Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19334 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19334 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale stesa in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO del Foro di RAGIONE_SOCIALE, che ha indicato recapito EMAIL, avendo il ricorrente dichiarato domicilio presso lo studio del difensore, al INDIRIZZO in RAGIONE_SOCIALE;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’RAGIONE_SOCIALE, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 1036, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 15.10.2015, e pubblicata il 24.2.2016; ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; la Corte osserva:
Fatti di causa
Oggetto: Istanza di rimborso – Dirigente RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE PIA – Rendimento netto – Investimento sul mercato –
Oneri probatori.
COGNOME NOME, già dipendente con qualifica di dirigente dell’RAGIONE_SOCIALE, ed iscritto al RAGIONE_SOCIALE Pensione denominato RAGIONE_SOCIALE, presentava all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE domanda di rimborso della somma di Euro 100.386,92 (ric., p. 2), che riteneva essere una maggiore ritenuta indebitamente operata dal datore di lavoro ai fini Irpef, con riferimento a somme erogategli a seguito della cessazione del rapporto di lavoro in relazione ad importi maturati fino al 30.4.1997 (ric., p. 2). Prospettava il contribuente che le somme a lui corrisposte in conseguenza del trattamento di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (PIA) avevano natura assicurativa, costituivano comunque un reddito da capitale e dovevano essere sottoposte a tributo soltanto nella misura del 12,50%, ai sensi dell’art. 42, comma IV, TUIR, e non nella misura del 34,48%, come invece ritenuto dal datore di lavoro, che aveva applicato l’aliquota relativa al trattamento di fine rapporto.
Il diniego, opposto dall’Amministrazione finanziaria avverso l’istanza di rimborso proposta da NOME COGNOME, era impugnato dal contribuente innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di RAGIONE_SOCIALE, che accoglieva il ricorso, ed affermava la sussistenza del diritto al rimborso invocato dal contribuente.
L’Ente impositore spiegava appello avverso la pronuncia adottata dai giudici di primo grado innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che confermava la decisione assunta dalla CTP, e la sussistenza del diritto al conseguimento del rimborso da parte del contribuente.
Avverso la sentenza della CTR proponeva ricorso per Cassazione l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. La Suprema Corte decideva con sentenza n. 7634 del 2014, che richiamava innanzitutto il principio di diritto indicato dalle Sezioni Unite con pronuncia n. 13642 del 2011, secondo cui sono assoggettate all’aliquota agevolata le sole somme che costituiscono il ‘rendimento netto’, imputabile alla gestione sul mercato del RAGIONE_SOCIALE capitale accantonato. Pertanto il
Giudice di legittimità cassava con rinvio la decisione impugnata, indicando i principi di diritto cui la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto attenersi.
Il contribuente riassumeva la causa innanzi alla Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia, ed insisteva per l’accoglimento della propria domanda di rimborso operando riferimento, in materia di quantificazione, all’attestazione rilasciata dall’RAGIONE_SOCIALE, che illustrava la natura RAGIONE_SOCIALE diverse somme versate al RAGIONE_SOCIALE in occasione della cessazione del rapporto di lavoro. La CTR affermava l’intenzione di uniformarsi ai principi esposti dalla Suprema Corte nel disporre il rinvio, specificava che la Commissione ‘avrebbe dovuto applicare tale aliquota’ ridotta del 12,50% ‘solo al rendimento imputabile alla gestione sul mercato, da parte del RAGIONE_SOCIALE, del capitale accantonato … in base agli investimenti concretamente effettuati dal RAGIONE_SOCIALE sul mercato finanziario’ (sent. CTR, p. III) e, ritenuto che il contribuente non avesse in alcun modo provato la circostanza, rigettava il suo ricorso.
