Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 136 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5   Num. 136  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1250/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro  tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, rappresentata  e  difesa  dall’RAGIONE_SOCIALE,  con domicilio legale in Roma,  INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE.
-ricorrente –
contro
COGNOME  NOME  e  COGNOME  NOME,  in qualità di coeredi di COGNOME NOME, rappresentate  e  difese  dall’AVV_NOTAIO  ed  elettivamente domiciliate presso lo studio di quest’ultimo in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 4368/19/2021, depositata in data 9 dicembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 novembre 2024 dal consigliere dott.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che:
Sil. Rif. IRPEF 2000
Il sig. NOME COGNOME, già dirigente dell’RAGIONE_SOCIALE, godeva di una polizza sulla vita e di invalidità permanente valevole per i dirigenti di aziende industriali (ai sensi dell’art. 12 del C.C.N.L. 16 maggio 1985). Tale polizza veniva convertita, in data 1° gennaio 1986, in un trattamento di previdenza integrativa aziendale (denominato P.I.A.). Alla cessazione del rapporto di lavoro, avendo maturato i requisiti indicati nella suddetta polizza, il datore di lavoro corrispondeva al dipendente un’indennità per un ammontare lordo di € 522.902,80. Sulla parte imponibile di tale importo, il datore di lavoro operava una ritenuta a titolo d’imposta del 34,74% per la somma pari ad € 174.891,78; a parere del contribuente, invece, avrebbe dovuto farsi applicazione di aliquota del 12,5%. Di conseguenza, con istanza del 13 novembre 2004, il sig. NOME COGNOME chiedeva il rimborso di € 111.962,96, pari alla differenza tra l’importo versato (€ 174.891,78) e ciò che, con l’aliquota del 12,5% dallo stesso pretesa, avrebbe dovuto versare (€ 62.928,82).
Il contribuente  impugnava,  nei  confronti  dell’RAGIONE_SOCIALE, il silenzio -rifiuto formatosi sulla predetta istanza dinanzi alla RAGIONE_SOCIALE; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato. 3. La C.t.p., con sentenza n. 41/42/2006, accoglieva il ricorso del contribuente.
Contro tale decisione proponeva appello l’Ufficio dinanzi la C.t.r. della  Lombardia;  si  costituiva  in  giudizio  anche  il  contribuente, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
Con sentenza n. 20/32/2008, depositata in data 7 aprile 2008, la C.t.r. adita rigettava il gravame dell’Ufficio.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, l’RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione, accolto parzialmente da questa Corte con ordinanza n. 29198/2011, depositata in data 28 dicembre 2011, con contestuale rinvio alla C.t.r. della Lombardia.
A seguito dell’ordinanza di legittimità, COGNOME NOME  e  COGNOME  NOME,  eredi  del  sig.  COGNOME  NOME, riassumevano la controversia, chiedendo un rimborso non più  di  €  111.962,26,  bensì  di  €  74.483,51,  usando  come  base  di calcolo l’importo indicato nella certificazione RAGIONE_SOCIALE, quale rendimento conseguito dal sig. COGNOME nel periodo indicato, pari a € 334.907,85.
Con sentenza n. 148/42/2013, depositata il 28 ottobre 2013, la C.t.r. della Lombardia accoglieva in toto le doglianze RAGIONE_SOCIALE contribuenti.
 Avverso  tale  ultima  sentenza  della  C.t.r.  della  Lombardia, l’RAGIONE_SOCIALE  proponeva  nuovo  ricorso  per  cassazione, accolto da questa Corte con ordinanza n. 13160/2019, depositata in  data  16  maggio  2019,  con  contestuale  rinvio  alla  C.t.r.  della Lombardia.
 A  seguito  della  pubblicazione  della  suddetta  pronuncia  di legittimità,  le  contribuenti  riassumevano  nuovamente  il  giudizio innanzi alla C.t.r. della Lombardia.
