Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 150 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 150 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5070/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO del LAZIO n. 4299/2023 depositata il 12/07/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 4299/1/23, depositata il 12 luglio 2023 e non notificata, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio confermava la sentenza di primo grado che aveva rigettato l’impugnazione proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE avv erso l’avviso di accertamento n. RM 0539745/2018 per la determinazione di un nuovo classamento e rendita catastale dell’unità immobiliare, adibita a struttura sanitaria, ubicata in Roma INDIRIZZO-1-2-3-4- S1, foglio 456, particella 38, subalterno 502.
I giudici di appello ritenevano, in particolare, che, l’avviso de quo -in forza del quale l’Ufficio, a seguito del collaudo della dichiarazione DOCFA presentata da RAGIONE_SOCIALE proprietaria dell’immobile come prima individuato, in data 23 novembre 2017 e relativa alle modifiche dello stesso conseguenti all’applicazione del c.d. ‘Piano casa’ aveva rettificato la rendita catastale ivi proposta di euro 35.020,00, attribuendole il valore maggiore di euro 52.900,00- era da ritenere legittimo e adeguatamente motivato.
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi illustrati con successiva memoria, la RAGIONE_SOCIALE l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta, ex art. 360, primo comma , n. 3, c.p.c., violazione del combinato disposto dell’art.111 Cost., art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., art. 1, comma 2, art. 36, comma 2, nn. 2 e 4 e artt. 49 e 61, d.lgs. n. 546/1992, per non avere i giudici del gravame accolto l’appello dell’odierna contribuente disattendendo la specifica censura circa la
nullità della sentenza di primo grado per apparenza della motivazione.
Con il secondo motivo deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione, dell’art. 112 c.p.c. , per non avere i giudici di appello accolto il motivo di censura afferente alla circostanza che il giudice di primo grado aveva posto a base della sua decisione una causa petendi diversa da quella introdotta dalle parti.
Con il terzo motivo lamenta, ex art. 360, primo comma , n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione del comb. disp degli artt. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/92 e 115 c.p.c., per avere la C.T.R disatteso le censure di parte contribuente non tenendo conto dell’effetto vincolante correlato all’omessa contestazione dell’eccezione di illegittimità dell’avviso di accertamento per mancanza degli elementi e dei valori di confronto po sti a giustificazione dell’atto impositivo. Rileva che, in sede di gravame, la parte contribuente aveva eccepito la mancata contestazione, in primo grado, da parte dell’Ufficio dell’eccezione di illegittimità dell’atto impositivo per mancanza degli elementi e dei valori di confronto posti dall’Agenzia delle entrate a giustificazione del l’atto impositivo, rilevando che l’Ufficio non aveva contestato il ragionamento comparatistico proposto dalla società e finalizzato a minare l’attendibilità dell’atto impositivo e a smentirne le ragioni poste a base della sua motivazione, dato quello della non contestazione da cui non poteva prescindersi.
Con il quarto motivo deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 28 d.P.R. n. 1142/1949 , per avere i giudici di appello disatteso le specifiche censure relative all’erroneità dei criteri di stima operati dall’ ufficio. Evidenzia che nel caso in questione, seppur non attraverso la comparazione di atti di compravendita, l’Agenzia delle entrate territorio, nell’applicazione del criterio della stima diretta e quindi dell’art. 28 d.P.R. n. 1142/1949 così come interpretato dalle innumerevoli statuizioni
della Suprema Corte avrebbe dovuto porre a fondamento del proprio avviso di accertamento un confronto tra l’immobile accertato ed un altro immobile ‘analogo e/o similare’, confronto tra immobili non effettuato.
Con il quinto motivo lamenta, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. dell’art. 2697 c.c. per avere la C.T.R. omesso di valutare che l’Ufficio non aveva fornito elementi probatori idonei a fondare la pretesa impositiva.
Il ricorso deve essere respinto per le ragioni appresso specificate.
I primi due motivi -da esaminare congiuntamente in quanto presentano profili comuni -sono da ritenere inammissibili.
