Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22247 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22247 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 459/2021 R.G. proposto da: PARATORE
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE TRENTO RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME; NOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM. TRIBUTARIA II GRADO TRENTO n. 33/2020 depositata il 28/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.In data 24 luglio 2007, l’Ufficio notificava alla società RAGIONE_SOCIALE l’attribuzione della rendita catastale relativa al compendio immobiliare acquistato in data 31.5.2004 dalla Im.RAGIONE_SOCIALE già oggetto di contratto di locazione del 29.11.2000, stipulato tra quest’ultima e la società RAGIONE_SOCIALE
La contribuente impugnava innanzi la Commissione Tributaria di I grado di Trento l’attribuzione della rendita catastale, evidenziando, in particolare, che le attrezzature tecniche destinate a telefonia, anch’esse oggetto di valutazione ai fini della attribuzione della rendita catastale erano di proprietà ed in uso a RAGIONE_SOCIALE, riepilogando le vicende contrattuali che avevano avuto ad oggetto detti beni. Si rappresentava che in data 23 novembre 2000, RAGIONE_SOCIALE conferiva in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEpRAGIONE_SOCIALE il complesso immobiliare, senza attrezzatura telefonica; nel successivo contratto del 29 novembre 2000, la RAGIONE_SOCIALE concedeva il complesso Immobiliare in locazione in favore di Telecom S.p.a., ove si specificava che . Nel contratto successivo -con cui RAGIONE_SOCIALE concedeva in locazione a RAGIONE_SOCIALE il complesso immobiliare acquisito in forza del conferimento -la conduttrice (RAGIONE_SOCIALE) si obbligava espressamente nei confronti di RAGIONE_SOCIALE a rimuovere a semplice richiesta le attrezzature telefoniche di sua proprietà (ossia della conduttrice RAGIONE_SOCIALE), “imbullonate” al cespite.
Con atto ricognitivo sottoscritto dalla società di RAGIONE_SOCIALE del 28 febbraio 2008, la stessa attestava espressamente di essere proprietaria del traliccio metallico, dei sistemi di alimentazione e condizionamento funzionali agli apparati di telefonia e degli impianti di Security presenti nel complesso immobiliare (doc. 5 –
doc. 4 di secondo grado). In data 24 ottobre 2002, a seguito di operazione di scissione, RAGIONE_SOCIALE trasferiva la proprietà del complesso immobiliare -escluse quindi le attrezzature tecniche -alla RAGIONE_SOCIALE la quale, in data 20 dicembre 2002, veniva fusa per incorporazione nella società RAGIONE_SOCIALE In data 31 maggio 2004, RAGIONE_SOCIALE acquistava il complesso immobiliare da RAGIONE_SOCIALE subentrando ope legis nei relativi diritti e nel richiamato contratto di locazione e divenendo quindi proprietaria del fabbricato ma non anche delle attrezzature tecniche, in quanto non acquisite dal suo dante causa e rimaste sempre di proprietà di RAGIONE_SOCIALE SRAGIONE_SOCIALE Successivamente -in relazione ad una richiesta di chiarimenti da parte dalla Provincia Autonoma di Trento in merito alla valorizzazione delle attrezzature tecniche ai fini del calcolo della rendita catastale del complesso Immobiliare – la società RAGIONE_SOCIALE ribadiva che tali impianti erano di sua proprietà esclusiva e non appartenevano alla società RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza n.19/2/08 la Commissione Tributaria di I grado di Trento respingeva il ricorso. Proposto appello da parte della contribuente la Commissione Tributaria di II grado di Trento, con sentenza n.10/02/10, depositata il 4.6.2010, rigettava l’impugnazione.
RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione avverso la summenzionata sentenza.
Questa Corte, con ordinanza n. 11478/2018, cassava la sentenza di secondo grado, rinviando alla C.T.R. di secondo grado per accertare la sussistenza di un “rapporto giuridico tra la società ricorrente ed i beni oggetto di accatastamento” (ossia l’attrezzatura telefonica valorizzata ai fini della determinazione della rendita catastale dell’immobile di proprietà della Eos). Riassunto il giudizio, i giudici regionali così hanno statuito:
La società indicata in epigrafe ricorre, sulla base di cinque motivi, avverso la decisione n. 33/2020 della Commissione tributaria di secondo grado di Trento. Replica con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell’udienza.
