Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6858 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6858 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6154/2023 proposto da:
Agenzia delle Entrate (C.F.: 06363391001), in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO) e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, corrente in Torino, alla INDIRIZZO (C.F. e P.IVA: P_IVA), in persona del suo procuratore speciale COGNOME COGNOME nato a Pagazzano (BG) il 27/10/1969, munito dei necessari poteri in forza dell’atto di conferimento di Procura Speciale per Notaio NOME COGNOME (Rep. 8766) del 18/11/2019, rappresentata e difesa, per delega in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME ( C.F.: CODICE_FISCALE ed elettivamente domiciliata presso la Cancelleria
Avviso accertamento rettifica rendita catastale – Docfa- Metodo stima diretta
della Suprema Corte di Cassazione (telefax: NUMERO_TELEFONO; pec: EMAIL
– controricorrente –
-avverso la sentenza 1051/02/2022 emessa dalla CTR Marche il 16/09/2022 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
L’Agenzia del Territorio di Pesaro notificava in data 28.7.2015 atto di accertamento con il quale procedeva a rettifica delle rendite immobiliari di due immobili siti nel comune di Fano, elevando le rendite catastali proposte dalla proprietaria Mediocredito Italiano s.p.a. mediante dichiarazione Docfa (a seguito di lavori di ristrutturazione); utilizzando il criterio di stima indiretto per costo di ricostruzione di cui alla Circolare 6/2012.
La CTP di Ancona accoglieva il ricorso evidenziando la mancata contestazione, da parte della Agenzia, della perizia di stima proposta dalla società contribuente.
Sull’impugnazione dell’Ufficio, la CTR delle Marche rigettava il gravame, evidenziando che l’Agenzia, nel contestare gli immobili similari indicati come riferimento dalla società contribuente, non aveva indicato immobili similari presi da essa in considerazione, né aveva indicato quali valori medi in concreto avesse estrapolato dal prontuario in uso, laddove gli immobili similari richiamati nella perizia della società contribuente erano da ritenere paragonabili, sicchè il valore di € 189/mq risultava più credibile rispetto a quello astrattamente indicato dall’Agenzia di €. 280/mq.
Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di un solo motivo. L’Intesa San Paolo s.p.a. (già Mediocredito Italiano s.p.a.) ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
Con l’unico motivo la ricorrente deduce la falsa e/o erronea applicazione del d.p.r. n. 1142 del 1^ dicembre 1949, dell’art. 37 del d.p.r n. 917 del 22
dicembre 1986 e della legge n. 190/2014, art. 1, comma 244, nonchè della Circolare dell’Agenzia del Territorio n. 6/2012 e della Circolare 2/E/2016 dell’Agenzia delle Entrate, per aver la CTR avallato un procedimento riferito al confronto ad unità tipo e/o immobili similari, proprio dell’accertamento degli immobili iscrivibili nelle categorie ordinarie A, B e C, anziché il metodo del costo di ricostruzione, proprio della stima diretta degli immobili a destinazione speciale.
1.1. Il motivo è infondato.
Alla stregua della perizia di parte riprodotta a pagina 6 del controricorso e posta alla base della decisione qui impugnata, il contribuente, tenendo conto che l’immobile poi oggetto dell’accertamento rientra nella categoria D, ha operato correttamente una stima diretta utilizzando il procedimento indiretto di costo indicato nella Circolare n. 6 del 2012 (vale a dire, quello in virtù del quale il reddito diretto viene calcolato tenuto conto -del valore di mercato o – del costo di ricostruzione) e che, solo ai fini della determinazione del costo medio a mq., ha fatto riferimento ad unità immobiliari esistenti nella stessa provincia.
Pertanto, il contribuente, prima, e le commissioni tributarie di merito, poi, non hanno erroneamente, rispettivamente, utilizzato ed avallato un procedimento riferito al confronto ad unità tipo e/o immobili similari, proprio dell’accertamento degli immobili iscrivibili nelle categorie ordinarie A, B e C, come invece sostenuto dall’Agenzia delle Entrate .
Le ulteriori velate censure formulate dalla ricorrente sollecitano, a ben vedere, una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa nella presente sede, vieppiù se si considera che si è al cospetto di una cd. doppia conforme. Del resto, lo stesso Ufficio, con l’articolato atto di appello, aveva sostenuto che la perizia della società contribuente era basata sul costo di costruzione, sia pure ricavato mediante il rapporto tra le rendite catastali ed il saggio di interesse diviso per le relative superfici degli immobili censiti in Pesaro, di cui solo uno, a suo dire, aveva una superficie comparabile. Aggiungendo altresì che la dichiarazione Docfa prot. 71004/2014 del contribuente proponeva piuttosto un costo di costruzione più alto di quello accertato, ma
non teneva conto delle indicazioni fornite dalla Circolare 6 del 2012, per la rendita catastale di immobili in categoria speciale – Gruppo D.