7.1. Con tali censure parte contribuente lamenta il fatto che la Commissione Tributaria Regionale non si sarebbe fatta carico delle carenze motivazionale della sentenza di primo grado nonché di esaminare la specifica censura relativa alla violazione, da parte del primo giudice, del disposto di cui all’art. 112, così facendo, tuttavia non tiene conto della circostanza che la sentenza di appello, quand’anche pienamente confermativa di quella di primo grado, si sovrappone e sostituisce a quest’ultima, in modo tale che solo la sentenza (sostitutiva) di appello può costituire oggetto di ricorso per cassazione per vizi suoi propri, e non per vizi ‘derivati’ della prima pronuncia. È stato invero condivisibilmente affermato che in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza resa in grado di appello, la parte soccombente può denunciare esclusivamente i vizi (a suo avviso) presenti nella sentenza di secondo grado, atteso che questa assorbe e sostituisce, anche se confermativa di essa, quella resa in primo grado (Cass. 8265/2002).
Il terzo motivo è infondato. Contrariamente a quanto dedotto da parte contribuente, nella specie non è configurabile alcuna ‘non contestazione’ posto che nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di una pretesa fiscale fatta valere mediante l’emanazione dell’atto impositivo nel quale i fatti costitutivi della
richiesta sono già stati allegati, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato (Cass. n. 16984/2023), sicchè deve escludersi recisamente che il profilo dedotto -relativo all’illegittimità dell’avviso di accertamento per mancanza degli elementi e dei valori di confronto posti a giustificazione dell’atto impositivo -poteva essere ritenuto non contestato.
Il quarto motivo non coglie nel segno.
9.1. i giudici regionali hanno espressamente considerato il motivo di appello concernente l’asserita carenza motivazionale dell’avviso sotto il profilo della correttezza e adeguatezza della stima operata, e l’hanno rigettato ritenendo a loro volta che l’av viso fosse congruamente motivato perché contenente tutti gli elementi essenziali volti a porre la contribuente in condizione di rendersi edotta dei presupposti della maggiore rendita, in effetti da lei contestati in sede giudiziale. Nel richiamare un precedente della medesima Corte di giustizia, i giudici di appello hanno evidenziato, quanto al motivo relativo ai contenuti e modalità della stima, che correttamente e in adesione alla vigente normativa, l’ Ufficio stante la destinazione speciale ‘D’ aveva pro ceduto con stima diretta ossia con stima puntuale diretta a determinare il più probabile valore di mercato della struttura riferito all’epoca censuaria ’88/’89, adottando come parametro tecnico la consistenza lorda dell’immobile, tratta dalla planimetria depositata dalla società, particolareggiata secondo la specifica destinazione d’uso dei vari locali e delle pertinenze e come parametro economico i prezzi di comune commercio, attraverso il consolidato saggio di fruttuosità.
9.2. Occorre premettere che con il r.d.l. n. 652 del 1939, convertito con legge n. 1249 del 1939 e, successivamente, con d.P.R. n. 1142 del 1949 si è disciplinato il Nuovo Catasto edilizio urbano e si sono distinti i fabbricati in due raggruppamenti: quello degli immobili a
destinazione ordinaria e quello degli immobili a destinazione speciale o particolare. Per il primo gruppo si procede con l’attribuzione di categoria e classe, per il secondo non si esegue detta classificazione, ma si procede mediante stima diretta come dis pone l’art. 10 cit. Secondo quanto prescritto dall’art. 10 del r.d.l. n. 652 del 1939, conv. dalla legge n. 1249 del 1939: la rendita catastale delle unità immobiliari costituite da opifici ed in genere dai fabbricati di cui all’art. 28 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, costruiti per le speciali esigenze di una attività industriale o commerciale e non suscettibili di una destinazione estranea alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni, è determinata con stima diretta per ogni singola unità. Egualmente si procede per la determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari che non sono raggruppabili in categorie e classi, per la singolarità delle loro caratteristiche. In particolare, in base all’art. 30 del d.P.R. n. 1142 del 1949 (Regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano): Le tariffe non si determinano per le unità immobiliari indicate nell’art. 8. Tuttavia la rendita catastale delle unità immobiliari appartenenti a tali categorie si accerta ugualmente, con stima diretta per ogni singola unità. In caso di classamento di immobili con destinazione speciale (come nel caso in esame, con immobile iscritto in cat. D), l’attribuzione della rendita catastale realizzata in seguito alla cd. procedura DOCFA è quindi determinata, ex art. 10, r.d.l. n. 652 del 1939, conv. in l. n. 1249 del 1939, con stima diretta per ogni singola unità e può avvenire tanto con procedimento diretto, ossia partendo dal reddito lordo ordinariamente ritraibile e detraendo le spese e le eventuali perdite, quanto con procedimento indiretto, ossia attraverso un calcolo fondato sul valore del capitale fondiario, costituito dal valore di mercato dell’immobile ovvero dal costo di ricostruzione, tenendo conto, in tale ultimo caso, del deprezzamento delle unità in ragione del loro stato attuale, del livello di obsolescenza e del ciclo di vita tecnico-funzionale (cfr. Cass. n. 7854 del
16/04/2020). Nella Circolare n. 6/2012 dell’Agenzia delle Entrate, si precisa, invero, che con la locuzione “stima diretta” si intende la stima effettuata in maniera puntuale sugli immobili a destinazione speciale o particolare, per i quali, proprio in relazione alla peculiarità delle relative caratteristiche, non risulta possibile fare riferimento al sistema delle tariffe.
