Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4905 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4905 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 2915/2018 proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di liquidatore della società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
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ricorrenti-
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della SICILIA, sezione staccata di Catania, n. 2241/17/16, depositata in data 13 giugno 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
1. La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto da COGNOME Angelo, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto parzialmente (con specifico riferimento alla deducibilità dei costi relativi agli acquisti degli autoricambi) i ricorsi riuniti aventi ad oggetto gli avvisi di accertamento e irrogazioni sanzioni, per Iva, Irpeg, Irap e Irpef, anni 2003 e 2004, a seguito di p.v.c. conseguente ad attività di controllo eseguita in data 21 giugno 2005 e diretta a contrastare frode dell’Iva intracomu nitaria nel commercio di autoveicoli usati attraverso il meccanismo della interposizione fittizia nelle transazioni economiche intervenute con fornitori UE, in quanto illegittimamente ricondotte al regime del margine di cui al decreto legge n. 41 del 1995.
2. I giudici di secondo grado hanno, in particolare, affermato che in tema di accertamento con adesione l’instaurazione del contraddittorio preventivo era facoltativa, tanto più che la società contribuente poteva a ttivare, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 218 del 1997, il procedimento di definizione con adesione, ricevuto l’avviso di accertamento o di rettifica in assenza di preventivo contraddittorio e la mancata convocazione della società contribuente non comportava alcuna nullità del procedimento di accertamento adottato dagli Uffici non essendo tale sanzione prevista dalla legge; priva di pregio era
l’eccezione sulla ritualità dell’ordine di servizio di cui alla verifica, in quanto si trattava di una mera irregolarità della procedura e che, spettava alla società ricorrente dimostrare di avere agito con diligenza e di avere applicato legittimamente il regime di favore e tale onere probatorio, come emergeva dagli atti e dal p.v.c., non era stato assolto, con la conseguenza che le fatture soggettivamente inesistenti erano indetraibili e indeducibili; il p.v.c., regolarmente notificato alla parte, era stato richiamato nell’avviso di accertamento dove erano chiariti i termini dell’accertamento, indicate le parti dell’atto richiamato da cui risultavano le violazioni contestate ed erano state determinate la maggiore imposta dovuta e le sanzioni; la società contribuente, peraltro, aveva contestato genericamente le sanzioni senza esporre, con appositi prospetti, le alternative che si ritenevano più rispondenti alla normativa e non mettendo, in tal modo, in condizioni il Collegio di valutare la fondatezza delle motivazioni; sulla sentenza prodotta dalla parte, con riguardo alle operazioni fino al 7 aprile 2004, era stato precisato che gli indizi raccolti non consentivano di affermare che il fatto non sussisteva, che l’imputato non lo aveva commesso , il fatto non costituiva reato o non era previsto dalla legge come reato, per cui si imponeva una declaratoria di prescrizione.
COGNOME NOMECOGNOME in proprio e quale liquidatore della società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 2, della legge n. 212 del 2000, dell’art. 7, comma 1 bis del decreto legislativo n, 218 del 1997, dell’art. 6, comma 1, della legge n. 212 del 2000, dell’art. 6 del decreto legislativo n. 218 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. I giudici di
merito, di primo e secondo grado, avevano errato non avendo rilevato che l’ipotesi sottoposta alla loro attenzione era quella riguardante l’art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 218 del 1997 che prevedeva la possibilità per il contribuente di formulare, anteriormente all’impugnazione, un’istanza in carta libera di accertamento con adesione, da esitarsi entro quindici giorni dal ricevimento.
1.1 Il motivo è inammissibile perché non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato che ha affermato che: 1) in tema di accertamento con adesione l’instaurazione del contraddittorio preventivo era facoltativa; 2) la società contribuente poteva attivare, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 218 del 1997, il procedimento di definizione con adesione, ricevuto l’avviso di accertamento o di rettifica in assenza di preventivo contraddittorio; 3) la mancata convocazione della società contribuente non comportava alcuna nullità del procedimento di accertamento adottato dagli Uffici non essendo tale sanzione prevista dalla legge; i giudici di secondo grado, dunque, sostanzialmente hanno ritenuto priva di rilievo la circostanza che l a notifica dell’atto di invito ex art. 6, comma 4, del decreto legislativo n. 218 del 1997, fosse stata fatta presso la sede della società e non presso il domicilio del contribuente nell’istanza di accertamento con adesione.
