Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1372 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1372 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.15108/2016 R.G. proposto da: COGNOME, difesa e rappresentata, per procura in calce al ricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME presso il cui studio RAGIONE_SOCIALE, in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata;
-ricorrente-
e
COGNOME, nella qualità di erede di NOME COGNOME, rappresentato e difeso, per procura in calce all’atto di intervento, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME e elettivamente domiciliato presso il loro studio, RAGIONE_SOCIALE, in Roma, INDIRIZZO
-intervenuto- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso
gli uffici del l’ Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n.5563/2015, depositata il 21/12/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025 dal Presidente NOME COGNOME.
Fatti di causa
NOME COGNOME ricevette due avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2007 e 2008, con i quali l’ Amministrazione finanziaria, in applicazione del metodo sintetico di accertamento, ne rettificò il reddito accertando per entrambe le annualità una maggiore IRPEF e addizionale regionale.
La contribuente impugnò gli avvisi di accertamento davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano la quale rigettò, previa riunione, i ricorsi, ritenendoli infondati.
La decisione, appellata dalla contribuente, è stata parzialmente riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia la quale ha dichiarato illegittimo il computo dell’incremento patrimoniale di euro 10.000,00 derivante dalla differenza tra le caparre confirmatorie versate e incassate nel 2009, confermando per il resto gli impugnati avvisi di accertamento.
Avverso la sentenza la contribuente propone ricorso affidato a un unico motivo.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
E’ stato depositato atto di intervento del successore a titolo universale NOME COGNOME
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio in prossimità della quale la parte privata ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
Preliminarmente va ritenuta l’ammissibilità e ritualità dello spiegato intervento nel giudizio d a parte dell’erede della
contribuente, nelle more deceduta, sig. NOME COGNOME siccome rispondente ai dettami di questa Corte in materia (cfr. Cass. Sez. un. 22 aprile 2013 n. 9692).
Con l’unico motivo -rubricato: illegittimità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art.38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.600 (nella versione applicabile ratione temporis) in combinazione con il disposto dei D.M. 10 settembre 1992, D.M. 19 novembre 1992 e D.M. 21 sett embre 1999 (in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c.)la ricorrente lamenta che i giudici di appello abbiano fatto esclusivo riferimento al dettato dell’articolo 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 così come in vigore dal 31/05/2010, diverso rispetto a quello su cui si fondavano gli avvisi di accertamento e applicabile esclusivamente agli avvisi di accertamento del reddito relativi ai periodi di imposta successivi al 2009. Secondo la prospettazione difensiva l’erronea, da parte della C.T.R., individuazione della normativa applicabile, travolgerebbe i relativi corollari sui quali si fonda la decisione; in particolare, il giudice di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla dedotta illegittimità del ricorso al metodo sintetico in difetto di un’adeguata motivazione da parte dell’Agenzia e avrebbe omesso, assumendo che il redditometro costituisce una presunzione legale relativ a, di verificare se l’Ufficio avesse corredato le risultanze derivanti dall’applicazione automatica del redditometro a ulteriori riscontri. Infine, si censura la C.T.R. per avere ritenuto necessario che la prova fornita dal contribuente abbia a oggetto il collegamento tra le disponibilità finanziarie e le spese oggetto di rilievo da parte dell’Ufficio , mentre, sul punto, questa Corte, con la successiva giurisprudenza, aveva mutato orientamento.
Prima di procedere alla disamina della censura va disattesa l’eccezione , sollevata in memoria, di giudicato esterno pregiudizievole costituito dalla sentenza n. 420/16 depositata il 25 gennaio 2016 (passata in giudicato come da attestazione in calce
alla copia versata in atti) con la quale, relativamente all’annualità 2006, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, rigettando l’appello dell’Agenzia delle entrate, aveva confermato la decisione di primo grado di accoglimento del ricorso proposto avverso l’atto impositivo da NOME COGNOME.
L’eccezione, pur ammissibile essendosi formato il dedotto giudicato in epoca successiva alla proposizione del ricorso, è, infatti, infondata alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n.6953 del 08/04/2015; Cass. n. 38950 del 07/12/2021) secondo cui <>.