Il procuratore generale ha depositato requisitoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DI DIRITTO
1.La prima censura, proposta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c., deduce la nullità della sentenza d’appello per violazione dell’art. 384, comma 2 c.p.c.
Si critica la decisione impugnata per violazione dell’art. 384, comma 2 c.p.c., in quanto il giudice d’appello non si è conformato al principio di diritto affermato dalla Corte, con sentenza n. 11478/2018, la quale ha cassato con rinvio la sentenza pronunciata in secondo grado statuendo che “la Commissione di secondo grado di Trento accerterà l’esistenza di un rapporto giuridico tra la società ricorrente e i beni oggetto di pretesa di accatastamento idonea a fondare un provvedimento di attribuzione di rendita catastale”.
Invece, dall’esame del testo della sentenza impugnata, emerge, ad avviso della società, come il Giudice del rinvio abbia sostanzialmente omesso il predetto accertamento, non riconoscibile nella mera affermazione che «la proprietà del complesso immobiliare fin qui descritta, comprende tutti gli impianti tecnici che, perché presenti, ne incrementano il valore, tra cui quelli in contestazione, oltre all’immobile pur se edificato in violazione di
norme urbanistiche, che deve ritenersi ad ogni effetto di legge ormai in capo alla EOS».
Si obietta che dal contenuto delle prove documentali prodotte dalla Eos, lo stesso Giudice del rinvio era giunto alla conclusione per cui l’unica proprietaria delle attrezzature strumentali all’attività di telecomunicazioni era (ed è) solo Telecom s.p.a.. Tale circostanza emerge in molteplici passaggi della sentenza, laddove il Giudice a quo afferma che: «con nota informativa allegata, la medesima RAGIONE_SOCIALE manifesta la propria contrarietà a comunicare dati relativi al gruppo elettrogeno, all’impianto di condizionamento, all’impianto televisivo a circuito chiuso e al traliccio metallico, ritenendoli non parti integranti del fabbricato, non stabilmente infissi, ma di proprietà della stessa azienda di RAGIONE_SOCIALE».
In particolare, quanto al traliccio metallico, la società reputava operazione complicata quantizzare il suo valore di costruzione risalente all’incirca all’anno 1989. Pertanto, veniva contestato il classamento dei beni prima richiamati, effettuato dal competente ufficio della P.A.T.; in particolare, si assume che, in relazione al traliccio metallico, la RAGIONE_SOCIALE escludeva fosse stato conferito alla RAGIONE_SOCIALE e da questa poi ceduta in locazione alla stessa RAGIONE_SOCIALE quelle attrezzature e quegli impianti, che potevano essere definiti strumentali all’esercizio dell’attività di telecomunicazione, non costituendo parte del complesso Immobiliare acquistato dalla società RAGIONE_SOCIALE. Si assume che la Corte distrettuale, dopo aver ricostruito il contenuto dei contratti e degli atti unilaterali forniti dalla contribuente, concludendo che le attrezzature erano di proprietà di Telecom, è poi giunta a statuire che la proprietaria delle stesse era la società ricorrente RAGIONE_SOCIALE, senza tuttavia compiere un concreto accertamento in relazione alla proprietà individuabile nel testo della sentenza, così violando la statuizione di questa Corte di cui alla sentenza n. 11478/2018, in forza della quale il Giudice del rinvio avrebbe dovuto accertare l’esistenza di un rapporto
giuridico tra la società ricorrente e i beni oggetto di pretesa di accatastamento idonea a fondare un provvedimento di attribuzione di rendita catastale, che invece non risulta quindi sostanzialmente rispettato.
2. Il secondo mezzo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., denuncia la «violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e dell’art. 1363 c.c., anche in combinato disposto con l’art. 1324 c.c.».