1.2 Ciò conformemente alla giurisprudenza di questa Corte che ha affermato che « I n tema di accertamento con adesione, l’instaurazione del contraddittorio preventivo da parte del Fisco, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, è facoltativa e non obbligatoria, in quanto assolve alla sola funzione di garantire la necessaria trasparenza dell’azione amministrativa e di consentire al contribuente un’immediata cognizione circa la vertenza, tanto più che quest’ultimo può sempre, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del medesimo d.lgs., attivare il procedimento di definizione con adesione ove abbia ricevuto un avviso
di accertamento o di rettifica in assenza di preventivo contraddittorio » (Cass., Sez. U., 17 febbraio 2010, n. 3676; Cass., 14 gennaio 2015, n. 444, richiamate anche dai giudici di merito) e che « In tema di accertamento con adesione, la mancata convocazione del contribuente, a seguito della presentazione dell’istanza ex art. 6 del d.lgs. n. 218 del 1997, non comporta la nullità del procedimento di accertamento adottato dagli Uffici, non essendo tale sanzione prevista dalla legge » (Cass., 11 gennaio 2018, n. 474).
2. Il secondo mezzo deduce, in merito al solo atto di accertamento per l’anno 2004, la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della legge n. 212 del 2000, dell’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ..
2.1 La censura è, in primo luogo, inammissibile perchè non trascrive il contenuto dell’ordine di servizio del 21 giugno 2005, contenente a dire della parte ricorrente, plurime violazioni di legge ed è ancora una volta inammissibile perché non si confronta con il provvedimento impugnato nella parte in cui ha ritenuto, a pag. 2, priva di pregio l’eccezione sulla ritualità dell’ordine di servizio , in quanto, i profili sollevati riscontravano mere irregolarità della procedura, non sanzionati espressamente dalla legge con la sanzione della nullità (cfr. di recente Cass., 22 gennaio 2020, n. 1299, secondo cui, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’inosservanza dei commi 1 e 3 dell’art. 12 della legge n. 212 del 2000, funzionali ad assicurare un’equilibrata composizione delle contrapposte esigenze delle parti nell’espletamento della verifica, garantendo, da un lato, la necessaria efficacia all’attività ispettiva dell’ufficio, e dall’altro, la tutela dei diritti del contribuente sia come persona sia come soggetto economico, può determinare, pur in assenza di espressa previsione, la nullità del provvedimento impositivo solo qualora i
verbalizzanti abbiano eseguito un accesso nei locali della impresa in difetto delle indicate esigenze di ricerca e rilevazione “in loco”, dovendosi valutare nei casi in cui l’effetto invalidante non sia espressamente previsto dalla legge, e alla luce dell’interpretazione della giurisprudenza europea -che impone di verificare se la prescrizione normativa si riferisca o meno a circostanza essenziale per il raggiungimento dello scopo dell’atto -se la violazione abbia comportato una mera irregolarità dell’atto ovvero se sia idonea a determinarne l’invalidità ).
2.2 Senza prescindere dall’ulteriore profilo di inammissibilità in ragione del fatto che il vizio di omessa pronuncia è stato dedotto con il n. 3 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. e non già con il n. 4 del medesimo articolo, il motivo è pure infondato non sussistendo il vizio di omessa pronuncia (peraltro genericamente dedotto a pag. 36 del ricorso per cassazione) sull’eccezione secondo la quale l’ordine di servizio era nullo perché autorizzato dallo stesso soggetto che aveva eseguito l’accesso , perché risulta chiaro che si tratta di un rigetto implicito, dovendosi dare attuazione al principio di diritto secondo cui « Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo » (cfr., tra le molte, Cass., 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass., 14 marzo 2018, n. 6174; Cass., 6 novembre 2020, n. 24953 e, più di recente, Cass., 8 maggio 2023, n. 12131).
Il terzo mezzo deduce l’omessa e insufficiente motivazione della sentenza, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., non avendo la Commissione tributaria regionale dedotto o motivato quali erano gli elementi dai quali era emersa la fondatezza dei rilievi evidenziati dai verificatori e poi dall’Ufficio e le circostanze dal le quali si evinceva la mancanza di diligenza del contribuente.
3.1 Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 348 ter , ultimo comma, cod. proc. civ., stante il rigetto dell’appello statuito dalla Corte di merito e non avendo la parte attuale ricorrente specificato in ricorso le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo grado che sullo specifico punto era stata di rigetto del ricorso (i giudici di primo grado, infatti, hanno accolto il ricorso solo con specifico riferimento al disconoscimento dei costi relativi ai pezzi di ricambio) e di secondo grado, così dimostrando che esse erano tra loro diverse (Cass., 11 maggio 2018, n. 11439; Cass., 26 gennaio 2021, n. 1562; Cass., 9 marzo 2022, n. 7724).
