Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21378 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21378 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAOLITTO LIBERATO
Data pubblicazione: 30/07/2024
ICI IMU Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22833/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE (c.f.05837260636), in persona del suo legale rappresentante p.t. , rappresentata e difesa dall’ avvocato NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE; pec: EMAIL) con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio del AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (c.f. 80014890638), in persona del suo Sindaco p.t. , rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (cf CODICE_FISCALE; pec. EMAIL) e NOME COGNOME (cf CODICE_FISCALE; pec EMAIL), ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio legale RAGIONE_SOCIALE (pec: EMAIL);
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2045/23/20, depositata il 3 marzo 2020, della Commissione tributaria regionale della Campania; udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 4 luglio 2024, dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
-con sentenza n. 2045/23/20, depositata il 3 marzo 2020, la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE, così confermando il decisum di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di accertamento (n. 303102/2673) emesso dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE per il recupero a tassazione della maggiore imposta (IMU) dovuta dalla contribuente (per l’anno 2016) in relazione alla rettificata rendita catastale dell’unità immobiliare posseduta (RAGIONE_SOCIALE);
il giudice del gravame ha ritenuto, in sintesi, che la rendita catastale rettificata -notificata alla parte e confermata in sede giudiziale da una pronuncia della Corte di Cassazione – era stata legittimamente utilizzata dall’Ente impositore in quanto conseguente a dichiarazione di variazione catastale presentata (il 4 marzo 2009) dalla stessa contribuente, e che (del pari) legittimamente era stata applicata la sanzione «nella misura del 30% degli importi non versati»;
– RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi;
il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Considerato che:
1. -il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., espone la denuncia di nullità per violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost., dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. , dell’art. 118, d.a. cod. proc. civ., e del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, assumendo la ricorrente che il decisum della gravata sentenza si fondava su di una
motivazione apparente che non dava conto delle relative ragioni giustificative;
-il motivo è destituito di fondamento;
2.1 -come le Sezioni unite della Corte hanno statuito, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012 n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053);
si è, quindi, ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; v., altresì, Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n.
9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599).
2.2 -nella fattispecie la gravata sentenza ha dato compiutamente conto delle ragioni decisorie, precisando il contenuto della sentenza (allora) impugnata e dei motivi di appello proposti, e rilevando che l’avviso di accertamento impugnato si fondava sui dati catastali legittimamente utilizzabili per il periodo di imposta 2016 nonché che l’Ente impositore aveva correttamente applicato la sanzione per l’omesso versamento del tributo;
-il secondo motivo reca la denuncia di violazione e falsa applicazione del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, artt. 5 e 14, assumendo la ricorrente che la rendita catastale in atti, al gennaio 2016, andava ascritta a quella proposta (con dichiarazione docfa) da essa esponente (per l’importo di € 61.112,00) così che la rendita rettificata (in € 115.220,80) correlandosi ad un (sopravvenuto) avviso di accertamento catastale notificato in data 19 giugno 2012, e divenuto definitivo (a seguito della pronuncia di inammissibilità resa da Cass., 10 gennaio 2017, n. 374 sul proposto ricorso) -costituiva il solo dato utilizzabile ai fini del versamento del tributo né, pertanto, il detto versamento poteva essere sanzionato in difetto di evasione fiscale;
-il terzo motivo espone anch’esso la denuncia di violazione del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, artt. 1 e ss. , sull’assunto che la rendita catastale rilevante a fini impositivi era quella vigente alla data del 1° gennaio dell’anno di imposizione, così che dovevano considerarsi legittimi e corretti i versamenti eseguiti sulla base di una rendita catastale che solo successivamente era stata rettificata;
-i due motivi -che vanno congiuntamente esaminati in quanto sottendono una medesima quaestio iuris di fondo -sono destituiti di fondamento;
4.1 -occorre premettere che, come la Corte ha avuto modo di rilevare in più occasioni, la regola generale ricavabile dall’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992 (riprodotta, quanto all’IMU, dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, comma 4, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214), secondo cui le risultanze catastali divenute definitive per mancata impugnazione hanno efficacia a decorrere dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali, patisce eccezione solo se le variazioni costituiscano correzioni di errori materiali nel classamento che sostituiscono, ovvero conseguano a modificazioni della consistenza o della destinazione dell’immobile dichiarate dallo stesso contribuente, così che esse trovano applicazione dalla data della dichiarazione (così Cass., 24 luglio 2012, n. 13018 cui adde Cass., 21 ottobre 2022, n. 31250; Cass., 5 febbraio 2021, n. 2771; Cass., 28 dicembre 2020, n. 29683; Cass., 12 maggio 2017, n. 11844);