La sentenza di secondo grado risulta viziata per violazione dei canoni legali di interpretazione del contratto previsti dagli artt. 1362 e 1363 c.c. e, per quanto attiene agli atti unilaterali, dal combinato disposto di dette norme codicistiche e dell’art. 1324 c.c. (in tal senso Cass., sez. III n. 9006/2015), non avendo il Collegio d’appello accertato che RAGIONE_SOCIALE ebbe ad acquistare il complesso immobiliare, ad eccezione delle attrezzature tecniche strumentali all’esercizio delle attività di telecomunicazioni, rimaste in proprietà di Telecom. L’art. 1362 c.c. stabilisce, difatti, che si deve accertare la comune intenzione delle parti, anche considerando il loro comportamento successivo alla conclusione del contratto, mentre l’art. 1363 c.c. esige un’interpretazione sistematica delle clausole, in relazione tra loro. Si afferma che la Corte di cassazione ha chiarito che il primo riferimento è il senso letterale delle parole, ma questo va valutato nel contesto complessivo del contratto e che ogni clausola deve essere letta in coordinamento con le altre (Cass. n. 3964/2019).
Il giudicante non ha, invece, valutato nel suo esatto significato l’atto unilaterale ricognitivo di Telecom del 30 marzo 2005, con cui l’azienda dichiarava la propria esclusiva proprietà su specifiche attrezzature (gruppo elettrogeno, impianti, traliccio), escludendole dalla rendita catastale e dall’atto di trasferimento di proprietà.
D’altra parte, si sottolinea come nella premessa del contratto è specificato che non sono comprese nell’immobile concesso in
locazione le attrezzature tecniche rimovibili e strumentali all’attività di telecomunicazioni, ma solo i sistemi elettrici e telefonici fissi non strumentali, i sistemi di sicurezza passiva e antincendio non strumentali, nonché gli impianti fissi non strumentali.
Ed infine, l’art. 12.3, lett. c) del contratto impone a Telecom di rimuovere a proprie spese, al termine della locazione, le attrezzature tecniche di sua proprietà.
Dunque, dall’analisi testuale dei contratti e dal testo degli atti ricognitivi del 30 marzo 2005 (doc. 7 – doc. 11 di primo grado) e del 28 febbraio 2008 (doc. 5 doc. 4 di secondo grado), si evince che RAGIONE_SOCIALE è proprietaria di tutte le attrezzature tecniche strumentali all’attività di telecomunicazioni e che le parti hanno escluso dal trasferimento le attrezzature tecniche strumentali alle telecomunicazioni. Allo stesso risultato si perviene analizzando il contesto contrattuale complessivo ai sensi dell’art. 1363 c.c., giacché tutte le pattuizioni e le affermazioni esaminate convergono inequivocabilmente nel voler attribuire la proprietà delle attrezzature tecniche direttamente in capo a Telecom S.p.a. e non al soggetto (RAGIONE_SOCIALE ovvero le società che l’hanno preceduta) acquirente.
3.Il terzo strumento di impugnazione deduce «la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c., dell’art. 36 d.lgs. 546/1992 e dell’art. 61 d.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c.».
Si osserva che la sentenza impugnata risulta affetta da motivazione apparente, illogicità manifesta e irriducibile contraddittorietà, nella parte in cui -pur dando atto, sulla base dei contratti e degli atti unilaterali esaminati, che la proprietà delle attrezzature tecniche oggetto di causa è, ed è sempre stata, esclusivamente in capo a Telecom Italia S.p.A. -perviene a un’illogica ed immotivata conclusione secondo cui tali beni sarebbero da ritenersi ‘ad ogni
effetto di legge’ di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE con conseguente obbligo di accatastamento in capo a quest’ultima.
Nonostante la chiarezza del testo dei documenti prodotti, il Giudice a quo ha contraddittoriamente affermato la sussistenza della proprietà in capo a RAGIONE_SOCIALE, senza alcuna motivazione idonea a confutare o superare le risultanze probatorie. Ne deriva un vizio di motivazione che si sostanzia in una ‘non motivazione’, rilevante ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., e degli artt. 36 e 61 del D.lgs. 546/1992.