Nel caso in esame, infatti, la sentenza, dedotta come giudicato rilevante, ha ritenuto che la contribuente avesse fornito la prova di idonea disponibilità finanziaria in relazione all’anno di imposta 2006, mentre, nel caso in esame, si controverte sulle diverse annualità 2007 e 2008.
Ciò posto, l ‘articolata censura con l’unico mezzo di impugnazione non merita accoglimento.
Appare evidente dalla lettura integrale della sentenza impugnata che il Giudice di appello abbia deciso la controversia, richiamando giurisprudenza a conforto, in applicazione del disposto dell’art.38 del d.P.R. n.600 del 1973 vigente ratione temporis ovvero alla luce del testo normativo anteriore alle modifiche introdotte con l’art.22 del d.l. 31 maggio 2010 n.78.
Invero, la Commissione tributaria regionale, ha deciso la controversia in applicazione di detta disposizione normativa come interpretata da questa Corte la quale, con orientamento costante, ha statuito che <<in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l'Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all'esistenza dei fattori-indice della capacit à contributiva, sicch é è legittimo l'accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell'esistenza di quei fattori, l'onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2018, n. 27811 ripresa da Cass. n. 933, decisa nella camera di consiglio del 24.10.2023 e depositata il 10.1.2024). In proposito, è utile rammentare che l'art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 (nel testo vigente ratione temporis , vale a dire nel periodo intercorrente tra l'entrata in vigore della legge n. 413/1991 e del d.l. n. 78/2010, convertito dalla legge n. 122/2010), prevede(va), al quarto comma, la possibilit à̀ di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacit à contributiva, connessi alla disponibilit à̀ di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento, e, al sesto comma, la possibilit à̀ per il contribuente di fornire la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ovvero nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass., 24/10/2005, n. 20588; Cass., 19/04/2013, n. 9539; Cass., 7/03/2014, n. 5365; Cass., 10/08/2016, n. 16912; Cass., 01/09/2016, n. 17487; Cass., 20/01/2017, n. 1510).
L'ufficio finanziario è , pertanto, legittimato a risalire, secondo il meccanismo dell'art. 2727 c.c., da un fatto noto a quello ignoto, gravando sul contribuente l'onere di provare che la circostanza su cui si fonda la presunzione semplice non corrisponda alla realt à̀ (Cass., 14/02/2014, n. 3445; nel senso della natura di presunzione legale relativa di capacit à contributiva di detta presunzione, tra le altre, Cass., 01/09/2016, n. 17487).
Nel caso in esame, se pur è vero che la giurisprudenza citata a conforto dalla C.T.R. in materia di onere probatorio a carico del contribuente è stata superata da un successivo e ancor oggi attuale orientamento giurisprudenziale (secondo cui <> v. Cass. 13/11/2018, n. 29067; Cass., 20/01/2017, n. 1510; Cass. n. 30355 del 21.11.2019) per cui sul punto la motivazione della sentenza gravata, conforme a diritto nel dispositivo, va corretta, è anche vero che, ciò malgrado, nel compiere l’accertamento in fatto alla stessa devoluto la C.T.R. ha poi applicato l’ultimo orientamento citato acc ertando che non fosse stata fornita la prova che le disponibilità finanziarie, evidenziate dalla contribuente, fossero nel suo possesso anche negli anni di imposta oggetto di accertamento.
E, al proposito, va ribadito l’ulteriore consolidato orientamento secondo cui <<la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un'attivit à̀ riservata in via esclusiva all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non
sono sindacabili in cassazione, sicch é rimane estranea al vizio previsto dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il "convincimento" che il giudice si è formato, a norma dell'art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all'esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilit à delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimit à̀ degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito' (Cass., 19/07/2021, n. 20553; si veda anche Cass., 29/10/2018, n. 27415).
In conclusione, alla luce delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la parte privata alla refusione in favore della controricorrente delle spese processuali liquidate in complessivi euro 5.600 per compensi, oltre spese prenotate a debito;
a i sensi dell'art.13 comma 1 quater del d.P.R. n.115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 9/01/2024.