– il principio di diritto appena esposto è, del resto, tributario di altro consolidato orientamento interpretativo della Corte che, con riferimento alla l. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, comma 1, ha, per l’appunto, rilevato l’utilizzabilità della rendita – una volta notificata a fini impositivi – «anche per annualità d’imposta per così dire “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso», ovvero per periodi di imposta anteriori a quello in cui ha avuto luogo la notificazione del provvedimento, purché successivi alla denuncia di variazione (v. Cass., 11 settembre 2019, n. 22653; Cass., 27 luglio 2012, n. 13443; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20775; v., altresì, Cass. Sez. U., 9 febbraio 2011, n. 3160 cui adde , ex plurimis , Cass., 9 giugno 2017, n. 14402; Cass., 6 giugno 2014, n. 12753; Cass., 11 novembre 2011, n. 23600; Cass., 30 settembre 2011, n. 20033);
– e, del resto, si è precisato (anche) che il riferimento operato dal d.lgs. n. 504 del 1992, art. 5, alle «rendite risultanti in catasto, vigenti
al 1° gennaio dell’anno di imposizione», deve essere inteso come avente ad oggetto le rendite «legittimamente vigenti» (Cass., 12 maggio 2010, n. 11439), così che, nel caso del giudicato formatosi a seguito di impugnazione dell’atto di attribuzione della rendita catastale, la sentenza che ne determina la misura, ancorché passata in giudicato nel corso del giudizio avente ad oggetto la determinazione dell’imposta dovuta dal contribuente, rappresenta l’unico dato da prendere in considerazione ai fini dell’individuazione della base imponibile, dovendosi ritenere, a seguito dell’accertamento giudiziale definitivo, che essa costituisca l’unica rendita valida ed efficace ai fini dell’applicazione dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992 fin dal momento dell’attribuzione da parte dell’Ufficio , atteso che gli effetti di ogni provvedimento giurisdizionale retroagiscono al momento della domanda (v. Cass., 4 marzo 2015, n. 4334; Cass., 1 giugno 2006, n. 13069; v., tra le stesse parti, ed a riguardo della medesima vicenda sostanziale, Cass., 26 novembre 2020, n. 27019);
4.2 -nella fattispecie -per come deduce la stessa ricorrente -veniva in considerazione una dichiarazione catastale di variazione presentata con procedura docfa sin dal 4 marzo 2009, così che legittimamente l’Ente impositore teneva conto della nuova rend ita catastale -esposta nell’avviso di accertamento catastale, di poi consolidatasi col giudicato -per periodo di imposta (anno 2016) successivo alla dichiarazione di variazione presentata dalla parte;
4.3 -la sanzione applicata -che si identifica con la fattispecie prevista dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 3 in relazione al «mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto» – rinviene, pertanto, il suo fondamento nella legittima utilizzazione della rendita risultante dalla rettifica catastale per periodo
di imposta, come anticipato, non coperto da maturata decadenza e, di poi, nell’omesso versamento del tributo risultante dalla maggiore rendita catastale accertata (d.l. n. 201 del 2011, art. 13, comma 4, cit.) -nel termine (di gg. 60) previsto in relazione all’emesso avviso di accertamento (d.lgs. n. 504 del 1992, cit., art. 12, richiamato dal d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 9, comma 7; l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 162);
-la disposizione di cui all’art. 13, cit., difatti, deve ritenersi applicabile (anche) ai tributi locali (v. il d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 473, art. 16; v., altresì, Cass., 26 novembre 2021, n. 37006) – in quanto, come rimarcato dalla Corte, disposizione di carattere generale (Cass., 22 aprile 2024, n. 10773; Cass., 23 aprile 2020, n. 8076; Cass., 28 marzo 2018, n. 7608; Cass., 4 agosto 2010, n. 18140) -ed è specificamente volta a sanzionare l’omesso versamento del tributo con conseguente pregiudizio alla riscossione in capo a ll’Ente impositore;
nella fattispecie, peraltro, la stessa ricorrente nemmeno deduce di aver provveduto al versamento del (maggior) tributo dovuto in relazione al termine concesso con l’atto impositivo – inapplicabile, a riguardo de ll’I MU (v. il d.lgs. n. 23 del 2011, art. 9, comma 7, cit.; la l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 162, cit.), la riscossione frazionata di cui al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68 (v., in tema di ICI, Cass., 28 dicembre 2023, n. 36278; Cass., 24 settembre 2015, n. 19015; Cass., 30 giugno 2010, n. 15473) -così che risulta inverata quella condotta (di omesso versamento) che, per l’appunto, integra la fattispecie sanzionatoria (v., con riferimento all’impugnazione di avviso di accertamento seguito dagli adempimenti del contribuente, in règime di riscossione frazionata, Cass., 11 ottobre 2017, n. 23784; Cass., 22 aprile 2016, n. 8131);
e, come ripetutamente rimarcato dalla Corte in tema di elemento soggettivo dell’illecito amministrativo tributario, il d.lgs. 18 dicembre
1997, n. 472, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio generale sancito dalla l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, stabilisce che -seppur non rilevando la mera volontarietà del comportamento sanzionato -rimane, ad ogni modo, sufficiente la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un comportamento quanto meno negligente, ancorché non necessariamente doloso, così che, a fronte della condotta cosciente e volontaria del contribuente, la disposizione pone a suo carico una presunzione di colpa per l’atto illecito (Cass., 30 gennaio 2020, n. 2139; Cass., 15 maggio 2019, n. 12901; Cass., 13 settembre 2018, n. 22329; Cass., 17 marzo 2017, n. 6930);
-le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte
-rigetta il ricorso;
-condanna la ricorrente al pagamento, in favore del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 2.400,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge;
-ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 luglio 2024.