Avverso la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale lombarda ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, affidandosi a sette motivi di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della legge n. 482 del 1985, dell’art. 42, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986 (Tuir, nel testo applicabile ratione temporis ), dell’art. 1, comma 5, del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, come conv. dalla legge 28 febbraio 1997, e degli artt. 16 e 17, ancora del d.P.R. n. 917 del 1986. Deduce, in particolare, il ricorrente che, quando le Sezioni Unite di questa Corte hanno fatto riferimento alla gestione del capitale raccolto mediante i contributi dei lavoratori da parte del fondo, non hanno
affermato che il rendimento suscettibile di ridotta imposizione sia solo quello imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, e comunque hanno inteso riferirsi alla fattispecie RAGIONE_SOCIALE, ossia ad un fondo pensione RAGIONE_SOCIALE a tutti gli effetti. Diversamente hanno affermato che, con riferimento ‘alle somme corrispondenti al rendimento di polizza (nella fattispecie P.I.A.), si applica la tassazione nella misura del 12,50 per cento ai sensi dell’art. 6 della L. 26 settembre 1985, n. 482′ (ric., p. 25). L’RAGIONE_SOCIALE, nel corso degli anni, aveva proceduto all’attualizzazione (vale a dire l’aggiornamento periodico) dell’importo costituito dalla riserva matematica, sulla base dell’evolversi RAGIONE_SOCIALE variabili economiche finanziarie e demografiche, come confermato dalla consulenza tecnica redatta dal AVV_NOTAIO COGNOME (ric., p. 21). Il patrimonio dell’RAGIONE_SOCIALE avrebbe infatti sempre generato un determinato rendimento deducibile dai bilanci contabili della società. Il giudice d’appello aveva quindi errato nel ritenere che il rendimento percepito dal contribuente non fosse riconducibile al rendimento individuato dall’art. 6 della legge n. 482 del 1985, incorrendo nel vizio di violazione o falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE predette norme di diritto.
Mediante il secondo strumento d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 115 e 167 cod. proc. civ., e dell’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, perché l’RAGIONE_SOCIALE, nei giudizi di secondo e terzo grado, non ha contestato che la somma quantificata nella certificazione RAGIONE_SOCIALE costituisse rendimento tassabile con l’aliquota del 12,50%. Inoltre, la Direzione RAGIONE_SOCIALE in sede di costituzione nel giudizio di primo grado, aveva dedotto la correttezza del sistema di tassazione adottato dal sostituto d’imposta, e l’inapplicabilità di quello previsto per i redditi
di capitale, ma nulla aveva dedotto sulla natura del rendimento (ric., p. 25).
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente eccepisce la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 63 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto nel giudizio di rinvio, pur essendo giudizio a carattere chiuso, a fronte della produzione, da parte del contribuente, di un certificato proveniente dall’RAGIONE_SOCIALE, sottoscritto dal AVV_NOTAIO COGNOME, e della perizia allegata al ricorso in riassunzione, con i quali il ricorrente ‘ha ottemperato pienamente all’onere probatorio a suo carico’ (ric., p. 37), il giudice dell’appello avrebbe potuto, ove lo avesse ritenuto necessario, attivare i propri poteri integrativi per eventuali approfondimenti ritenuti opportuni.
Mediante il quarto mezzo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 1 del D.Lgs. n. 546 del 1992, e dell’art. 163, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., che sono rimasti violati non competendo al giudice indicare quali siano i mezzi di prova necessari in un determinato giudizio (ric., p. 38), ma solo valutare quelli allegati dalle parti.
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il ricorrente contesta il vizio di motivazione in cui è incorso il giudice dell’appello, in conseguenza dell’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella individuazione della tipologia di rendimento RAGIONE_SOCIALE somme investite dal fondo Pia.
Mediante il sesto mezzo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il ricorrente censura il vizio di motivazione della sentenza impugnata in conseguenza dell’omesso esame, da parte della CTR, di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella quantificazione del rendimento. Infatti, con il ricorso in riassunzione
il contribuente aveva chiesto il rimborso della somma dovutagli, oltre interessi legali, richiamando apposita certificazione RAGIONE_SOCIALE, attestante l’ammontare del rendimento maturato. Inoltre, il contribuente deduce di aver allegato una perizia attuariale che spiegava le modalità attraverso le quali l’RAGIONE_SOCIALE aveva individuato nel tempo gli accantonamenti a bilancio per il finanziamento della P.I.A., elaborando una proiezione a livello individuale di tali accantonamenti ed evidenziando, sempre a livello individuale, una stima dei rendimenti generati dagli accantonamenti effettuati. La sentenza impugnata avrebbe, dunque, ignorato la questione della tipologia del rendimento predetto e del contraddittorio che su di essa le parti avevano svolto.