La C.t.r. della Lombardia definiva tale secondo giudizio di rinvio con la sentenza n. 4368/19/2021, depositata il 9 dicembre 2021, con  cui  accoglieva  la  domanda  di  rimborso  nella  misura  di  € 74.483,51.
Avverso di essa l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi (che vanno trattati congiuntamente), mentre le contribuenti hanno resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 12 novembre 2024 per la quale le contribuenti hanno depositato memoria.
Considerato che:
Il primo  motivo  di  ricorso  è  così rubricato: «Violazione dell’art. 384, secondo comma,  cod. proc. civ., in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., con riferimento
alla  mancata applicazione del principio di  diritto precedentemente enunciato dalla Suprema Corte».
Il secondo motivo è così rubricato: «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 6 della legge 26 settembre 1985, n. 482, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., con riferimento al corretto assoggettamento a tassazione separata  RAGIONE_SOCIALE  somme  a  suo  tempo  erogate  al  dante  causa  RAGIONE_SOCIALE odierne controparti,  anche  tenuto  conto  della  mancata  prova offerta  dalle  controparti  sulla  spettanza  del  diverso  trattamento fiscale reclamato in giudizio».
Con entrambi i mezzi l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non ha applicato il principio di diritto già enunciato da questa Corte, che imponeva di compiere uno specifico accertamento, mentre ha accolto la domanda avversaria, nonostante il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del contribue nte, reputando sufficiente una vera e propria semiplena probatio , del tutto inidonea alla luce di quanto già affermato dalla Suprema Corte nei precedenti giurisprudenziali intervenuti inter partes .
2. Preliminarmente, va rilevato che l’istanza di rimessione alle SS.UU. sollevata dalle controricorrenti nella memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ., per risolvere un ipotetico contrasto in relazione al contrasto interpretativo sul concetto di polizza, non può essere accolta, perché l’istanza di rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, formulata ai sensi dell’art. 376, comma 2, cod. proc. civ. e dell’art. 139 disp. att. cod. proc. civ., rappresenta una mera sollecitazione all’esercizio di un potere discrezionale, il quale non solo non è soggetto ad un obbligo di motivazione, ma neppure deve necessariamente manifestarsi in uno specifico esame e rigetto di detta istanza (Cass. 22/06/2016, n. 12962); vieppiù che, come attestato dalle numerose pronunce intervenute in subiecta materia ,
è  ormai  maturato  sulla  questione controversa  un  consolidato orientamento giurisprudenziale.
Si controverte in relazione ad una richiesta di rimborso avanzata da un dirigente RAGIONE_SOCIALE in ordine alle trattenute sulle prestazioni erogate dalla medesima RAGIONE_SOCIALE in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, in aggiunta al trattamento di fine rapporto. In particolare, cessato il rapporto di lavoro, il contribuente riceveva dall’RAGIONE_SOCIALE la somma corrispondente alla liquidazione della propria rendita, sulla quale era operata una ritenuta con la stessa aliquota applicata in sede di liquidazione dell’indennità di fine rapporto.
La tesi del contribuente è che il prelievo fosse illegittimo perché la prestazione avrebbe dovuto essere assoggettata a ritenuta nella misura del 12,50%, in particolare in ipotesi di erogazione a fronte di polizze di assicurazione sulla vita, stipulata in epoca antecedente al 28/04/1993, secondo il combinato disposto di cui agli artt. 13, comma 9, d.lgs 21 aprile 1993, n. 124, 1, comma 5, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1997, n. 30, art. 6 legge 26 settembre 1985, n. 482.
 Tanto  premesso,  i  due  motivi,  da  trattare  congiuntamente  per evidenti ragioni di connessione e per l’affinità RAGIONE_SOCIALE critiche sollevate, sono fondati.
4.1. Come sopra evidenziato, il principio di diritto affermato dall’ordinanza con la quale questa Corte ha disposto il rinvio era lo stesso di quello affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n.13642 del 2011 (ovvero applicazione della ritenuta del 12,50% alle somme rinvenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento, per tale dovendosi intendere il rendimento netto imputabile alla gestione del RAGIONE_SOCIALE sul mercato del capitale accantonato) e va rilevato che sulla res controversa , sempre in continuità di quel principio, questa Corte con numerose pronunce (Cass. 10/06/2016, n. 11941; Cass. 18/10/2017, n. 24525; Cass.
