia di lacunosità dell’atto d’accertamento, nonché per aver erroneamente negato la necessità della preventiva cancellazione dal registro RAGIONE_SOCIALE rispetto all’attività d’accertamento.
Prima di esaminare il secondo motivo, torna intanto utile un preventivo inquadramento della disciplina dettata in materia di RAGIONE_SOCIALE dal d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 ed in particolare, per quanto qui interessa, dell’art. 10. Esso nel comma 1, lett. a), elenca i settori nei quali le RAGIONE_SOCIALE possono svolgere attività, nella forma di associazioni, comitati, fondazioni, società cooperative e altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica. Al fine di assumere la qualifica di RAGIONE_SOCIALE, fruendo RAGIONE_SOCIALE relative agevolazioni fiscali, tali attività devono essere espressamente previste negli statuti o atti costitutivi. Tra di esse si annovera l’assistenza RAGIONE_SOCIALE e socio -sanitaria (n. 1). È prescritto l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà ( lett. b), il divieto di svolgere attività diverse da quelle menzionate alla lettera a) ad eccezione di quelle ad esse direttamente connesse” (lett. c); il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione”, nonché fondi, riserve o capitale e l’obbligo di impiegare tali utili e avanzi “per la realizzazione RAGIONE_SOCIALE attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse” (lett. d ed e); l’obbligo di assicurare un uniforme rapporto associativo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa, con previsione del diritto di voto per i partecipanti per l’approvazione e le modificazioni dell o statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organismi direttivi (lett. h, cui viene ricondotto il cd. principio di democraticità RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE); l’uso nella denominazione ed in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico della locuzione ‘RAGIONE_SOCIALE ‘ o dell’acronimo RAGIONE_SOCIALE.
Il comma 2 spiega cosa debba intendersi per perseguimento di finalità di solidarietà RAGIONE_SOCIALE e in particolare ciò viene identificato nelle cessioni di beni e prestazioni di servizi relative alle attività statutarie in alcuni settori tra i quali l’assistenza RAGIONE_SOCIALE e sanitaria- che siano “dirette ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche,
economiche, sociali o familiari”. In queste categorie vengono inclusi, ai sensi del comma 3, anche i soci, associati o partecipanti, o altri soggetti indicati.
La disciplina così sommariamente riassunta consente di riconoscere la meritevolezza di un regime fiscale di vantaggio per le finalità di interesse collettivo perseguite dalle RAGIONE_SOCIALE, socialmente apprezzabili, e riconducibili in via esclusiva ad obiettivi di ‘ solidarietà RAGIONE_SOCIALE“. Il fine solidaristico è particolarmente evidenziato nel comma 2 dell’art. 10, laddove si esplicita che l’attività è diretta ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiare.
Si è affermato che la nozione di “svantaggio” ‘ individua categorie di persone in condizioni oggettive di disagio per situazioni psico-fisiche particolarmente invalidanti, ovvero per situazioni di devianza, degrado, grave precarietà economico-familiare, emarginazione RAGIONE_SOCIALE, poiché la previsione mira a colmare, incentivando l’opera RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, obiettive condizioni deteriori, rispetto alla generalità dei consociati, in cui si trovi, negli ambiti specifici individuati dalla norma in esame, una particolare categoria di soggetti ‘ (Cass., 18 settembre 2015, n. 18396; 15 febbraio 2013, n. 3789; 28 marzo 2014, n. 7311; 26 giugno 2020, n. 12804).
Si è anche avvertito che il versamento di un corrispettivo per le prestazioni erogate non fa di per sé venire meno il fine solidaristico, il quale non è escluso dalla realizzazione di utili, purché da ciò non discenda che un fine di lucro si accompagni all’intento solidaristico, che deve restare invece l’unico ed esclusivo fine, ciò implicando che gli utili non vengano distribuiti e siano invece impiegati per la realizzazione di attività istituzionali o direttamente connesse (Sez. U, 9 ottobre 2008, n. 24883).
Quanto all’osservanza del principio di cd. democraticità della RAGIONE_SOCIALE, imposto altrettanto rigorosamente dalla lett. h del co. 1 dell’art. 10, e con altrettanto rigore riconosciuto nella giurisprudenza (ex multis, cfr. Cass., 5 agosto 2015, n. 16418), è opportuno evidenziare che solo le fondazioni e gli enti riconosciuti dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, non sono tenute al rispetto dei requisiti di cui alla lett. h), scelta legislativa che evidentemente si pone a cavallo tra la peculiare forma organizzativa, propria RAGIONE_SOCIALE fondazioni, e la necessità di rispetto dei rapporti con le confessioni religiose regolamentate nei rapporti con lo Stato italiano da intese formali.
Si tratta comunque nel complesso di una disciplina rigorosa, il cui rispetto implica l’osservanza formale dei requisiti prescritti, tant’è che si afferma come detti requisiti non possono ritenersi surrogabili con il concreto accertamento della fattuale osservanza dei precetti della norma, sia per la non equivoca lettera di essa, sia per il fatto che si tratta di norma di stretta interpretazione (Cass., 30 giugno 2011, n. 14371; 19 aprile 2017, n. 9828/2017).
Inquadrata la disciplina relativa alle RAGIONE_SOCIALE, e le rigorose regole, cui è astretta la loro operatività e gli obblighi giustificativi dei vantaggi fiscali riconosciuti, il motivo è innanzitutto inammissibile per la sovrapposizione di una pluralità di parametri di censura, senza una distinzione dei punti della sentenza che, per ciascuno di essi , siano stati oggetto d’impugnazione ; è inoltre in ammissibile perché, rispetto alla lamentata lacunosità dell’atto impositivo, manca di indicare in quale atto e in quale punto la questione fosse stata impugnata nei gradi di merito; è inammissibile perché, rispetto alla necessità della preventiva cancellazione del registro RAGIONE_SOCIALE per procedere ad accertamento fiscale, manca la contestazione sulla illegittimità del provvedimento di cancellazione e comunque non riferisce se tale provvedimento sia stato mai impugnato, e quando.
Con il terzo motivo lamenta la «Violazione e falsa applicazione degli articoli 7, co. 36 del D. Lgs. 546/1992 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5. Errata, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla pretesa mancanza dei requisiti oggettivi e soggettivi in capo alla ricorrente per la qualifica di RAGIONE_SOCIALE e conseguente mancato riconoscimento del regime fiscale agevolato. Mancata e/o errata valutazione RAGIONE_SOCIALE prove documentali».
Il motivo, già inammissibile per la ripetuta sovrapposizione di paramentri di censura, senza che sia possibile distinguere a quale parte della pronuncia impugnata siano indirizzate le critiche per vizio di interpretazione di norme sostanziali, o di norme processuali, o ancora per vizio di motivazione, è, sempre per mera completezza, del tutto eccentrico rispetto al contenuto della decisione, nella quale, per quanto già riportato nella parte espositiva dei fatti, ha analiticamente esaminato tutte le irregolarità e le carenze riscontrate nell’operatività della RAGIONE_SOCIALE e nelle plurali violazioni da essa commesse rispetto ai principi fondativi al cui rispetto sono obbligati i
suddetti enti. Il giudice regionale ha cioè evidenziato i requisiti assenti, con un accertamento in fatto, esente da salti logici o errori materiali, che non può essere rimesso in discussione in sede di legittimità.
Il ricorso va dunque rigettato. Le spese processuali seguono le regole della soccombenza e vengono liquidate nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione in favore dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE spese processuali del giudizio di legittimità, da liquidarsi nella misura di € 6.000,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 14 maggio 2024