Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 242 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 242 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3155/2015 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME, sito in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in 00145 Roma, INDIRIZZO C/D rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
nonché contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore .
-intimato –
Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA n. 3175/15/2014, depositata in data 16 giugno 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Avv. Acc. IRPEF 2005
Rilevato che:
La contribuente riceveva notifica dall’Agenzia delle Entrate direzione provinciale di Varese -degli avvisi di accertamento n. T93010G02321 e n. T93010G02326, relativi ad IRPEF per gli anni di imposta 2005 e 2006; la rettifica era operata ai sensi dell’art. 38, comma quarto, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in virtù dell’accertata incongruenza del reddito dichiarato rispetto agli indici di capacità contributiva posseduti, ossia un’abitazione, un’autovettura e la proprietà di un terreno. All’esito dell’accertamento, l’Ufficio rideterminava il reddito della contribuente in € 56.897,55 per l’anno 2005 e in € 74.311,32 per l’anno 2006 a fronte di un reddito dichiarato pari ad € 0.
Avverso i detti avvisi di accertamento, la contribuente proponeva distinti ricorsi dinanzi la C.t.p. di Varese e resisteva l’ufficio con controdeduzioni.
La C.t.p. di Varese, previa riunione, con sentenza n. 26/06/2012 del 25.02.2012, rigettava i ricorsi riuniti della contribuente sul presupposto che non avesse fornito alcuna prova idonea a superare la presunzione di capacità contributiva derivante dagli indici utilizzati dall’ufficio tributario accertatore.
Contro la sentenza proponeva appello la contribuente dinanzi la C.t.r. della Lombardia e resisteva l’ Ufficio con controdeduzioni.
Con sentenza n. 3175/15/2014, depositata in data 16 giugno 2014, la C.t.r. adita respingeva il gravame confermando la pronuncia di prime cure.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso mentre il Ministero delle Finanze è rimasto intimato.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 26 ottobre 2023.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione ed errata applicazione dell’art. 38 de l D.P.R. n. 600 del 1973 e art. 2697 cod. civ.» parte ricorrente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha ritenuto valide e probanti le prove contrarie fornite con dovizia di particolari dalla contribuente, poiché inidonee a superare la presunzione di capacità contributiva derivante dagli indici utilizzati dall’ufficio accertatore.
Pregiudizialmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia , che non rappresenta né l’Agenzia delle Entrate né l’eventuale ufficio periferico della stessa (Cass. 11/04/2011, n. 8177); peraltro, in considerazione della costituzione dell’Agenzia dell’Entrate a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato, il ricorso non è inammissibile tout court perché la nullità del ricorso proposto nei confronti di soggetto privo di legittimazione “ad causam” è sanabile, con effetto “ex tunc”, dal momento della costituzione in giudizio del soggetto passivamente legittimato, impedendo detta costituzione sempre e comunque l’inammissibilità per tardività del gravame, nel caso dei giudizi iniziati dopo il 30 aprile 1995, cui si applica l’art. 164, terzo comma, cod. proc. civ., come novellato dall’art. 9 della legge 26 novembre 1991, n. 353.
Il motivo unico di ricorso è inammissibile.
3.1. Anzitutto, esso riveste una natura meritale, profilandosi le censure evidentemente preordinate ad un nuovo esame delle risultanze istruttorie, in quanto la prospettazione è evidentemente finalizzata ad ottenere una valutazione delle prove e quindi un accertamento fattuale di segno opposto a quello espresso dalla C.t.r. In altri termini viene chiesto di effettuare un nuovo esame sul merito della controversa e di approdare ad una valutazione degli elementi di prova difforme da quella fatta propria dal collegio di seconda istanza, la cui decisione dà contezza del percorso
argomentativo seguito per pervenire al proprio convincimento. Il ricorso della contribuente, nella sua interezza, sebbene contenga doglianze svolte ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., non prospetta violazione astratte delle denunciate norme, ma violazioni in concreto delle norme medesime, la cui delibazione passa attraverso l’inevitabile esame di elementi probatori acquisiti in giudizio e la rivisitazione della motivazione della sentenza impugnata.
Ne consegue che la valutazione del ricorso implica il sindacato su accertamenti di fatto insindacabili in sede di legittimità.
3.2. Di poi, in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2021, n. 27811). Il sistema del ‹‹redditometro›› collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione. L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e
circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da
redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588). Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente ‹‹sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti
correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 28/12/2022, 37985 Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).3.3. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha comunque fatto corretta applicazione dei principi normativi in materia, quando ha evidenziato l’inidoneità della dichiarazione rilasciata dal signor COGNOME che avrebbe contribuito ad alcune sue spese a fronte dell’uso del telepass personale della contribuente – e delle asserite vincite di gioco, a costituire elementi aventi valore probatorio e ciò per l’assoluta genericità ovvero per la natura di mere affermazioni non documentate con conseguente insufficienza del rinvio a corrispondenti operazioni di versamento sul conto corrente bancario facente capo alla contribuente. Invero, l’esame degli estratti bancari, opina la C.t.r., evidenziavano che la contribuente aveva eseguito, anche con periodicità, numerosi versamenti per contanti, spesso anche per valori consistenti, la cui fonte e natura non sono state precisate. Infine, la critica secondo cui la C.t.r. avrebbe erroneamente opinato in termini di presunzione di legittimità dell’atto impositivo, è smentit a dalla circostanza, evincibile dalla sentenza impugnata, che sono stati utilizzati gli indici ed i coefficienti presuntivi di reddito o di maggior reddito in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva, in applicazione corretta dei principi di questa Corte secondo cui in tema di accertamento del reddito con metodo sintetico, rileva non già l’effettivo utilizzo del bene indice di capacità di spesa bensì unicamente la disponibilità del medesimo ex art. 2, comma 1, D.M. 10 settembre 1992, comportando questa il sostenimento di una spesa (Cass. 24/07/2020, n. 15896). La C.t.r., quindi, ha valorizzato la rilevanza presuntiva, salva prova contraria, degli
indici e dei coefficienti di reddito, non la presunzione di legittimità a priori dell’atto impositivo.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese nei confronti del Ministero Economia e Finanze, intimato.
Le spese del giudizio di legittimità nei confronti dell’Agenzia seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali , che si liquidano in € 4.100,00 , oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 26 ottobre 2023.