Tale vizio è configurabile come error in procedendo sindacabile in sede di legittimità in quanto impedisce l’effettivo controllo logicogiuridico della decisione.
4. La quarta censura prospetta «in via subordinata, violazione e falsa applicazione dell’art. 4 r.d.l. 652/1939, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c.» Si rappresenta che le summenzionate attrezzature sono di esclusiva proprietà della Telecom Italia S.p.A. e non sono stabilmente infisse al suolo, trattandosi di beni rimovibili, appoggiati o imbullonati a basamenti, come dimostrato da copiosa documentazione (atti contrattuali, dichiarazioni unilaterali, elementi fotografici e tecnico-descrittivi).
Ciò premesso, la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Trento, nella parte in cui ha ritenuto legittima la valorizzazione catastale di tali attrezzature in capo alla società RAGIONE_SOCIALE, si pone in diretto contrasto con il disposto dell’art. 4 del R.D.L. n. 652/1939, il quale ammette l’assoggettamento a rendita catastale unicamente dei fabbricati o costruzioni stabili, ovvero di quegli elementi strutturalmente e stabilmente connessi al suolo.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 13319/2006) e la successiva normativa interpretativa (art. 1, comma 21, L. 208/2015) hanno chiaramente escluso la possibilità di includere nel calcolo della rendita impianti, macchinari e attrezzature funzionali
al processo produttivo non stabilmente infissi, fatta eccezione per le centrali elettriche, per le quali è prevista una disciplina speciale.
La motivazione della sentenza impugnata risulta, pertanto, erronea in diritto, laddove estende indebitamente l’obbligo di accatastamento anche ad elementi che, secondo il dettato normativo e l’interpretazione consolidata, devono ritenersi beni mobili e autonomi, privi dei requisiti di stabilità e incorporazione strutturale al suolo. Infine, si osserva che, in data 6 giugno 2016, la rendita catastale degli immobili è stata rideterminata in senso riduttivo secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 22, L. 208/2015, e tale nuova rendita è stata accolta dall’Ufficio provinciale del catasto senza rilievi.
L’ultimo mezzo di ricorso lamenta «in via subordinata violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c.».
La sentenza impugnata è affetta da violazione degli artt. 3 legge 241/1990 e 7, legge 212/2000, nonché da errore di percezione delle prove rilevante ai sensi dell’art. 115 c.p.c.
Il giudice del rinvio ha escluso la sussistenza del vizio di motivazione dell’avviso catastale, ritenendo che l’Ufficio avesse adempiuto all’obbligo motivazionale mediante la sola indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, in assenza di elementi concreti prodotti dal contribuente per contestare la rendita.
Tale affermazione è tuttavia erronea, poiché la società contribuente aveva effettivamente prodotto, a supporto della contestazione della rendita catastale attribuita, la relazione tecnica trasmessa da Telecom Italia S.p.A. in data 30 marzo 2005 (doc. 7 -doc. 11 di primo grado), contenente una valutazione dettagliata delle attrezzature e una quantificazione diversa e inferiore rispetto a quella operata dall’Ufficio.
Il Giudice, quindi, ha erroneamente ritenuto mancante una prova che era stata regolarmente prodotta, fondando su tale presupposto
la reiezione del motivo. Tale errore di percezione integra un vizio di motivazione per omesso esame di un elemento decisivo e configura una violazione dell’art. 115 c.p.c., come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 27033/2018).
La prima censura non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, nel ripercorrere le vicende contrattuali che hanno riguardato il complesso aziendale oggetto dell’atto di trasferimento, ha accertato, alla luce dei documenti prodotti, il rapporto giuridico tra la società RAGIONE_SOCIALE e gli impianti strumentali all’attività di telecomunicazioni, attenendosi alla statuizione contenuta nella decisione della Corte di cassazione che aveva appunto devoluto detto accertamento al giudice di rinvio.
La seconda censura non supera il vaglio di ammissibilità.