Conferma di ciò si ha dalla perizia di parte contribuente (posta alla base del Docfa): <>.
Tale approccio non si pone in contrasto con quello individuato nella menzionata circolare, in quanto consente di determinare la rendita catastale dell’unità immobiliare con procedimento indiretto, tramite la quantificazione del valore venale con riferimento al costo di ricostruzione, da deprezzare (vale a dire, attraverso il calcolo del costo a nuovo dell’immobile e degli impianti fissi, opportunamente ridotto in relazione alle condizioni di vetustà ed obsolescenza tecnologica e funzionale).
A ben vedere, l’Ufficio si è limitato a sostenere la correttezza del proprio metodo, avendo operato l’individuazione del costo di ricostruzione dell’immobile, riferito al biennio 1988/89, tramite stima con procedimento indiretto utilizzando un “prontuario medio”, senza peraltro indicare quali valori medi in concreto abbia estrapolato dal detto prontuario. Avuto riguardo al metodo utilizzato dalla società contribuente, ha invece reputato la perizia non adeguata perché richiamante immobili di un altro comune e non similari rispetto a quello oggetto di rettifica.
In caso di classamento di immobili con destinazione speciale (opifici), l’attribuzione della rendita catastale realizzata in seguito alla cd. procedura DOCFA è determinata, ex art. 10, r.d.l. n. 652 del 1939, conv. in l. n. 1249 del 1939, con stima diretta per ogni singola unità e può avvenire tanto con procedimento diretto, ossia partendo dal reddito lordo ordinariamente ritraibile e detraendo le spese e le eventuali perdite, quanto con
procedimento indiretto, ossia attraverso un calcolo fondato sul valore del capitale fondiario, costituito dal valore di mercato dell’immobile (se esiste un mercato delle compravendite), ovvero dal costo di ricostruzione, tenendo conto, in tale ultimo caso, del deprezzamento delle unità in ragione del loro stato attuale, del livello di obsolescenza e del ciclo di vita tecnicofunzionale (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 7854 del 16/04/2020).
In quest’ottica, il criterio adoperato dalla contribuente si rivela rispettoso del dettato normativo.
Da ultimo, la censura concernente l’asserita non similarità degli immobili considerati come parametro si rivela apodittica (siccome non accompagnata da elementi oggettivi a sostegno), a fronte dell’aff ermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui i detti immobili, oltre ad essere collocati in un comune limitrofo (il comune di Pesaro), appartenevano ad un’area territorialmente limitrofa ed analoga a quella in cui erano ubicati gli immobili in contestazione e, in particolare l’immobile identificato in perizia come “RAGIONE_SOCIALE“, aveva una superficie equiparabile, con la conseguenza che il valore di € 189/mq risultava più credibile rispetto a quello astrattamente indicato dall’Agenzia di € 280/mq .
1.2. Qualora l’Agenzia avesse inteso denunciare un vizio motivazionale, lo stesso sarebbe precluso, essendosi al cospetto di una cd. doppia conforme e non avendo la ricorrente neppure dedotto che le decisioni adottate all’esito dei due gradi di merito si f ondassero su ragioni di fatto differenti. Ciò alla luce dell’art. 360, quarto comma, c.p.c., in base al quale <>.
Del resto, in tema di classamento di immobili compresi nella categoria D, l’obbligo di motivazione deve ritenersi osservato quando nel provvedimento siano indicati il capitale fondiario ed il saggio di redditività, poiché l’atto di classamento costituisce l’esito di un procedimento specificamente regolato dalla legge, che prevede la partecipazione del contribuente e che, per gli immobili appartenenti alla indicata categoria, trova il proprio presupposto in una stima diretta eseguita dall’ufficio, in relazione alla quale, esprimendo essa un giudizio sul valore economico dei beni classati di natura eminentemente tecnica, la presenza e l’adeguatezza della motivazione rilevano non già a fini della legittimità, ma della attendibilità concreta del giudizio accennato, e, in sede contenziosa, della verifica della bontà delle ragioni oggetto della pretesa indicata in motivazione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5404 del 04/04/2012).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano coma da dispositivo.
Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. a seguito di proposta di inammissibilità del Consigliere delegato, la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, deve applicare l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., come previsto dal citato art. 380-bis c.p.c.
La novità normativa introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), d.lgs. 149/2022 contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna ad una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma, c.p.c.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 a favore della Cassa delle ammende (art. 96, quarto comma, c.p.c.). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel
sistema processuale.
Sulla scorta di quanto esposto, ed in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma, la parte ricorrente va condannata al pagamento della somma equivalente alle spese liquidate in favore del controricorrente ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. e al pagamento della di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater, dPR 30 maggio 2002, nr. 115 (Cass. Sez. 6 – Ordinanza nr. 1778 del 29/01/2016).
Rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 5.000,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge;
condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., al pagamento in favore della resistente dell’ulteriore somma di euro 5.000,00; condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 11.2.2025.