Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5224 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5224 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19367/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresenta e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE ed elettivamente domiciliata presso l’indirizzo mail EMAIL
-controricorrente-
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. BASILICATA n. 13/2022 depositata il 26/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La società RAGIONE_SOCIALE, proprietaria di un impianto aereogeneratore situato nel Comune di Avigliano (Pz), INDIRIZZO, individuato in catasto al foglio 63, particella 1724, categoria D/1, proponeva, in data 2.05.2016, tramite procedura DOCFA, una nuova rendita catastale di euro 232,00 (in luogo di quella precedentemente determinata in euro 4.400,00) ottenuta tenendo conto della valore del terreno, del basamento in cemento armato e di una cabina elettrica e non computando la struttura dell’a erogeneratore (traliccio/torre, navicella e rotore) in quanto ritenuta non rilevante fiscalmente per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 21, legge 208/2015. L’Agenzia delle entrate procedeva alla rettifica della rendita proposta ed accertava la diversa e maggiore rendita di euro 4.260,00 che comprendeva il valore del suolo, del basamento, della cabina e della sola torre che compone l’aereogeneratore.
RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di rettifica della rendita catastale e l’adita Commissione tributaria provinciale di Potenza accoglieva il ricorso ritenendo non adeguatamente motivato l’avviso. Sull’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate la Commissione tributaria regionale della Basilicata accoglieva l’appello osservando: a) che l’avviso di accertamento risultava sufficientemente motivato anche in considerazione della natura partecipativa della denuncia DOCFA; b) che era stata osservata la procedura ed erano stati seguiti i criteri di legge per la valutazione catastale; c) che la torre in acciaio, destinata a sostenere il peso della navicella e del rotore, presentava caratteristiche di stabilità, di consistenza volumetrica e di ancoraggio al suolo tali da poter essere annoverata come costruzione ai fini della determinazione della rendita catastale.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la società contribuente, affidandosi a dodici motivi. L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
3.1. Questa Corte, con ordinanza n. 21287/2020, accoglieva il ricorso proposto dalla società contribuente. In particolare riteneva fondati i primi otto motivi – afferenti, a vario titolo, la questione della tassabilità della torre di acciaio dell’impianto di pala eolica dopo le innovazioni apportate dalla legge di stabilità 2016 che aveva escluso dalla stima diretta «macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo» – assumendo che le conclusioni cui erano pervenuti i giudici di appello, i quali avevano ritenuto che occorreva includere nel calcolo della rendita catastale la torre in acciaio «che sostiene il peso della navicella e del rotore che deve essere in grado ovviamente di resistere alle sollecitazioni del movimento del rotore stesso e della potenza del vento» con conseguente esclusione dell’accatastabilità degli elementi interni «imbullonati», si fondavano sull’interpretazione della norma seguita dalle circolari n. 2/E 2016 e 27/E 2016 e dalla risoluzione nota prot. n. 60244, interpretazione basata sulle sole caratteristiche strutturali del cespite, argomentazioni ritenute non condivisibili in ragione della circostanza che la C.T.R., limitandosi a dare contezza dell’accertamento circa la stabile infissione della torre, non aveva in alcun modo preso in esame i rilievi, supportati da pareri tecnico-scientifici redatti da autorevoli docenti universitari, che la contribuente aveva mosso sia in primo che in secondo grado attestanti la circostanza che la torre aveva non solo la funzione passiva di sostegno – al pari di un traliccio di una linea elettrica – che partecipa come mero supporto statico al sostegno di una macchina soprastante, ma costituiva una componente essenziale ed attiva della macchina che svolgeva una funzione di contrasto della forza impressa dal vento sulle pale al fine di consentire alle stesse di offrire la massima resistenza possibile e al generatore di sfruttare la
potenza del vento per generare, così, l’energia elettrica. Assumeva che i giudici territoriali non si erano fatti carico del doveroso accertamento di un fatto decisivo per il giudizio consistente nel verificare se la funzione delle torri fosse assolutamente integrata nell’impianto di produzione tanto da esserne una componente essenziale o addirittura un unicum con gli impianti interni e/o se tali strutture potessero avere o meno avere caratteristiche di autonomia funzionale e fornire utilità indipendenti dal processo produttivo di energia eolica. Nel rilevare, altresì, la fondatezza del nono, del decimo, dell’ undicesimo e del dodicesimo motivo di ricorso, questa Corte precisava, poi, che non era dato comprendere come, pur escludendo dal computo finale il valore delle componenti impiantistiche dell’aereogeneratore, di gran lunga preponderante, era stato possibile determinare una rendita – pari ad euro 4.260,00pressoché identica a quella fissata sino al 31/12/2015 che teneva conto del gruppo meccanico navicella/rotore, apparendo evidente, alla luce della metodologia di calcolo seguita e dall’esame dei valori dei singoli beni, che era stata applicata una rendita catastale incongrua. Conseguentemente cassava la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Basilicata al fine di accertare se la torre costituiva macchinario, congegno, attrezzatura o altro impianto funzionale al processo produttivo di energia elettrica, in quanto tale soggetta ad esenzione ai sensi dell’art. 1, comma 21, legge 208/2015 nonchè procedere ad un nuovo accertamento della rendita catastale dell’opificio, inserendo nel calcolo il valore dei cespiti secondo i principi indicati ed applicando il coefficiente di legge.