3.2 Inoltre « la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nell’affermare che il novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma » (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 23 agosto 2023, n. 25124).
3.3 Non sussiste, in ogni caso, il difetto di motivazione, in quanto i giudici di secondo grado hanno sostanzialmente affermato, a pag. 3 della sentenza impugnata, che spettava alla società ricorrente dimostrare di avere agito con diligenza e di avere applicato legittimamente il regime di favore e tale onere probatorio, come emergeva dagli atti e dal p.v.c., non era stato assolto, con la
conseguenza che le fatture soggettivamente inesistenti erano indetraibili e indeducibili.
3.4 Ciò, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, che ha precisato che, in tema di IVA, il regime del margine, previsto dall’art. 36 del decreto legge n. 41 del 1995, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato, costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto»(Cass., Sez. U., 12 settembre 2017, n. 21105; Cass., 11 maggio 2018, n. 11437; Cass. 17 settembre 2020, n. 19374; Cass., 29 aprile 2022, n. 13473).
4. Il quarto mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., l’omessa pronuncia sul motivo di gravame con il quale era stato dedotto l’illegittimo utilizzo delle prove testimoniali (i titolari delle ditte cedenti) e la violazione dell’art. 7 del decreto legislativo n. 546 del 1992 e del principio del contraddittorio, nonché l’omessa pronuncia sul motivo di gravame con il quale era stata dedotta l’inutilizzabilità di un non meglio identificato database che l’Amministrazione fin anziaria aveva posto a base della sussistenza della frode con riferimento all’atto di accertamento relativo all’anno 2004.
4.1 Il motivo è inammissibile per difetto di specificità e di autosufficienza.
4.2 Sul punto, va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito (Cass., 10 gennaio 2012, n. 86).
4.3 Invero, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un « error in procedendo », presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per il principio di autosufficienza di esso (Cass., 23 dicembre 2020, n. 29495; Cass., 29 settembre 2017, n. 22880).
4.4 Ciò posto, osserva la Corte come la parte ricorrente non abbia in alcun modo né indicato, né riportato lo specifico contenuto dei motivi di appello di cui lamenta l’omesso esame , così rendendo la doglianza generica ed irricevibile in questo giudizio di legittimità. Anche quanto parzialmente riportato alle pagine 24 -27 del ricorso per cassazione è estremamente generico non essendo trascritto il contenuto delle dichiarazioni dei terzi e il contenuto del database oggetto di censura.
4.5 E’ comunque utile ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte l’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese da terzi non possono ritenersi tamquam non esset e inutilizzabili in sede tributaria, rilevando quali fonti di conoscenza in termini di fatti o indizi che spetta al giudice di merito valutare insieme agli altri elementi presuntivi, al
fine di completare il quadro probatorio a sostegno della pretesa tributaria (Cass., 28 ottobre 2022, n. 32024) e che se tali dichiarazioni sono utilizzabili dall’Ufficio ai fini della prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, ugualmente le stesse sono utilizzabili dal contribuente per assolvere il proprio onere della prova contraria in assoluto rispetto dell’art. 6 CEDU e del principio di parità delle armi di cui all’art. 47 CDFUE (Cass, 22 marzo 2023, n. 8221; Cass., 21 maggio 2024, n. 14102).
4.6 Ancora, nel processo tributario, le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell’avviso di accertamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente e senza necessità di ulteriori indagini da parte dell’Ufficio (Cass., 7 ottobre 2022, n. 29241).
Il quinto mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 5, del decreto legislativo n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza aveva violato la norma indicata e aveva omesso l’esame della relativa censura riguardante le sanzioni.
5.1 Senza prescindere dal rilievo che il motivo deduce genericamente una violazione di legge e sempre genericamente l’omesso esame della censura, senza alcuna ulteriore specificazione, con la conseguente inammissibilità dei profili di doglianza tra di loro incompatibili, il quinto motivo è pure inammissibile perché non si confronta con l’autonoma ratio decidendi esposta in motivazione, a pag. 3 della sentenza impugnata, con la quale i giudici di secondo grado hanno nella sostanza affermato la genericità delle censure aventi ad oggetto le sanzioni, evidenziando che le sanzioni erano state contestate genericamente senza esporre, con appositi prospetti, le alternative che
si ritenevano più rispondenti alla normativa e non mettendo in condizioni il Collegio di valutare la fondatezza delle motivazioni.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente, in proprio e nella qualità, va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, con onere a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 29 gennaio 2025.