7.1. Va premesso che è principio assolutamente pacifico (ex plurimis , Cass. 15/11/2017, n. 27136; Cass. 09/04/2021, n. 9461; Cass. 04/04/2022, n. 10754; Cass. n. 33244/2022) che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, ovvero per vizi di motivazione, qualora la sentenza impugnata risulta contraria alla logica ovvero appaia incongrua, cioè tale da non consentire il controllo, riservato al giudice di legittimità, del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. E’ principio altrettanto pacifico che il motivo di ricorso che voglia censurare la violazione dei canoni interpretativi da parte del giudice di merito non può limitarsi a riferirsi alle regole generali di interpretazione, ma deve necessariamente specificare, in rispetto del principio di autosufficienza, i canoni in concreto violati precisando il modo e le considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, anche raffrontando le statuizioni della sentenza impugnata con il testo integrale della regolamentazione pattizia o della parte in contestazione e senza limitarsi ad una mera
contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (v. Cass., 28/11/2017, n. 28319). Il ricorso deve inoltre rispettare il principio di specificità ed autosufficienza mediante la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia contestata o della parte rilevante, anche quando la sentenza vi abbia fatto riferimento riproducendone solo parzialmente il contenuto. La denuncia del vizio di motivazione deve essere effettuata indicando precisamente le lacune argomentative o le illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure i punti inficiati da mancanza di coerenza logica, purché tali vizi emergano dal ragionamento svolto dal giudice di merito, non potendo la parte dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata un’interpretazione diversa da quella da essa proposta(Cass. n. 34566/2024).
7.2.Il motivo sub iudice è carente di autosufficienza, in quanto non reca l’integrale riproduzione delle clausole rilevanti del contratto di trasferimento del ramo d’azienda, denominato , del 23 novembre 2000 (di cui non si riporta nemmeno una sintesi), né indica e trascrive da quali clausole si inferisce l’esclusione dal trasferimento immobiliare della strumentazione tecnica e, in particolare, del traliccio con suo basamento.
7.3. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici si impone la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, e ciò ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire (Cass. 3 settembre 2010, n. 19044; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 7 marzo 2007, n. 5273; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; nel senso, sostanzialmente conforme, che ove venga fatta valere la inesatta interpretazione di una norma
contrattuale, il ricorrente per cassazione è tenuto, in ossequio al principio dell’autosufficienza del ricorso, a riportare nello stesso il testo della fonte pattizia invocata, al fine di consentirne il controllo al giudice di legittimità, che non può sopperire alle lacune dell’atto di impugnazione con indagini integrative: Cass. 8 marzo 2019, n. 6735; Cass. 11 luglio 2007, n. 15489; n. 8943/2020). L’inammissibilità delle censure sollevate nel motivo rende inammissibile quella di violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss c.c., dal momento che i criteri interpretativi posti da queste norme non possono operare se – come nella fattispecie è accaduto l’applicazione delle regole di interpretazione soggettiva (o storica), siano ritenute sufficienti, dal giudice del merito, a chiarire il significato della pattuizione. Infatti, le regole legali di ermeneutica contrattuale sono governate da un principio di gerarchia, in forza del quale i criteri degli artt. 1362 e 1363 c.c., prevalgono su quelli integrativi degli artt. 1365-1371 c.c., posto che la determinazione oggettiva del significato da attribuire alla dichiarazione non ha ragion d’essere quando la ricerca soggettiva conduca ad un utile risultato ovvero escluda da sola che le parti abbiano posto in essere un determinato rapporto giuridico (Cass. 24 gennaio 2012, n. 925; Cass. 22 marzo 2010, n. 6852). 7.4. Va osservato, da ultimo, che, per come svolte, le deduzioni della ricorrente col secondo motivo di ricorso si risolvono in censure non proponibili nella presente sede. Infatti, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, sicché è inammissibile ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. 26 maggio 2016, n. 10891; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465;Cass. 16 febbraio 2007, n. 3644; Cass. 25 ottobre 2006, n. 22899): e va del resto ricordato, in tema, che per
sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni (Cass. 17 marzo 2014, n. 6125; Cass. 25 settembre 2012, n. 16254, Cass. 20 novembre 2009, n. 24539).