9.3. Con riferimento al caso in esame, la rendita risulta stata apprezzata nel rispetto delle normative vigenti che disciplinano il classamento degli immobili di categoria speciale, ovverosia per il tramite di una regolare stima diretta mirata a determinare il più probabile valore di mercato dell’unità immobiliare riferito all’epoca censuaria 1988/1989, utilizzando quale parametro tecnico la consistenza lorda dell’immobile, rilevata dalla planimetria depositata dalla parte, opportunamente differenziata secondo la specifica destinazione d’uso, e quale parametro economico i prezzi di comune commercio, nonché attraverso il consolidato saggio di fruttuosità del 2%, in altre parole, come correttamente eccepito dall’Ufficio, con il criterio della stima puntuale, specifica per ciascuna unità immobiliare con le seguenti modalità: -stima del valore medio/unitario (euro/mq) e calcolo della superficie totale lorda, – valore medio/unitario, moltiplicato per la superficie totale lorda, ottenendosi il valore totale di stim a dell’unità immobiliare (prezzi di mercato ricondotti al biennio 1988/89) e – valore di stima totale, per saggio di fruttuosità del 2%, con conseguente determinazione della rendita catastale definitiva. Occorre, ancora, considerare che trattasi di avviso intervenuto all’esito di una procedura DOCFA attivata dalla parte privata, così da rendersi applicabile il fermo indirizzo interpretativo di legittimità secondo il quale (Cass.n.31809/18 ed innumerevoli altre): ‘in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto
indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza tra la rendita proposta e quella attribuita derivi da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni, mentre, nel caso in cui vi sia una diversa valutazione degli elementi di fatto, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente e sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso’. Analogamente si è affermato in Cass.n. 12777/18, il principio secondo cui: ‘in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni, mentre nel caso in cui vi sia una divergente valutazione degli elementi di fatto indicati dal contribuente, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso’. Ora, nella concretezza del caso emerge dalla stessa narrativa della ricorrente che la maggiore rendita venne dall’ufficio attribuita all’esito di una rideterminazione estimativa degli stessi elementi di fatto emergenti dalla DOCFA senza immutazione o contestazione circa lo stato dei luoghi così come descritto dalla richiedente l’aggiornamento catastale. Pertanto nella fattispecie in esame risultano rispettati i parametri normativi. Piuttosto la censura sì come formulata mira nella sostanza ad una rivalutazione del merito – quanto al valore del bene – non consentita in questa sede (v. Cass. n. 14980/2020; Cass. n. 3005/2021), spettando al giudice di legittimità solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale
delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quelle compete in via esclusiva l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la verifica della loro attendibilità e concludenza e di scegliere tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (Cass. 13.01.2020, n. 331; S.U. 27.12.2019, n. 34476).
10. Il quinto motivo è inammissibile. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 17313/2020). Nel caso in esame non è ravvisabile una siffatta violazione in quanto la Corte di giustizia tributaria di secondo grado, sulla scorta degli elementi fattuali allegati, ha ritenuto congrua la stima dell’ufficio ed infondati gli elementi di segno opposto offerti da parte contribuente.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
11.1. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento, in favore dell’ufficio controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico dell’ente ricorrente, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria in data