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Regime del margine: quando si applica il forfettario

La Corte di Cassazione ha chiarito le regole di applicazione per il regime del margine IVA nella vendita di opere d’arte. Quando il prezzo di acquisto del bene è ignoto o non provato, si deve obbligatoriamente utilizzare il metodo forfettario, con una base imponibile pari al 60% del prezzo di vendita, e non quello analitico. La Corte ha annullato la decisione del giudice di merito che aveva erroneamente considerato i costi generali d’impresa come sostitutivi del prezzo di acquisto specifico dell’opera.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Regime del margine e vendita di opere d’arte: la Cassazione chiarisce quando applicare il metodo forfettario

L’applicazione del regime del margine per il calcolo dell’IVA nella compravendita di beni usati e opere d’arte presenta complessità operative che spesso conducono a contenziosi tributari. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un’importante precisazione sui criteri per scegliere tra il metodo analitico e quello forfettario, sottolineando il ruolo cruciale della prova del prezzo di acquisto del bene.

I fatti di causa

Il caso esaminato trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un contribuente che svolgeva attività di commercio di opere d’arte. L’amministrazione finanziaria contestava il mancato versamento di Irpef, Iva e Irap per l’anno d’imposta 2007, riqualificando l’attività del soggetto come attività d’impresa. Il contenzioso, dopo i primi due gradi di giudizio, è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione, con l’Agenzia delle Entrate che lamentava l’errata applicazione del regime del margine da parte della Commissione Tributaria Regionale.

La questione del regime del margine applicabile

Il cuore della controversia riguardava la corretta determinazione della base imponibile IVA. La normativa di riferimento, l’art. 36 del d.l. n. 41/1995, prevede due metodi alternativi per l’applicazione del regime del margine:

1. Metodo analitico (o ordinario): la base imponibile è la differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto, aumentato delle spese accessorie e di riparazione. L’IVA si calcola quindi sull’effettivo utile del venditore.
2. Metodo forfettario: si applica quando il prezzo di acquisto manca, è privo di rilevanza o non è determinabile. In questo caso, la base imponibile è stabilita forfettariamente in una misura pari al 60% del prezzo di vendita.

Nel caso specifico, la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto applicabile il regime analitico, considerando che i costi sostenuti dal contribuente erano stati oggetto di accertamento. L’Agenzia delle Entrate ha contestato questa conclusione, sostenendo che i costi d’impresa generici non possono sostituire la prova puntuale del prezzo di acquisto di ogni singola opera d’arte.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo fondato il motivo di censura. I giudici hanno chiarito che il presupposto per l’applicazione del regime forfettario è proprio l’incertezza o l’indeterminabilità del prezzo di acquisto al momento in cui l’imposta diventa esigibile.

La Corte ha operato una distinzione fondamentale tra due concetti:
La valutazione dei costi d’impresa generici: rilevante ai fini dell’accertamento complessivo del reddito e della capacità contributiva del soggetto.
La determinazione del prezzo di acquisto della singola opera d’arte: elemento specifico e necessario per calcolare il margine secondo il metodo analitico.

Secondo la Suprema Corte, la decisione del giudice di merito è errata perché ha confuso questi due profili. L’aver accertato dei costi d’impresa non equivale a determinare il prezzo di acquisto di ciascun bene ceduto. Poiché nel caso in esame il contribuente non aveva fornito alcuna prova dell’esatto importo pagato per l’acquisto delle opere poi rivendute, la sua mancanza o indeterminabilità imponeva per legge l’applicazione del regime forfettario. Di conseguenza, la base imponibile IVA andava calcolata come il 60% del prezzo di vendita.

Conclusioni

La pronuncia ribadisce un principio cruciale per gli operatori del settore: per poter beneficiare del metodo analitico, più vantaggioso se il margine è basso, è indispensabile conservare e fornire la prova documentale del costo di acquisto di ogni singolo bene. In assenza di tale prova, l’amministrazione finanziaria è legittimata ad applicare d’ufficio il metodo forfettario. Questa ordinanza serve da monito sulla necessità di una corretta tenuta della contabilità, non solo per i costi generali, ma soprattutto per documentare specificamente le operazioni di acquisto che determinano l’applicazione di regimi fiscali speciali come quello del margine.

Quando si applica il regime del margine forfettario nella vendita di opere d’arte?
Si applica quando il prezzo di acquisto dell’opera manca, è privo di rilevanza o non è in alcun modo determinabile o provato dal contribuente. In questi casi, la base imponibile IVA è fissata al 60% del prezzo di vendita.

I costi di impresa generici possono sostituire il prezzo di acquisto per calcolare la base imponibile IVA?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la valutazione dei costi generici d’impresa è un profilo distinto e non può sostituire la prova del prezzo di acquisto specifico di ogni singola opera d’arte ai fini dell’applicazione del regime del margine analitico.

Cosa succede se un contribuente non riesce a provare il prezzo di acquisto di un’opera d’arte che ha rivenduto?
Se il prezzo di acquisto non è provato, scatta automaticamente l’applicazione del regime del margine forfettario. L’imposta sul valore aggiunto (IVA) non sarà calcolata sulla differenza tra prezzo di vendita e di acquisto, ma su una base imponibile pari al 60% del prezzo di vendita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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