Con il settimo motivo di ricorso introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il contribuente critica la nullità della sentenza pronunciata dalla CTR, in conseguenza della violazione dell’art. 63 del d.lgs. n. 546 del 1992, e degli artt. 384 e 392 cod. proc. civ., in quanto il giudice d’appello ha ‘dato un’applicazione soltanto apparente ed errata del principio di diritto enunciato’ (ric., p. 47) dalla Cassazione con la sentenza di rinvio, ritenendo erroneamente ‘che in base al principio di diritto enunciato dalla sentenza di rinvio potesse esimersi dall’accertare il quantum, rimettendo in discussione l’an’ ( ibidem ).
I motivi di ricorso proposti dal contribuente si presentano tra loro connessi, e possono essere trattati congiuntamente per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.
Secondo quanto già esaminato da questa Corte regolatrice in una pluralità di decisioni, tra le quali le recenti sentenze nn. 10377 e 3824 del 2023, che hanno richiesto l’analisi di medesime questioni ed appaiono condivisibili, e sono pertanto meritevoli di conferma, a decorrere dal 1° gennaio 1986 (in base all’art. 12, comma 4, del CCNL del 16 maggio 1985, recepito dall’RAGIONE_SOCIALE) venne prevista a favore dei RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE la stipula di un’assicurazione
sulla vita con la previsione contrattuale dell’erogazione di una prestazione al momento del collocamento a riposo. Successivamente, sempre nel 1986, a seguito di apposita richiesta RAGIONE_SOCIALE rappresentanze RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, tale previsione venne modificata con l’accordo tra l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo di cui sopra con un rapporto di RAGIONE_SOCIALE pensionistica RAGIONE_SOCIALE (c.d. P.I.A., ovvero RAGIONE_SOCIALE) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico (peraltro con efficacia retroattiva al 1° gennaio 1986).
8.1. Tale forma di RAGIONE_SOCIALE venne però dismessa nel 1998 e i fondi accumulati furono trasferiti a RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, chiamato a gestire una forma di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a capitalizzazione individuale, che attribuiva il diritto, ai RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che vi avevano aderito e che ne facevano richiesta, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, alla liquidazione dell’intero capitale accumulato in luogo della rendita vitalizia (cfr. Cass. 2 marzo 2018, n. 4941; Cass. 26 aprile 2017, n. 10285). Quanto al regime fiscale di tale prestazione, alla tesi dei contribuenti secondo cui il capitale richiesto, in quanto originato da un contratto assicurativo, avrebbe dovuto essere assoggettato alla ritenuta a titolo di imposta nella misura del 12,50%, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 482 del 1985 (e ciò quantomeno sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo se il capitale era corrisposto dopo almeno dieci anni dalla conclusione del contratto, ai sensi dell’art. 42, comma 4, del TUIR), si contrapponeva quella dell’Amministrazione finanziaria, secondo cui, invece, l’erogazione in oggetto non poteva considerarsi come reddito di capitale in dipendenza di un contratto assicurativo sulla vita, ma dovesse bensì qualificarsi come un reddito di lavoro
dipendente, soggetto a tassazione separata ai sensi degli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 TUIR.
8.2. Su tale materia intervennero le sentenze “gemelle” RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite (oltre a Cass. S.U., 22 giugno 2011, n. 13642, le contestuali ed identiche sentenze distinte dai numeri da 13643 a 13653), le quali, statuendo proprio in ordine al fondo P.I.A. costituito dall’RAGIONE_SOCIALE, enunciarono, a risoluzione di contrasto insorto tra le sezioni semplici della Corte, il seguente principio di diritto: «in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 (TUIR), solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del “rendimento netto” si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla l. 26 settembre 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 del TUIR».