8.Sotto altro versante, la censura nella sua incompletezza espositiva, è anche infondata.
8.1.Emerge dalla pronuncia d’appello che nell’atto di cessione del ramo d’azienda del 23.11.2000 erano compresi gli assests immobiliari, risorse umane e partite patrimoniali complementari, debiti tributari ed altro; con il contratto di locazione del 29 novembre del medesimo anno, la società RAGIONE_SOCIALE quale proprietaria sottoscrisse contratto di locazione con la società RAGIONE_SOCIALE ( pag. 4 della sentenza d’appello) concedendo il complesso immobiliare costituito da due corpi di fabbrica, pertinenze e accessori per la funzionalità dell’immobile, inclusi ( punto g) le torri in cemento e basamenti in cemento per la posa di strumenti telecomunicazione. Dalla medesima descrizione della premessa del contratto di locazione contenuta a pagina 16 del ricorso risulta che erano esclusi dalla locazione gli impianti telefonici non strumentali all’esercizio dell’attività di telecomunicazioni, i mezzi non rimovibili di sicurezza e sistemi antiincendio e impianti di condizionamento, ed altri impianti fissi non strumentali all’esercizio delle attività di telecomunicazioni, per cui rientravano – a contrario – nel contratto di locazione tutti gli impianti funzionali all’attività di telecomunicazione. La circostanza che i giudici regionali abbiano esaminato anche l’atto unilaterale ricognitivo della Telecom relativo al traliccio non significa che abbiano considerato decisivo l’atto, ai fini della riconducibilità della proprietà alla società Telecom, tanto è vero che subito dopo aver dato atto dell’esistenza della Nota del 25 febbraio 2008, i giudici regionali rilevano come invero la
medesima società contribuente si è conformata alla novella di cui alla legge n. 208/2015, escludendo dalla valorizzazione della rendita i macchinari, attrezzature e gli impianti funzionali al processo produttivo, con ciò evidenziando la titolarità in capo alla società RAGIONE_SOCIALE anche degli impianti strumentali all’attività di telecomunicazione, come confermato a pagina 4 della sentenza ove si evidenzia che nel DOCFA presentato dalla società, la proprietaria segnalava l’esistenza dell’impianto anti -intrusione, gruppo elettrogeno, impianti stabilmente infissi al suolo, montacarichi e il traliccio ritenuti parti integranti della struttura ovvero parti dell’unità immobiliare di tipo industriale destinato ad opificio. Aggiungendo di poi che l’elenco contenuto nel contratto di locazione non era tassativo ma esplicativo, individuando, con terminologia sintetica, pertinenze ed accessori ed ogni altro elemento necessario alla normale funzionalità dell’immobile, inclusi sistemi elettrici e telefonici fissi, mezzi non rimovibili.
La terza censura è priva di pregio.
9.1. Alla luce della argomentazioni concernenti l’esame del secondo mezzo di ricorso, non si ravvisa alcuna contraddizione nella motivazione adottata dalla corte distrettuale, non avendo attribuito alla Nota di Telecom valenza decisiva in relazione sia all’oggetto dei contratti di trasferimento del ramo d’azienda che del contratto di locazione, ma soprattutto tenuto conto della condotta della contribuente che con il Docfa dichiarava l’esistenza del traliccio e di impianti stabilmente infissi al suolo, escludendoli poi dal calcolo della rendita catastale. Il vizio di contraddittorietà ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere il significato della decisione adottata, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorché, dalla lettura della sentenza, non vi siano dubbi di sorta su quella che è stata la volontà decisoria ( Cass. n. 8646/2022).
