Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13325 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13325 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
Oggetto: divieto reformatio in peius -giudicato interno -principio di diritto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3376/2022 R.G. proposto da COGNOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL), domiciliato presso la Cancelleria della Corte di cassazione;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, n. 5910/2/2021, depositata il 21.6.2021 e non notificata. camerale del 12 marzo 2025
Udita la relazione svolta nell’adunanza dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, n. 5910/2/2021, depositata il 21.6.2021 veniva rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Messina n. 416/1/2013, la quale aveva parzialmente accolto il ricorso del contribuente avente ad oggetto l’avviso di accertamento per II.DD. e IVA, oltre accessori, relativo all’anno di imposta 2006.
L’accertamento , analitico induttivo ex art.39, comma 1, lett. d), d.P.R. n.600/73 con applicazione di uno studio di settore nei confronti del ricorrente, esercente l’attività di imprenditore edile individuale, portava alla rideterminazione del reddito dichiarato per l’anno di imposta pari a zero, a fronte di redditi dichiarati per le successive annualità ammontanti a 104.518 euro per il 2007 e a 121.228 euro per il 2008.
Il giudice di prime cure accoglieva solo in parte la prospettazione difensiva, rideterminando il reddito per l’anno di imposta in euro 87.308,00. Il giudice d’appello confermava la decisione accertando che le giustificazioni addotte in appello (non aver prodotto reddito per l’anno in quanto i lavori di costruzione di un immobile non erano terminati) erano già state avanzate in sede di contraddittorio anteriore alla notifica dell’avviso di accertamento, il quale ne aveva già tenuto conto. Inoltre, il giudice stabiliva che le differenze tra le rimanenze iniziali e quelle finali non potevano essere considerate un costo e valorizzava l’incontestata presenza di ingenti redditi dichiarati per le annualità precedenti e successive a quella oggetto di accertamento.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione il contribuente deducendo tre motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d) d.P.R. n.600/73, 54 d.P.R. n.633/72, 62 bis e 62 sexies, comma 3, d.l. n.331/1993 da parte della sentenza della CTR per aver confermato l’erronea determinazione dei maggiori ricavi accertati tramite lo studio di settore nonostante il fatto che questo evidenziasse, rispetto alla dichiarazione, una non congruità di soli euro 32.559 con un’IVA evasa di euro 6.511,80 .
La doglianza è inammissibile.
Deve ribadirsi che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa. Viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (ex multis, Cass. n. 26110 del 2015). Inoltre, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità. Nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute
idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7 aprile 2017 n. 9097).
Con il mezzo di impugnazione in disamina si chiede innanzitutto un riesame de lla valutazione circa l’applicazione dello studio di settore, operata in modo conforme in primo e secondo grado, la cui valutazione è riservata al giudice di merito. Il giudice, peraltro, ha fondato la decisione non soltanto sulla rilevata variazione tra rimanenze finali ed esistenze iniziali ai fini della formazione del reddito d’esercizio che deve essere ripreso a tassazione, ma anche sulle evidenze reddituali dichiarate e non contestate per gli anni precedenti e successivi, nel contesto di un più ampio accertamento analitico-induttivo ex art.39, comma 1, lett. d) d.P.R. n.600/73 all’interno del quale lo studio di settore è solo uno strumento di determinazione del quantum. In ordine a ll’indicato profilo non viene mossa alcuna specifica contestazione , nonostante gravasse sul contribuente l’onere di provare la sussistenza del compendio probatorio per il legittimo esercizio dell’accertamento analitico -induttivo (cfr. Cass. n. 10242/2017; conforme, Cass. n.27874/2018).
Il secondo motivo prospetta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per l’asserita carenza o manifesta contraddittorietà della motivazione in violazione degli artt.132, comma 1, n.4 cod. proc. civ., 36, comma 1, n.4 d.lgs. n.546/1992.
Il mezzo non può trovare ingresso.
La Corte reitera l’insegnamento secondo cui la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232). Si rammenta, inoltre, che la riformulazione dell’art. 360,
primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053). Va anche ribadito che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232).
La CTR, richiamando la giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento analitico-induttivo e accertamento basato sugli studi di settore, ha fondato il proprio convincimento , tra l’altro, sulla riscontrata variazione tra rimanenze finali ed esistenze iniziali nonché sui dati reddituali motivando le ragioni logico-giuridiche a sostegno della decisione, a fronte delle quali era onere del ricorrente fornire, in sede amministrativa e contenziosa di merito, gli elementi giustificativi dell’inapplicabilità d ello standard. La ratio si esprime attraverso una motivazione non manifestamente contraddittoria e che rispetta il minimo costituzionale.
Il terzo motivo deduce, in rapporto all’ art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’artt.112 cod. proc. civ. per l’ultra petizione in cui è incorsa la sentenza impugnata.
Il motivo è fondato.
6.1. Con la censura in disamina il ricorrente si duole della riforma della sentenza di primo grado in senso sfavorevole al contribuente avendo la CTR confermato integralmente l’atto impugnato, sebbene l’Ufficio non avesse proposto appello incidentale avverso la sentenza del giudice di prime cure che aveva accolto parzialmente il ricorso del contribuente rideterminando il reddito accertato.
6.2. Questa Sezione ha già stabilito in passato che il divieto di reformatio in peius opera anche nel processo tributario (Cass. n. 12275/2018) per cui, una volta stabilito il quantum devolutum in assenza di impugnazione della parte parzialmente vittoriosa (appello o ricorso incidentale), se la decisione di secondo grado è più sfavorevole all’impugnante e più favorevole alla controparte di quanto non sia stata la sentenza impugnata incorre nel vizio di extrapetizione.
Il principio di diritto, condiviso dal Collegio, va ripreso perché ancora attuale e affermato anche nella presente fattispecie nella quale è maturato il giudicato interno su parte della pretesa originaria, e precisamente nei limiti della rideterminazione del reddito del contribuente ai fini delle imposte per cui è causa operata dal giudice di prime cure, per effetto della mancata proposizione dell’appello incidentale da parte dell’Agenzia soccombente in primo grado in parte qua.
6.3. Del resto, anche l’unico precedente della Corte che qui rileva e cui merita data continuità è stato originato da una sentenza d’appello che, pur in assenza di appello incidentale dell’Ufficio finanziario parzialmente soccombente, aveva riformato la sentenza di primo grado in senso sfavorevole a parte contribuente, in quel caso annullando la riduzione della percentuale dei ricavi operata dal giudice di prime cure, mentre nella presente fa ttispecie l’extrapetizione è consistita nella conferma integrale dell’atto impugnato.
La sentenza impugnata dev ‘ essere perciò cassata e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. , va confermata la determinazione operata dal giudice di prime cure del reddito del contribuente ai fini delle imposte per cui è causa per l’anno di imposta 2006 in euro 87.308,00, somma risultante dalla riproduzione in ricorso della parte rilevante della sentenza della CTP, quantificazione da parte del giudice di prime cure che è confermata anche in controricorso.
Le spese del merito sono compensate in ragione dei parziali profili di novità della questione sottesa alla decisione, mentre quelle di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte in accoglimento del terzo motivo di ricorso, rigettati i primi due, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, determina il reddito del contribuente per l’anno di imposta 2006 in euro 87.308,00 ai fini delle imposte per cui è causa.
Compensa le spese di lite dei gradi di merito e condanna la controricorrente alla rifusione delle spese di legittimità, liquidate in euro 5.900,00 per compensi, oltre euro 200,00 per rimborso spese borsuali, IVA e Cpa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12.3.2025