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Regime del margine: abuso e onere della prova

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza che riconosceva a una società rivenditrice di auto il diritto al regime del margine. La Corte ha ritenuto che l’uso di intermediari fittizi per l’acquisto di veicoli usati dall’estero costituisse un abuso del diritto, finalizzato a ottenere un indebito vantaggio fiscale. La decisione ribadisce che, in caso di contestazione, spetta al contribuente dimostrare la propria buona fede e la sussistenza dei requisiti per l’applicazione del regime speciale.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Regime del Margine: la Cassazione Stretta sull’Abuso del Diritto

L’applicazione del regime del margine sull’IVA per i beni usati è un’importante agevolazione per molti operatori commerciali, ma il suo utilizzo deve essere corretto e trasparente. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito la linea dura contro l’abuso del diritto, annullando una decisione di merito che aveva convalidato un’operazione elusiva messa in atto da una società di rivendita di auto.

I Fatti di Causa

Una società specializzata nella compravendita di veicoli usati si è vista notificare diversi avvisi di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria. L’oggetto della contestazione era l’illegittima applicazione del regime del margine per l’IVA su autovetture acquistate in Germania.

Secondo la ricostruzione dell’Ufficio, la società acquistava i veicoli direttamente da concessionari tedeschi, ma simulava l’acquisto da parte di soggetti privati (nella fattispecie, il socio unico della società e la sua compagna). Questi privati, a loro volta, rivendevano fittiziamente le auto alla società. Lo scopo di questa interposizione era chiaro: far apparire gli acquisti come provenienti da privati, condizione necessaria per applicare il vantaggioso regime del margine e versare l’IVA solo sul guadagno anziché sull’intero prezzo di vendita.

L’Amministrazione finanziaria aveva raccolto numerosi elementi indiziari a sostegno della propria tesi: la stretta contiguità temporale tra l’acquisto in Germania e la rivendita alla società, la confusione di ruoli del socio unico (che agiva sia come acquirente privato sia come rappresentante legale della società acquirente finale), la gestione diretta del trasporto dalla Germania alla sede sociale e i pagamenti effettuati direttamente dalla società ai concessionari tedeschi.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Regime del Margine

Nonostante gli indizi, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione alla società. L’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando sia la nullità della sentenza per ‘motivazione apparente’, sia la violazione delle norme sul regime del margine e sull’abuso del diritto.

La Suprema Corte ha accolto entrambi i motivi. Ha innanzitutto chiarito che il regime del margine è una deroga al sistema ordinario dell’IVA e, come tale, deve essere interpretato in modo restrittivo e applicato con rigore. Quando l’Amministrazione finanziaria contesta l’applicazione di tale regime sulla base di elementi oggettivi e specifici, l’onere della prova si sposta sul contribuente.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata fosse viziata da una ‘motivazione apparente’. I giudici di secondo grado si erano limitati ad affermare apoditticamente che l’Ufficio non avesse fornito la prova e che la società avesse legittimamente fruito del regime, senza però analizzare nel dettaglio gli specifici e gravi elementi presuntivi portati dall’Agenzia. Una simile motivazione, secondo la Cassazione, equivale a un’assenza di motivazione, violando l’obbligo costituzionale di giustificare le decisioni giudiziarie.

Nel merito, la Corte ha sottolineato che i giudici avrebbero dovuto valutare l’insieme degli indizi in modo complessivo e non atomistico. L’operazione economica, nel suo complesso, rivelava una costruzione artificiosa, priva di reale sostanza economica se non quella di eludere l’imposizione ordinaria. In un quadro di abuso del diritto, spetta al contribuente dimostrare la propria buona fede, ovvero di non essere consapevole di partecipare a un’evasione fiscale e di aver agito con la massima diligenza per evitarlo. La società, in questo caso, non solo non ha fornito tale prova, ma era essa stessa l’artefice dello schema elusivo.

Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un monito fondamentale per tutti gli operatori del settore dei beni usati. La Corte di Cassazione conferma che non basta il rispetto formale della norma per garantire la legittimità di un’operazione. Se lo scopo principale è ottenere un vantaggio fiscale indebito attraverso costruzioni artificiose, si ricade nell’abuso del diritto. L’onere di dimostrare la correttezza e la buona fede è a carico del contribuente, che deve essere in grado di provare la sostanza economica delle proprie operazioni e di aver agito con la diligenza richiesta a un operatore accorto, soprattutto quando si avvale di regimi fiscali speciali e derogatori come il regime del margine.

Quando l’applicazione del regime del margine IVA è considerata illegittima?
L’applicazione è illegittima quando si basa su operazioni artificiose, come l’interposizione fittizia di soggetti privati, il cui unico scopo è ottenere un indebito risparmio d’imposta, configurando un abuso del diritto. Inoltre, è illegittima se non sussistono i requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge.

A chi spetta l’onere della prova quando l’amministrazione finanziaria contesta l’uso del regime del margine?
Quando l’Amministrazione finanziaria contesta, sulla base di elementi oggettivi e specifici, l’indebita fruizione del regime, spetta al contribuente dimostrare la propria buona fede. Questo significa provare non solo di aver agito senza la consapevolezza di partecipare a un’evasione, ma anche di aver usato la massima diligenza per evitare di essere coinvolto in tali situazioni.

Cosa si intende per ‘motivazione apparente’ di una sentenza?
Si ha una ‘motivazione apparente’ quando la giustificazione della decisione è così generica, apodittica o tautologica da non permettere di comprendere l’iter logico-giuridico seguito dal giudice. Equivale a un’assenza di motivazione e costituisce un motivo di nullità della sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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