8.2.1. Di tale principio ha fatto applicazione questa Corte anche in questo giudizio, con la sentenza n. 7634 del 2014 mediante la quale ha rinviato il fascicolo in esame alla CTR della Lombardia, evidenziando che non era stato effettuato dal giudice dell’appello un accertamento sulla natura e quantità del rendimento liquidato a favore del contribuente, né si era proceduto alla verifica del se vi fosse stato (e quale fosse stato) l’impiego sul mercato da parte del RAGIONE_SOCIALE del capitale accantonato e quale (e quanto) fosse stato il
rendimento conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,50%.
La Cassazione, infatti, ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria e rinviato alla C.T.R., perché il giudice del gravame accertasse ‘se e quando, sulla base RAGIONE_SOCIALE norme contrattuali applicabili, i capitali rivenienti dalla contribuzione siano stati effettivamente investiti sul mercato finanziario, quali siano stati i risultati dell’investimento e, in qual modo, sia stata determinata l’assegnazione RAGIONE_SOCIALE eventuali plusvalenze alle singole posizioni individuali, e, sulla scorta di tale indagine, quantifichi la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, calcoli l’imposta dovuta dal contribuente (e, conseguentemente, l’ammontare del suo credito restitutorio) applicando solo a tale parte l’aliquota del 12,5%, secondo la disciplina dettata dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 del TUIR’
8.3. La successiva elaborazione della giurisprudenza di legittimità, è ancora opportuno segnalare, si è concentrata (anche per dissipare divergenti letture), in primo luogo, nella definizione del concetto di “rendimento netto”, individuato negli importi rivenienti dall’effettivo investimento sul mercato, da parte del fondo, del capitale accantonato ( ex aliis , Cass. 29 dicembre 2011, n. 29583; Cass. 12 gennaio 2012, n. 280; Cass. 4 aprile 2012, n. 5376; Cass. 25 maggio 2012, n. 8320; Cass. 27 marzo 2013, nn. 7724-7728; Cass. 22 maggio 2013, nn. 12491-12496; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22492; Cass. 9 ottobre 2013, n. 22950; Cass. 12 febbraio 2014, n. 3132; Cass. 12 febbraio 2014, n. 3136; Cass. 19 marzo 2014, n. 6380; Cass. 9 arile 2014, n. 8310; Cass. 11
febbraio 2015, n. 1977; Cass. 22 maggio 2015, n. 10604; Cass. 13 gennaio 2017, n. 720; Cass. 23 novembre 2020, n. 26543).
Si è peraltro sempre precisato che l’assoggettamento di detto “rendimento” al più favorevole trattamento impositivo previsto dall’art. 6 della legge n. 482 del 1985 non discende da una diretta riconduzione a detta norma della fattispecie, ma è giustificato dalla equiparazione tra i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e (quelli corrisposti in dipendenza) di contratti di capitalizzazione sancita dagli artt. 41 (ora 44), comma 1, lett. gquater ), e 42, comma 4, TUIR (cfr. Cass. 26 aprile 2017, n. 10285; Cass. 18 ottobre 2017, n. 24525; Cass. 7 marzo 2018, 5436).
8.3.1. Più specificamente, si è ritenuto che integrino il c.d. rendimento netto «le somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnicoattuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate» (così, oltre alle citate, Cass. 10285/2017 e Cass. n. 24525/2017, Cass. 24 luglio 2018, n. 19621; Cass. 19 giugno 2018, n. 16116; di recente, Cass. 1° settembre 2022, n. 25845; Cass. 31 agosto 2022, n. 25682).
Nel suo ricorso il contribuente sostiene che, però, per la RAGIONE_SOCIALE, il “rendimento” è il mero rendimento di polizza cui si riferirebbe la sentenza a Sezioni Unite di questa Corte n. 13643 del 2011.