9.2.La motivazione di un provvedimento può considerarsi ‘meramente apparente’ allorquando essa sia ‘afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ ovvero risulti ‘perplessa ed obiettivamente incomprensibile’ (cfr. Cass. 17 maggio 2021, n. 13170. Conf. Cass. 25 settembre 2018, ord. n. 22598; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940). Pertanto, nell’orientamento di questa Corte, un provvedimento è solo apparentemente motivato quando non è dato comprendere, per l’inconferenza delle affermazioni, quale sia stato l’iter logico ( melius , le ‘ragioni di fatto e di diritto’) seguito dal giudice onde pervenire ad una decisione piuttosto che ad un’altra. Oppure, quando dal complesso delle motivazioni espresse si dovrebbe giungere ad una conclusione nettamente opposta a quella cui, invece, è giunto l’organo giudicante; la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da attingere la soglia del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, comma 6 Cost’ (v. Cass. 30 giugno 2020, n. 13248; conf. Cass. 7 aprile 2017, ord. n. 9105; Cass. 6 giugno 2012, n. 9113), circostanza che, per le ragioni esposte, non si riscontrano nella pronuncia impugnata.
10. Il quarto mezzo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
10.1. In primo luogo, osserva questa Corte che la questione relativa all’amovibilità o meno degli impianti risulta proposta soltanto in questa sede e non proposta né dinanzi alla Corte di cassazione che ha poi deciso di cassare la sentenza d’appello con rinvio alla Commissione di secondo grado, in diversa composizione, né dianzi alla Commissione di secondo grado in sede di rinvio.
10.2.Il ricorrente che proponga una questione ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione nel giudizio di appello ed anche di indicare in quale atto processuale del giudizio precedente, in modo da consentire alla corte l’accertamento ex actis della veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 26147/2021; Cass. 2033/2017; Cass. n. 16502/2017, in motiv; n. 9138/2016). Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio(v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; più di recente, v. Cass. Sez. 6 – 1, 09/07/2013 n. 17041; n. 25319/2017; n. 907/2018).
10.3. La doglianza, sotto altro versante, non merita accoglimento con riferimento all’esclusione degli imbullonati dalla valorizzazione della rendita.
10.4.Nell’ambito della disciplina catastale la nozione di «immobile urbano» è dettata dall’art. 4 del r.d.l. del 13.04.1939, n. 652 secondo cui: «si considerano come immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale costituiti, diversi dai fabbricati rurali. Sono considerati come costruzioni stabilì anche gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo».
10.5. La norma regolamentare dell’art. 2, comma 3, del d.m. 2.1.1998, n. 28 precisa che «l’unità immobiliare è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da un’area, che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale. Sono considerate unità immobiliari anche le costruzioni ovvero porzioni di esse, ancorate o fisse al suolo, di
qualunque materiale costituite, nonché gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo, purché risultino verificate le condizioni funzionali e reddituali di cui al comma 1. Del pari sono considerate unità immobiliari i manufatti prefabbricati ancorché semplicemente appoggiati al suolo, quando siano stabili nel tempo e presentino autonomia funzionale e reddituale».
10.6. Come espressamente rilevato da Corte cost. n. 162 del 2008 il legislatore ha affidato all’art. 1quinquies d.l, n. 44 del 2005 soltanto il compito di risolvere lo specifico contrasto insorto in giurisprudenza circa l’inclusione o l’esclusione delle turbine dal calcolo della rendita delle > (Cass. sez. trib. n. 21730 del 2004; Cass. sez. trib. n. 17933 del 2004). Senza cioè che l’interpretazione autentica di che trattasi abbia messo in discussione il più tradizionale orientamento di questa Corte – che come noto si regge su di una lettura coordinata degli artt. 4, 5 e 10 r.d.l, 13 aprile 1939 n. 652, conv. in l. 11 agosto 1939 n. 1249 e dell’art. 812 c.c. secondo cui ai fini della determinazione della rendita l’unità immobiliare destinata a opificio deve comprendere tutti gli impianti fissi in qualsiasi modo uniti al suolo perché gli stessi concorrono alla complessiva utilità dell’immobile e