15/06/2018, n. 16116) ha chiarito che le somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento sono quelle derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non necessariamente finanziario, ma non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate; nel caso in esame, non sussistendo contestazione sulla circostanza che la prestazione oggetto di controversia sia stata interamente erogata dal RAGIONE_SOCIALE, la sentenza impugnata, nel riconoscere la sussistenza dei rendimenti sulla base della mera certificazione RAGIONE_SOCIALE dalla quale, per come riportata dalla stessa sentenza impugnata, non si rinvengono somme investite sul mercato, ha malamente applicato il principio cui doveva uniformarsi. Inoltre, con riferimento al basilare concetto di “rendimento”, le Sezioni Unite precisano in motivazione che: a) si tratta del rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del RAGIONE_SOCIALE del capitale accantonato. Tale rilievo, riguardante specificamente la previdenza complementare aziendale per i dirigenti dell’RAGIONE_SOCIALE (disciplinata dagli accordi sindacali del 1986 e del 1998), chiarisce e integra la RAGIONE_SOCIALE portata regolatrice del principio di diritto; b) che il prospetto RAGIONE_SOCIALE certifica esclusivamente la differenza tra il totale del capitale lordo da liquidare e la somma di dotazione iniziale: sul punto Cass. 21/10/2021, n. 29479 ricorda, con estrema chiarezza, che la PIA non ha potuto né, tantomeno, avrebbe potuto svolgere quale RAGIONE_SOCIALE interno con accantonamento a bilancio RAGIONE_SOCIALE -un’attività di investimento sui mercati finanziari. Pertanto, nessun rendimento derivante dall’investimento, da parte del RAGIONE_SOCIALE PIA, sui mercati finanziari è ipotizzabile. La configurabilità di un rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del RAGIONE_SOCIALE del capitale accantonato risulta incompatibile con il tenore dell’accordo RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE del 16 aprile 1986, in quanto l’importo della prestazione
spettante al dirigente era predeterminato in anticipo sulla base del rapporto tra l’ultima retribuzione e la pensione. Il rendimento altro non è che la mera differenza da quanto affluito nel RAGIONE_SOCIALE PIA e quanto erogato in concreto ai dirigenti (Cass., 03/05/2022, n.13838); c) che simili conclusioni, del resto, sono asseverate dalla relazione n. 32/1999 della Corte dei conti – sezione del controllo sugli enti -proprio sul bilancio consuntivo di RAGIONE_SOCIALE, relativo all’esercizio finanziario 1997 (Cass. 19/06/2018, n. 16116; Cass. 13/11/2019, n. 29396; Cass. 23/11/2020, n. 26543).
4.2. Su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite, secondo la quale il predetto pi ù̀ favorevole criterio impositivo pu ò̀ trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario, del capitale accantonato e che ne costituiscano il rendimento, la successiva giurisprudenza di questa Corte si è gi à̀ attestata con numerosi arresti (cfr. ex multis Cass. 19/06/2018, n. 16116; Cass. 7/3/2018, n. 5436; Cass. 19/06/2018, n. 16116; Cass. 18/10/2017, n. 24525; Cass. 26/4/2017, n. 10285; Cass. n. 720/2017; Cass. n. 10604/2015; Cass. n.8310/2014; Cass. n. 3132/2014; Cass. n. 22950/2013; Cass. n.7724- 7728/2013), di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso (tra i quali, con riferimento alla P.I.A., Cass. n. 11830/2017 e Cass. n.11836/2017, superate sul punto dalle già citate Cass. 15/06/2018, n. 15853 e Cass. 30/10/2018, n. 27610, che hanno ribadito puntualmente, in motivazione, la continuità dell’orientamento al quale anche in questa sede si intende aderire).