8.4. Invero, questa Corte ha già rilevato, con numerosissime ed anche recenti decisioni (tra cui: Cass. 28 marzo 2022, n. 9959; Cass. 29 novembre 2021, n. 37206; Cass. 21 ottobre 2021, n. 29479; Cass. 12 luglio 2021, n. 20617; Cass. 1° giugno 2021, n. 15199; Cass. 13 maggio 2021, n. 12860; Cass. 6 marzo 2019, n. 6514) che non risulta fondata la tesi della necessità di una distinta considerazione tra P.I.A. e RAGIONE_SOCIALE , ossia tra rendimenti degli accantonamenti operati prima del 1998 nel fondo denominato
P.I.A. e rendimenti riferibili invece alla gestione RAGIONE_SOCIALE del periodo successivo, finalizzata a ritenere i primi, comunque, assoggettabili al detto meccanismo, in ragione di una presunta natura assicurativa della prestazione. Tali decisioni sono ormai nettamente prevalenti e consolidate nella giurisprudenza di questa Corte (adde Cass. 29 dicembre 2011, n. 29583; Cass. 12 gennaio 2012, n. 29583; Cass. 4 aprile 2012, n. 5376; Cass. 25 maggio 2012, n. 8320; Cass. 27 marzo 2013, nn. 7724-7728; Cass. 22 maggio 2013, nn. 12491-12496; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22492; Cass. 9 ottobre 2013, n. 22950; Cass. 12 febbraio 2014, n. 3136; Cass. 19 marzo 2014, n. 6380; Cass. 9 aprile 2014, n. 8310; Cass. 4 febbraio 2015, n. 1977; Cass. 22 maggio 2015, n. 10604; Cass. 13 gennaio 2017, n. 720; Cass. 15 giugno 2018, n. 15853; e Cass. 19 giugno 2018, n. 16116, che ha anche evidenziato come tali considerazioni risultino confermate dalla relazione n. 32/99 della Corte dei Conti – sezione del controllo sugli enti – proprio sul bilancio consuntivo dell’RAGIONE_SOCIALE relativo all’esercizio finanziario 1997).
8.4.1. L’applicazione del più favorevole meccanismo impositivo ex art. 6 della legge n. 482 del 1985 si giustifica infatti, come accennato, in ragione della “equiparazione” tra i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e (quelli corrisposti in dipendenza di contratti) di capitalizzazione posta dall’art. 41 (ora 44), comma 1, lett. gquater ), e dall’art. 42 (ora 45), comma e), del TUIR, e non già, dunque, per effetto di una diretta riconduzione della fattispecie alla previsione di cui all’art. 6 legge n. 482 del 1985 (invero espressamente riferita solo ai capitali corrisposti da “imprese di assicurazione” in dipendenza di “contratti di assicurazione sulla vita, esclusi quelli corrisposti a seguito di decesso dell’assicurato”), ma solo in via di applicazione analogica di tale disposizione ai capitali corrisposti in dipendenza di contratti di capitalizzazione, analogia giustificata dalla comune considerazione RAGIONE_SOCIALE due fattispecie nel TUIR, quali ipotesi omogenee di redditi di
capitale (Cass. 26 aprile 2017, n. 10285; Cass. 2 marzo 2018, n. 4941).
Ne consegue che la ragione dell’eventuale assoggettabilità a detto meccanismo dei capitali corrisposti, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ai RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aderenti al descritto fondo di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non debba essere ricercata -neppure con riferimento a quelli riferibili agli accantonamenti operati in regime di P.I.A. prima del 1998 – in una natura assicurativa della prestazione, né tanto meno del soggetto erogante, quanto piuttosto nella possibilità di ravvisare in quelle prestazioni redditi di capitale derivanti da contratti di capitalizzazione (e nei limiti in cui tale possibilità sussista). Non si tratta, pertanto, di (redditi derivanti da) contratti di assicurazione sulla vita, come si desume dal contenuto degli accordi succedutisi nel tempo tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, per cui solo se e in quanto nei capitali corrisposti possano identificarsi “redditi di capitale derivanti da contratti di capitalizzazione” può giustificarsi l’applicazione del meccanismo impositivo di cui all’art. 6 della legge n. 482 del 1985, dovendosi pertanto escludere la possibilità di distinguere tra P.I.A. e RAGIONE_SOCIALE – ossia tra rendimenti degli accantonamenti operati prima del 1998 nel fondo denominato P.I.A. e rendimenti riferibili invece alla gestione RAGIONE_SOCIALE del periodo successivo – e considerare i primi comunque assoggettabili al detto meccanismo in ragione di una presunta, ma come detto insussistente, natura assicurativa RAGIONE_SOCIALE prestazioni (Cass. 15 giugno 2018, n. 15853).