quindi al suo valore (Cass. sez. trib. n. 7372 del 2011; Cass. sez. trib. n. 26441 del 2008). Del resto, l’appena richiamata interpretazione di questa Corte è stata di recente anche direttamente convalidata dal legislatore, laddove quest’ultimo soltanto dal 1 gennaio 2016 ha con l’art. 1, comma 21, legge 28 dicembre 2015 n. 208 escluso dal calcolo della rendita i <> e nelle more ha con l’art. 1, comma 244 s., legge 23 dicembre 2014 n. 190 fatto altresì salva l’interpretazione dell’Ufficio di cui al punto n. 3 della circ. 6/2012 dell’Agenzia del Territorio che era appunto nel senso che con riguardo agli immobili accatastati in cat. D) ovvero E) dovessero essere computati gli impianti fissi ( ex multis,
Cass. del 23/05/2018, n. 12791 ; Cass. del 06/12/2016, n. 24924 ; Cass. del 2.02.15, n. 3500 ma anche Cass. del 9.11.11, n. 23317 ed altre) che ha dato rilevanza ai fini della rendita alla connessione strutturale e funzionale intercorrente tra parte immobiliare e parte impiantistica, come desumibile anche dall’art. 1-quinquies del d.l. del 31.03.2005, n. 44, conv. dalla legge del 31.05. 2005, n. 88, che ha risolto la questione degli impianti funzionali al processo produttivo con il richiamo alle «istruzioni di cui alla circolare dell’Agenzia del territorio n. 6 del 30 novembre 2012, concernente la “Determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari a destinazione speciale e particolare: profili tecnico-estimativi”». (cfr., tra le tante Cass. del 14.03.2012, n. 4028; Cass. del 21.11.2014, n 24815 e del 9.10.2019, n. 32861; Cass. del 18/07/2022, n. 22551).
10.7. Rileva, altresì, che la presente controversia, avente ad oggetto, in primo luogo, una procedura DOCFA risalente all’anno 2007 è assoggettata al regime previgente all’entrata in vigore della legge del 28.12. 2015, n. 208 (cd. legge di stabilità 2016) che ha determinato l’introduzione di un diverso criterio legale di valutazione per le fattispecie in esame, ma solo a decorrere dal 10 gennaio 2016 (per l’orientamento seguito da questa Corte in applicazione del disposto di cui all’ultima parte dell’art. 1, comma 21, della legge del 28.12.2015, n. 208 si veda Cass. n. 20726, n. 20727, n. 20728, n. 21460, n. 21461, n. 21462, n. 21286, n. 21827 e n. 21828 del 10.08.2020; da n. 2565 a n. 2572 e n. 3753 del 24.11. 2021).
11. L’ultimo mezzo si rivela infondato.
Assume in particolare la ricorrente che la CTR avrebbe fondato la decisione su una prova reputata mancante, ma in realtà esistente (la relazione tecnica allegata alla comunicazione trasmessa da Telecom, all. 7 al ricorso per cassazione e già presente in atti, nel
giudizio di merito), con ciò incorrendo in errore di percezione, suscettibile di impugnazione in sede di legittimità.
11.1.Il passo argomentativo della sentenza della CTR che, con il menzionato motivo, la contribuente intende impugnare, si concreta nella valutazione, secondo cui ‘non sono stati prodotti in sede di impugnazione elementi concreti per contestare un’errata attribuzione della rendita da parte dell’Ufficio’ .
11.2.Tale argomentazione non si sostanzia, come auspica la ricorrente, in un errore di percezione del giudice di merito circa uno specifico elemento di prova in atti, quanto si riflette in una valutazione della sufficienza di elementi concreti per contestare un’errata attribuzione della rendita da parte dell’Ufficio. Anche in riferimento alla pretesa prova richiamata nel ricorso per cassazione, pare evidente all’Ufficio che si tratta di documento attestante la mera contestazione della valorizzazione economica delle attrezzature effettuata dalla odierna controricorrente.
11.3.Di qui, la sussistenza dei noti limiti di sindacato di legittimità inerenti all’art. 115 c.p.c. e l’applicabilità al caso di specie del consolidato principio di diritto secondo cui in tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali la sentenza impugnata fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Cass., 23 aprile 2024, n. 10927).
12. Segue il rigetto del ricorso.
Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente alla refusione delle spese di lite sostenute dalla Provincia autonoma di Trento che liquida in euro 8.000,00 per compensi professionali ed € 200,00
per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge.
v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012; – dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della