4.3.  Per  completezza,  è  opportuno  aggiungere  che,  nel  dare continuità al predetto orientamento, questa Corte ha anche precisato  che  non  v’ è ragione  di  circoscrivere  ulteriormente  il requisito  –  necessario  anche  rispetto  ai  capitali  maturati  ed  agli accantonamenti  effettuati  anteriormente  alla  trasformazione  del fondo  da  RAGIONE_SOCIALE  a  RAGIONE_SOCIALE–  ai  soli  (eventuali)  investimenti  nel
mercato finanziario, secondo l’ indicazione fornita dalla Risoluzione n. 102/E del 26 novembre 2012 dell’RAGIONE_SOCIALE ed avallata da diverse sentenze successive alla citata pronuncia RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite (v. ex aliis Cass. nn. 7724- 7728, 12491-12496, 22950 del 2013; Cass. nn. 3136, 6380 e 8310 del 2014; Cass. n. 1977 del 2015), ma non contenuta in quest’ultima, che parla soltanto di «gestione sul mercato», senza alcuna aggettivazione. Pertanto, il requisito della derivazione del rendimento dalla «gestione sul mercato» del capitale accantonato, che identifica la ragione stessa della pi ù̀ favorevole tassazione del reddito, non presuppone necessariamente che lo stesso rendimento costituisca il risultato di investimenti, effettuati dall’ente di gestione della somma versata, indirizzati verso i vari prodotti del mercato finanziario (strumenti finanziari, valori mobiliari, etc.), ma comprende anche quelli diretti verso altri tipi di mercato (Cass., n. 10285/2017. Conformi Cass., 15/06/2018, n. 15853; Cass. 30/10/2018, n. 27610).
4.4. Il «rendimento» derivante dalla «gestione sul mercato» del capitale accantonato non può però identificarsi, al fine di applicare l’aliquota del 12,50%, con quello determinato, pro quota, in corrispondenza alla redditivit à̀ ottenuta sul mercato dall’intero patrimonio dell’RAGIONE_SOCIALE, poiché la giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto che tale coerenza (del rendimento ottenuto dal capitale accantonato con quello ottenuto dal patrimonio dell’RAGIONE_SOCIALE) costituisce, comunque un dato estrinseco e non causale, nel senso che il primo non pu ò̀ comunque considerarsi frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, come richiesto perch é́ abbia a configurarsi il reddito da capitale della specie richiesta, essendo al contrario esso stesso dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale (così la citata Cass. n. 10285/2017.Nello stesso senso Cass. n. 5436/2018; cfr. Cass. n. 4941/18).
4.5. Nella fattispecie in esame, i Giudici del secondo giudizio di rinvio non hanno fatto buon governo dei principi testé illustrati perché hanno accolto la domanda di rimborso (seppure nell’importo di € 74.483,51, anziché nell’importo originariamente richiesto di € 111.962,96), ritenendo che sarebbe stata offerta la prova che le somme sulle quali si chiede di applicare la più favorevole tassazione vadano riconosciute come ‘rendimento’, sostanzialmente sulla base RAGIONE_SOCIALE considerazioni che seguono. Secondo i Giudici, quello in esame sarebbe un c.d. caso di semplice RAGIONE_SOCIALE PIA, il quale non aveva alcun obbligo di tenere distinto il proprio patrimonio da quello dell’RAGIONE_SOCIALE e, soprattutto, di investire nel mercato finanziario gli accantonamenti ricevuti, obblighi, questi, invece, sussistenti a carico del fondo denominato RAGIONE_SOCIALE. Specificamente, in sede di gestione della PIA, l’RAGIONE_SOCIALE non aveva alcun obbligo di investire nel mercato finanziario, dato che quest’ultima (a differenza del successivo FONDRAGIONE_SOCIALE) era un semplice fondo privato interno. L’RAGIONE_SOCIALE non aveva, insomma, ‘alcun obbligo di mantenere separato il proprio patrimonio da quello della PIA (come è invece poi accaduto per RAGIONE_SOCIALE) e per tale motivo può considerarsi provato che la redditività degli accantonamenti sia stata pari a quella ottenuta in via RAGIONE_SOCIALE dall’intero patrimonio della società, ovviamente in misura pro-quota. Se così è, non si vede perché non ritenere fornita la prova che le somme che risultano indicate in atti (ed in particolare nella certificazione a firma dell’ing. COGNOME) siano frutto dell’investimento degli accantonamenti che l’RAGIONE_SOCIALE ha nel tempo effettuato, impiegando questi ultimi nelle proprie attività statutarie, trattandosi di percentuali di reddittività del tutto in linea con quelli conseguiti dallo stesso ente negli anni di riferimento’.