Né una simile interpretazione può comunque ricavarsi dal ripetuto arresto RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite, il quale invero descrive il fondo de quo in termini chiari e univoci, e senza alcuna distinzione rispetto alle diverse configurazioni succedutesi nel tempo, quale “fondo di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente”, le cui prestazioni
sono composte “da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato”; data tale premessa non può dubitarsi anche per la congiunzione “sicché” che lega i due periodi da nesso logico di conseguenzialità – che il successivo riferimento testuale al “rendimento di polizza’ (nella fattispecie P.I.A.) abbia solo un valore descrittivo/esemplificativo della parte dei capitali corrisposti eventualmente tassabile nella misura del 12,5 per cento ai sensi dell’art. 6 della legge n. 482 del 1985, fermo restando il requisito poco prima indicato perché un tale rendimento possa effettivamente identificarsi, rappresentato dall’essere lo stesso discendente dalla “gestione sul mercato del capitale accantonato” (Cass. 20 luglio 2022, n. 22814; Cass. 1° giugno 2021, n. 15199; Cass. 23 novembre 2020, n. 26543).
Resta dunque confermato che il requisito del rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, andrà ricercato nei termini sopra indicati anche per i capitali maturati e gli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 12,5 per cento, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 482 del 1985.
8.5. Questa Corte ha poi ancora precisato che il requisito del rendimento non va circoscritto ai soli (eventuali) investimenti nel mercato finanziario (valori mobiliari, strumenti finanziari), potendo assumere rilievo a tale scopo anche altri tipi di mercato (Cass. 18 aprile 2019, n. 10907; Cass. 7 novembre 2019, n. 28688). Resta in ogni caso esclusa l’operatività della minore tassazione rispetto alle somme versate dal contribuente a fondi previdenziali che non le abbiano investite sul mercato; del pari, non può qualificarsi come “rendimento” quello corrispondente alla redditività sul mercato
dell’intero patrimonio RAGIONE_SOCIALE (cioè il rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito), poiché tale coerenza rappresenta il risultato di un predeterminato calcolo di matematica attuariale e non già il frutto dell’investimento di accantonamenti sul libero mercato (Cass. 12 novembre 2019, n. 29205; Cass. 19 giugno 2018, n. 16116).
8.6. Può quindi osservarsi che il contribuente il quale impugna il rigetto dell’istanza di rimborso, è attore in senso sostanziale nel processo, e come tale egli è onerato di provare il fondamento della pretesa azionata, pertanto è tenuto a dimostrare: a) se il fondo abbia impiegato sul mercato il capitale accantonato; b) quale (e quanto) sia stato il rendimento di gestione conseguito da tale impiego; c) in qual modo sia stata determinata l’assegnazione RAGIONE_SOCIALE eventuali plusvalenze alle singole quote individuali del fondo attribuite al dipendente, onde individuare la parte dell’indennità ricevuta da ascrivere a rendimenti da investimenti sul mercato (oltre alle pronunce citate sopra, v. Cass. 28 febbraio 2020, n. 5494; Cass. 2 aprile 2020, n. 7660; Cass. 18 novembre 2020, n. 26198; Cass. 23 novembre 2020, n. 26543).
8.7. Come ha espressamente precisato questa Corte, siffatto onere probatorio non può ritenersi sufficientemente assolto tramite il mero rinvio «al conteggio proveniente dall’RAGIONE_SOCIALE, prodotto dal contribuente, che non contiene alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del RAGIONE_SOCIALE attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato» (tra le altre, Cass. 26 marzo 2019, n. 8429; Cass. 20 ottobre 2020, n. 22847).
8.8. Sul punto, merita di essere precisato, con riferimento alla dedotta mancata contestazione, da parte dell’Ufficio, della natura e dell’entità del rendimento indicato dalla contribuente, che occorre avere riguardo al principio, già espresso nella specifica materia da
questa Corte, secondo cui «in tema di contenzioso tributario, il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa dell’attorecontribuente che abbia articolato istanza di rimborso di un tributo, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione dell’ an debeatur , poiché il principio di non contestazione opera sul piano della prova e non contrasta né supera il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non restringe il thema decidendum ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda» (cfr. Cass. 25 settembre 2019, n. 23570; Cass. 12 maggio 2016, n. 9742).
