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Remissione in termini: PEC illeggibile non basta

Una società fiduciaria ha impugnato tardivamente un avviso di accertamento ricevuto via PEC, sostenendo di non aver potuto aprire l’allegato per un bug informatico e chiedendo la remissione in termini. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che la semplice difficoltà tecnica non costituisce una causa non imputabile. Secondo la Corte, il contribuente, consapevole di un procedimento a suo carico, avrebbe dovuto attivarsi diligentemente per conoscere il contenuto della comunicazione, ad esempio contattando l’ente mittente. Il ritardo è stato quindi considerato imputabile alla negligenza del destinatario.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Remissione in termini: non basta la PEC illeggibile a giustificare il ritardo

L’istituto della remissione in termini rappresenta una cruciale ancora di salvezza nel processo, permettendo di rimediare a una scadenza processuale mancata per cause non imputabili. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa dimostrazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che un mero problema tecnico, come l’impossibilità di aprire un allegato PEC, non è di per sé sufficiente se il destinatario non adotta un comportamento diligente per superare l’ostacolo. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa: L’Avviso di Accertamento e il Bug Informatico

Una società fiduciaria riceveva un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate tramite Posta Elettronica Certificata (PEC). A causa di un presunto bug di un noto client di posta elettronica, la società non riusciva a visualizzare né ad aprire l’allegato in formato “.p7m” contenente l’atto impositivo.

La società sosteneva di essere venuta a conoscenza del contenuto dell’atto solo quasi un anno dopo, a seguito di un complesso intervento tecnico. Immediatamente dopo, presentava istanza di annullamento in autotutela e, successivamente, impugnava l’avviso di accertamento.

Tuttavia, sia la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) che la Commissione Tributaria Regionale (CTR) dichiaravano il ricorso inammissibile per tardività. Secondo i giudici di merito, il contribuente era già a conoscenza dell’esistenza di contestazioni a suo carico, avendo partecipato a un contraddittorio endoprocedimentale. Di fronte a una PEC con un allegato non apribile, avrebbe dovuto attivarsi prontamente per chiederne copia all’Ufficio, anziché rimanere inerte.

La decisione della Corte sulla remissione in termini

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla questione, ha confermato la decisione dei giudici di merito, rigettando il ricorso della società. Il cuore della decisione si concentra sull’interpretazione dei presupposti per la concessione della remissione in termini.

Gli Ermellini hanno ribadito che tale istituto richiede la dimostrazione di una “causa non imputabile” che abbia determinato la decadenza. Questa causa deve configurarsi come un evento esterno alla volontà della parte, che presenti il carattere dell’assolutezza. Non è sufficiente una mera difficoltà, anche se di natura tecnica, se questa poteva essere superata con l’uso dell’ordinaria diligenza.

Le motivazioni

La ratio decidendi della Suprema Corte non si è focalizzata sulla veridicità del bug informatico, ma sul comportamento del contribuente. I giudici hanno sottolineato due aspetti fondamentali.

L’impedimento non era assoluto

L’impossibilità di aprire l’allegato PEC non è stata considerata un impedimento assoluto, bensì un’impossibilità relativa o una semplice difficoltà. La società, una volta constatato il problema tecnico, aveva a disposizione un rimedio semplice ed efficace: contattare il mittente, l’Agenzia delle Entrate, per richiedere una copia dell’atto o chiarimenti sul contenuto della comunicazione. Il fatto che fosse già a conoscenza di un procedimento in corso avrebbe dovuto indurla a una maggiore prudenza e attivismo.

L’onere di diligenza del destinatario

La Corte ha stabilito che l’inerzia del contribuente ha reso il ritardo a lui imputabile. La diligenza richiesta a un operatore professionale impone di non fermarsi di fronte a un ostacolo tecnico facilmente aggirabile. L’attesa passiva di quasi un anno prima di risolvere il problema e agire è stata giudicata una condotta negligente, che esclude la possibilità di beneficiare della remissione in termini. Di conseguenza, la tardività dell’impugnazione è stata correttamente sanzionata con l’inammissibilità, e tutte le altre censure sono state assorbite.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per tutti i contribuenti e i loro difensori. La digitalizzazione dei processi e delle comunicazioni con la Pubblica Amministrazione, se da un lato semplifica le procedure, dall’altro impone un elevato standard di diligenza. Un problema tecnico non è una scusante automatica per il mancato rispetto dei termini perentori. È onere del destinatario di una comunicazione certificata attivarsi immediatamente per superare qualsiasi difficoltà di visualizzazione, soprattutto quando è a conoscenza di un procedimento pendente. L’inerzia, in questi casi, equivale a colpa e preclude l’accesso a rimedi eccezionali come la remissione in termini.

Un problema tecnico che impedisce di aprire un allegato PEC giustifica la remissione in termini per un ricorso tardivo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un problema tecnico di questo tipo costituisce una mera difficoltà e non un’impossibilità assoluta. Non giustifica la remissione in termini se il destinatario non ha agito con diligenza per superare l’ostacolo, ad esempio contattando il mittente.

Quale comportamento deve tenere un contribuente che riceve una PEC dall’Agenzia delle Entrate ma non riesce a visualizzarne il contenuto?
Il contribuente deve agire con prontezza e diligenza. Deve contattare l’Ufficio mittente per chiedere chiarimenti sul contenuto della comunicazione o per farsi inviare una copia leggibile dell’atto. L’inerzia è considerata un comportamento negligente.

La remissione in termini si applica solo in caso di ‘impossibilità assoluta’ di rispettare un termine?
Sì. La giurisprudenza costante afferma che la causa non imputabile che giustifica la remissione in termini deve essere un evento esterno alla volontà della parte, che presenti il carattere dell’assolutezza e non di una semplice difficoltà, per quanto oggettiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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