4.6. I Giudici del secondo giudizio di rinvio hanno  ritenuto sussistesse  la  prova  che  le  somme  sulle  quali  si  chiedeva  di applicare la più favorevole tassazione dovessero essere
riconosciute come ‘rendimento’, e ciò in base ad una ‘prova logica’ di fatto, consistente nella mera differenza algebrica tra l’importo corrisposto al contribuente dall’RAGIONE_SOCIALE (al momento della cessazione del rapporto di lavoro) e il capitale accantonato, differenza che dunque potrebbe derivare solamente dall’investimento sul mercato di tale capitale accantonato; conseguentemente hanno ritenuto il carattere assicurativo della somma erogata al sig. COGNOME NOME a titolo di trattamento di previdenza integrativa aziendale (denominata P.I.A.).
Conseguentemente, la decisione impugnata si profila in aperta violazione RAGIONE_SOCIALE indicazioni precedentemente impartite al Giudice del secondo giudizio di rinvio da Codesta Suprema Corte, con la citata ordinanza n. 13160/2019 nonché in violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 6 della legge 482/1985, secondo l’interpretazione di quest’ultimo articolo enucleata dalle Sezioni Unite civili di Codesta Suprema Corte, con la pronuncia n. 13645/2011, nonché, in relazione al caso di specie, con l’ordinanza n. 13160/2019,resa inter partes.
 In  conclusione,  il  ricorso  va  accolto  e  va  cassata  la  sentenza impugnata.
Non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, giacché la stessa allegazione a monte del ‘rendimento’ da parte del contribuente (fondata sulla redditività interna dell’intero patrimonio dell’RAGIONE_SOCIALE e sull’imputabilità di tale risultato al rendimento), oltre che le risultanze istruttorie già menzionate, corrispondono ad un concetto di «rendimento» e ad un criterio di accertamento che questa Corte, in base ai precedenti già richiamati, e comunque in ragione del principio di diritto espresso in relazione al caso concreto, ha già ritenuto non idonei a dimostrare an e quantum del diritto al rimborso.
Rammentato che il relativo onere, sia dell’allegazione che della prova, gravava sul contribuente ( attore in senso sostanziale della pretesa di rimborso), quest’ultimo non ha comunque dedotto puntualmente nel controricorso fattispecie concrete di investimento sul mercato che (a prescindere dalla redditività del patrimonio dell’RAGIONE_SOCIALE e del rendimento che esso avrebbe determinato sulla base di calcoli attuariali) avrebbero prodotto un ‘rendimento’ da interpretarsi secondo il principio di diritto da applicare.
Va  quindi  accolto  il  ricorso  e,  cassata  la  sentenza  impugnata,  il ricorso introduttivo proposto dal contribuente va rigettato.
Si compensano le spese dei gradi di merito.
Le spese del giudizio di legittimità seguono  il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie  il  ricorso,  cassa  la  sentenza  impugnata  e,  decidendo  nel merito,  rigetta  il  ricorso  introduttivo  proposto  dal  contribuente. Compensa tra le parti le spese dei gradi di merito.
Condanna le controricorrenti in solido a rifondere all’RAGIONE_SOCIALE  le  spese  processuali  di  legittimità, che  si  liquidano  in  € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, in data 12 novembre 2024.