4. La C.T.R. della Basilicata, con la sentenza n. 13/02/2022, depositata in data 26 gennaio 2022, pronunziando in sede di rinvio, affermava: – che la torre di aerogeneratore è, insieme alla navicella ed al rotore, un unicum impiantistico e, come tale, costituisce un macchinario funzionale allo specifico processo produttivo dell’energia
elettrica da fonte eolica; – che, essendo parte integrante di un macchinario, la stessa, dal 1° gennaio 2016, non concorreva più nella determinazione della rendita catastale; -che andava rideterminata la rendita catastale dichiarata dalla società in euro 232,65 sulla scorta dei principi di diritto enucleati nell’ordinanza di rinvio.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo l’ufficio ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonchè degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 ed in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 384, secondo comma, c.p .c. Ha affermato che la C.T.R. aveva solo apparentemente motivato circa l’ unicum impiantistico costituito da torre, navicella e rotore, appiattendosi acriticamente sui tre pareri pro-veritate allegati dalla società contribuente ed omettendo di valutare ‘autonomamente’ se la sola torre di aerogeneratore poteva essere considerata una ‘costruzione’. Per le medesime ragioni, ad avviso dell’Ufficio, la C.T.R. non si sarebbe attenuta ai principi fissati in sede di rinvio omettendo di esaminare tutti gli specifici profili riguardanti i criteri di stima adottati dall’ufficio ai fini della rettifica del valore indicato dalla contribuente.
Con il secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. assumendo che la C.T.R., una volta esclusa la torre dal calcolo del valore fondiario, non si sarebbe pronunciata ‘in merito alla corretta determinazione del valore del lotto e degli altri elementi con siderati ai fini della stima’.
Con il terzo motivo ha rilevato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione dell’art.10 del r.d.l. n. 652/1939, dell’art. 28, comma 2, del d.P.R. n. 1142/1949, dell’art. 2 del d.l. 16/1993 e dell’art. 1 DM 701/1994 osservando che i giudici di appello, nel determinare il valore fondiario di ciò che residuava escl udendo la componente ‘torre’, aveva, sia pure in modo implicito, erroneamente escluso che l’ufficio potesse sempre rettificare il valore fondiario delle componenti immobiliari che andavano a determinare l’opificio, sebbene avesse già accertato, nella precedente fase, un diverso valore venale delle medesime componenti immobiliari.
Il ricorso deve essere respinto per le ragioni appresso specificate.
4.1. Il primo motivo è privo di fondamento.
Questa Corte ha reiteratamente affermato che sussiste una motivazione apparente, come tale suscettiva di integrare il vizio di nullità della sentenza in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., allorché l’apparato argomentativo, pur graficament e esistente (come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale), non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, così precludendo ogni effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (cfr., tra le tante, Cass. n. 11473/2022, che richiama Cass. nn. 16057/2018, 9097/2017, Sez. U 22232/2016, Sez. U 16599/2016, Sez. U 8053/2014 ed ancora Cass. nn. 4891/2000, 1756/2006, 24985/2006, 11880/2007, 161/2009, 871/2009, 20112/2009, nonché Cass. n. 9105/2017; 20921/2019 ed ancora Cass. n. 13248/2020, oltre Cass. nn. 8534/2022 e 8524/2022). Si è pure condivisibilmente chiarito che «In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, non è più deducibile
quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione …’» (così, ex multis , Cass. n. 11473/2022 citata, che richiama Cass. n. 22598/2018). Occorre pure chiarire che, per giurisprudenza pacifica, il Giudice del merito non deve vagliare ogni singolo argomento difensivo sviluppato dalla parte, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione.