8.8.1. Ai riassunti principi di diritto affermati, come si è visto, da orientamenti ormai consolidatisi nel tempo, si è attenuto il giudice del rinvio; individuato il thema decidendum alla luce della sentenza di cassazione, ha successivamente provveduto all’esame degli elementi di fatto, costituiti essenzialmente dalla certificazione RAGIONE_SOCIALE, reputandoli inidonei a dimostrare che gli accantonamenti del fondo P.I.A. fossero stati investiti nel mercato finanziario o in quello di riferimento, quindi nei mercati mobiliari o immobiliari. Scrive infatti la CTR che ‘sulla base del principio dettato dalla Corte di Cassazione l’aliquota’ del 12,50%, ‘andrebbe applicata sul ‘rendimento’ effettivo acquisito e documentato, derivante dall’investimento RAGIONE_SOCIALE somme via via accantonate sul mercato finanziario. In realtà il Contribuente ha asserito che tale investimento non è stato effettuato ed il ‘rendimento’ calcolato in atti è stato determinato, astrattamente, sulla base della ‘redditività degli accantonamenti effettuati a bilancio dall’RAGIONE_SOCIALE per il finanziamento RAGIONE_SOCIALE prestazioni garantite dalla RAGIONE_SOCIALE‘; tale redditività ‘è stata considerata pari a quella ottenuta sul mercato dall’intero patrimonio dell’RAGIONE_SOCIALE nel corso dell’attività operativa della società’. Tale ‘redditività’ non può essere equiparata (se non
sul piano lessicale) al rendimento che la Cassazione qualifica ‘effettivo’, ottenuto sul mercato finanziario e rigidamente dimostrato in tutte le sue componenti. Va pertanto accolto l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE … e va dichiarato non dovuto il rimborso richiesto’ (sent. CTR, p. IV).
8.8.2. Tali considerazioni non violano il principio di non contestazione in quanto nel caso in esame, come evincibile dagli atti del giudizio, l’Ufficio ha sin dall’inizio negato in radice l’esistenza stessa del preteso diritto del contribuente al rimborso e, quindi, l’esistenza dei presupposti dell’applicabilità dell’aliquota del 12,50 per cento alla fattispecie; nel che è chiaramente ricompresa anche la contestazione circa la natura e l’eventuale ammontare del preteso rendimento.
Inoltre, quanto alla dedotta mancata attivazione, da parte della C.T.R., dei poteri di istruzione probatoria d’ufficio, si rileva che nel processo tributario, avente natura dispositiva, l’ordine di produzione ex art. 7 d.lgs. n. 546/1992, anche prima della abrogazione del comma 3, operata ai sensi dell’art. 3bis , comma 5, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, conv. dalla legge 3 dicembre 2005, n. 248, non può essere utilizzato per sopperire alle carenze istruttorie RAGIONE_SOCIALE parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma soltanto in funzione RAGIONE_SOCIALE degli elementi di giudizio, il cui esercizio è consentito ove sussista una situazione obiettiva di incertezza e laddove la parte non possa provvedere per essere i documenti nella disponibilità della controparte o di terzi (Cass. 20 gennaio 2016, n. 955), anche perché deve essere rispettato il principio di terzietà sancito dall’art. 111 Cost. (Cass. 17 novembre 2006, n. 24464). Nella specie la C.T.R ha evidenziato che il contribuente non aveva fornito neppure la minima prova dell’avvenuto investimento RAGIONE_SOCIALE somme accantonate nel mercato finanziario o, comunque, “di riferimento”, sicché era giustificata la mancata attivazione del giudice per l’istruttoria d’ufficio.
Il ricorso introdotto da NOME COGNOME deve essere pertanto rigettato.
Le spese di giudizio seguono l’ordinario criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura RAGIONE_SOCIALE questioni esaminate e del valore della causa.
9.1. Ricorrono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M .
rigetta il ricorso proposto da COGNOME NOME , che condanna al pagamento in favore della costituita controricorrente RAGIONE_SOCIALE spese processuali del giudizio di cassazione, e le liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23.5.2024.