Nella fattispecie in esame deve escludersi il vizio lamentato atteso che il giudice dell’appello ha dato conto, con congrue argomentazioni, delle ragioni per le quali, sulla scorta degli elementi di prova offerti dalla parte contribuente, la torre di sostegno costituiva parte inscindibile dell’ unicum impiantistico dell’aerogeneratore (rotore-navicella-torre) e rappresentava un elemento funzionale essenziale dell’impianto eolico, il quale, in mancanza della torre, non può attuare la funzione per cui è concepito (produzione di energia eolica), così risultando superato l’indirizzo assunto dall’amministrazione finanziaria in ordine all’applicazione della c.d. normativa imbullonati al settore eolico.
Per altro verso ha adeguatamente motivato, nell’ esercizio dei poteri di sua competenza, circa la quantificazione della rendita sicchè in tale prospettiva la motivazione della sentenza non può ritenersi viziata in modo così radicale da considerarla meramente apparente, giacché permette di comprendere le ragioni della decisione, così integrando il minimo costituzionale richiesto per ritenere assolto l’obbligo della motivazione.
Ed, ancora, deve rilevarsi che la prospettata ‘nullità’ della sentenza perché esclusivamente basata su pareri pro-veritate del tutto irrilevanti non coglie in alcun modo nel segno in quanto l’ufficio finisce per contestare il ‘libero convincimento’ dei giudici territoriali, omettendo di considerare che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente
sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice di merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1 , n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto che va censurato nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. 27847/2021), errore di fatto non dedotto in alcun modo nel caso in esame.
In ordine all’asserita violazione dell’art. 384 c.p.c. va premesso che i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza ipotesi, la “potestas iudicandi” del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (Cass. 27337/2019).
Nella fattispecie de qua l’ufficio laddove assume che al giudice di merito era stata data ‘non la regola del caso concreto ma il compito di comprendere le ragioni della attribuzione della rendita in contestazione pure al netto della componente impiantistic a’ finisce,
piuttosto, per censurare la sentenza della C.T.R. sotto il profilo motivazionale in punto di determinazione della rendita castale. In realtà l’Agenzia non deduce una violazione dei principi fissati in sede di annullamento rilevante ai sensi dell’art. 384 c .p.c. ma si duole del fatto che la C.T.R. ha determinato il valore fondiario di ciò che residuava al netto della componente ‘torre’ in modo differente rispetto a quello da essa utilizzato nell’avviso di accertamento.
4.2. Il secondo motivo è, anch’esso, infondato.
Va richiamato il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass. n. 15255/2019). Inoltre, poiché il vizio di omessa pronuncia si concreta nel difetto del momento decisorio, per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti. Per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (vedi Cass. n. 5730/2020).
Ricorre l’uniforme e consolidato orientamento (Cass. n. 29730/20 ed innumerevoli altre) secondo cui il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello
stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto.
Nella specie, è indubbio che la C.T.R., pur non essendosi esplicitamente pronunciata sulla concreta incidenza ai fini della determinazione della valore attribuito delle spese tecniche, degli oneri finanziari e al profitto dell’imprenditore, ha di fatto adottato una decisione che implicava necessariamente il rigetto di tali elementi ritenuti non determinanti nell’ottica prospettata dall’Ufficio, osservando come, tenuto conto dei parametri indicati e dei criteri di legge, appariva decisivo, ai fini della rideterminazione della rendita, sommare i valori del suolo, della fondazione, della piazzola e della cabina individuando le singole componenti immobiliari che costituivano l’opificio da accatastare (v. f.9). In ogni caso la genericità della contestazione riferita ad una “omessa valutazione” di detti ulteriori elementi indicati nell’avviso di accertamento non consente neppure di individuare il fulcro della critica, in mancanza di allegazioni chiare ed univoche relative alle singole componenti indicate dall’ uffi cio tali da incidere in concreto sul valore catastale del bene.
Nel complesso il motivo di censura, al di là della formale deduzione dei vizi di violazione di legge sotto il profilo di una omessa pronuncia, qui non riscontrati, si appalesa rivolto a richiedere alla Corte di cassazione una, non consentita, rivalutazione nel merito delle conclusioni assunte dai giudici della C.T.R. in punto di quantificazione della rendita.
4.3. Il terzo motivo non coglie nel segno.
L’Agenzia si duole della circostanza che la C.T.R. non abbia determinato il valore fondiario di ciò che residuava, escludendo la componente ‘torre’, in base al subordinato e residuale criterio del costo di ricostruzione previsto dall’art. 28, 2° comma, del d.P.R. 1142/1949 come declinato nella circolare n. 6T/2012 emessa da essa Agenzia in forza della quale il costo di produzione (K) di un immobile è, in linea generale, costituito dalla somma di: C1. valore del lotto (costituito dall’area coperta e delle ar ee scoperte, accessorie e pertinenziali); C2. costo di realizzazione a nuovo delle strutture; C3. costo a nuovo degli impianti fissi; C4. spese tecniche relative alla progettazione, alla direzione lavori ed al collaudo; C5. oneri concessori e di urbanizzazione; C6. oneri finanziari.
Secondo il ricorrente ufficio, poi, nulla impediva di procedere a rettificare il valore delle componenti fondiarie (al netto della ‘torre’) sebbene, nel precedente stadio di valutazione (cioè fino al 31 dicembre 2015), la rendita dell’opificio fosse stata sostanzialmente confermata, rivendicando il proprio ‘diritto’ a rettificare il valore fondiario delle componenti immobiliari che andavano a determinare l’opificio, sebbene avesse già accertato, in precedenza, un diverso valore venale delle medesime componenti immobiliari.
Il motivo appare inammissibile o, comunque, infondato.
È inammissibile in quanto – in realtà -la censura in esame si dilunga nella dimostrazione della bontà della rendita attribuita dall’ufficio ma, nel fare ciò, sconfina, con evidenza, nell’accertamento istruttorio e di merito, non sindacabile nella presente sede di legittimità, sostanziandosi in una malcelata richiesta di riesame in fatto del valore fondiario determinato dalla C.T.R. in sede di rinvio, cioè in una richiesta di verifica da parte di questa Corte del valore dell’opificio ai fini della individuazione della rendita catastale di ciò che residua senza considerare la componente aerogeneratore.
E, comunque, la censura si appalesa infondata in quanto la C.T.R. (seguendo le indicazioni di cui alla pronunzia di annullamento) ha determinato il valore venale in comune commercio con riferimento al biennio censuario di riferimento (1988/1989), attenendosi alla previsione normativa applicabile dal 1° gennaio 2016. Infatti, l’art. 1, comma, 21 della legge 208/2015 ha stabilito quanto segue: ‘A decorrere dal 1º gennaio 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, è effettuata, tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l’utilità, nei limiti dell’ordinario apprezzamento’ . In applicazione del chiaro disposto normativo la C.T.R. ha individuato ciò che andava accatastato e precisamente: 1) il suolo, 2) la fondazione, 3) la piazzola, 4) la cabina prefabbricata, cioè ha individuato le singole componenti immobiliari che costitui vano l’opificio da accatastare. I giudici territoriali hanno proceduto, dunque, a valorizzare tali componenti immobiliari in modo da giungere all’individuare del complessivo val ore venale dell’opificio (sempre con riferimento al biennio censuario 1988/1989 ed al netto della componente ‘torre’). La valorizzazione di tali componenti è stata effettuata (giova ribadire, in aderenza alle indicazioni contenute anche nella ordinanza di rinvio di questa Corte di Cassazione) sulla base del valore che la medesima Agenzia delle entrate di Potenza aveva loro attribuito (con riferimento al biennio censuario 1988/1989) quando aveva proceduto a rettificare la rendita catastale del medesimo opifi cio (ma comprensivo dell’intero aerogeneratore). È evidente, quindi, che la C.T.R. ha correttamente individuato la norma di riferimento (cfr. art. 1, comma 21, della Legge 208/2015) che regolava la fattispecie concreta e, soprattutto, l’ha correttamente ap plicata.
Sotto altro profilo va evidenziato che la C.T.R. non ha mai inteso negare, neppure per via implicita, il diritto dell’Agenzia di ‘rettificare’ il valore fondiario ma piuttosto ha rideterminato la rendita, nell’ esercizio dei poteri di sua competenza, secondo il criterio di legge della stima diretta mediante individuazione del valore venale in comune commercio.
Conseguentemente il ricorso deve essere rigettato e l’ufficio va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore liquidate RAGIONE_SOCIALE, come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna l’ufficio a rifondere RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità liquidate in € 4.300,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge, se dovuti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione