Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 797 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 797 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/01/2025
Avv. Acc. IRPEF 2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27748/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-ricorrente –
Contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. TOSCANA n. 293/04/2019, depositata in data 22 febbraio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 dicembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate direzione provinciale di Firenze provvedeva a notificare a NOME COGNOME avviso di accertamento ai fini IRPEF per l’anno 2009 con il quale rilevava l’esistenza di una
capacità contributiva superiore ai redditi imponibili dichiarati nel biennio 2007 – 2008, evidenziando quello che risultava essere in entrambi gli anni il suo reddito sintetico calcolato sulla base degli elementi indice di capacità contributiva nella sua disponibilità (€ 48.599,00 nell’anno 2007 ed € 51.794,00 nell’anno 2008) ed accertando, per il solo anno 2008, detto maggior reddito.
Avverso l’avviso di accertamento il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Firenze; si costituiva anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La RAGIONE_SOCIALE Firenze, con sentenza n. 1224/01/2016, rigettava il ricorso.
Contro tale sentenza proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. della Toscana; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 293/04/2019, depositata in data 22 febbraio 2019, la C.t.r. adita accoglieva il gravame del contribuente.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Toscana, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi ed il contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 19 dicembre 2024 per la quale il contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha annullato l’avviso di accertamento per la mancata sussistenza dello scostamento di un quarto per due periodi di imposta del reddito accertato rispetto a quello dichiarato, ciò che però non aveva costituito motivo di ricorso del contribuente e, quindi, in questo modo ponendosi in violazione del principio del chiesto pronunciato.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto mancante la sussistenza dello scostamento di un quarto per due periodi di imposta del reddito accertato rispetto a quello dichiarato, scostamento che invece emergeva e veniva specificato dalla motivazione dell’avviso di accertamento in oggetto.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 36, secondo comma, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Uffico lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r., senza motivare la propria decisione, ha semplicemente ritenuto due circostanze meramente affermate -la situazione familiare e il reddito disponibile in quest’ambito come “motivazioni” valide per l’accoglimento dell’appello.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, cosi rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 600/1973, D.M. 10/09/1992 E D.M. 19/11/1992 ed artt. 2697, 2727, 2728 e 2729 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto obbligatorio lo svolgimento di contraddittorio preventivo; inoltre, la C.t.r. non ha considerato la natura di presunzione legale del redditometro, alla quale il contribuente può solo opporre la dimostrazione del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte che possano essere sintomaticamente ricondotti all’impiego nelle spese attenzionate dall’Ufficio.
Il primo motivo di ricorso è fondato; con esso, in particolare, si censura la decisione della C.t.r. nella parte in cui ha statuito dell’illegittimità dell’avviso stante la mancata sussistenza dello scostamento di un quarto per due periodi di imposta del reddito accertato rispetto a quello dichiarato, che però non era stata eccepita dal contribuente con il proprio ricorso.
2.1. Con riguardo al vizio di pronunciamento ultra petita in cui può incorrere il Giudice del merito, questa Corte ha avuto modo di chiarire che: «Il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione ( petitum e causa petendi ) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ( petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso ( petitum mediato) (Cass., n. 9002 del 2018; Cass. n. 8048 del 2019), fermo restando che egli è libero di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate» (Cass. n. 15002/2023).
2.2. Orbene, alla stregua di tali considerazioni, risulta ictu oculi come la C.t.r. sia incorsa nel vizio in parola nella sua decisione.
Si ricava ex actis, infatti, come il contribuente, sia in primo che in secondo grado, tra le tante censure proposte, non avesse certamente proposto quella della mancanza di sussistenza dello scostamento di un quarto per due periodi di imposta del reddito accertato rispetto a quello dichiarato; la stessa decisione della C.t.r. introduce la valutazione sul punto, e conclude sullo stesso, senza far riferimento alcuno al motivo di appello che sta accogliendo.
Il secondo motivo risulta assorbito dall’accoglimento del primo.
Comunque, ove non assorbito, sarebbe infondato.
Con esso parte ricorrente censura la decisione di secondo grado nella parte in cui non ha rilevato che la sussistenza dello scostamento di un quarto era stata valutata dall’Ufficio e specificata nella motivazione dell’avviso di accertamento in oggetto. Dagli atti di causa, in particolare dalla motivazione dell’avviso di accertamento in oggetto, risulta che il detto scostamento in realtà era stato valutato dall’Ufficio prima di procedere all’emissione dell’avviso: si era determinato per il 2007, a fronte di un reddito dichiarato di € 6,00, un reddito sintetico di € 48.599,00, e per l’anno 2008, a fronte di un reddito dichiarato di € 1.597,00, un reddito sintetico di € 51.794,00, procedendosi poi ad emissione dell’avviso di accertamento in oggetto per quest’ultimo anno d’imposta. Da qui la correttezza dell’operato dell’Amministrazione finanziaria.
Ragioni di sistematicità e logicità suggeriscono di passare all’esame del quarto motivo di ricorso.
Esso è fondato; in particolare, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ritiene obbligatorio il contraddittorio preventivo all’avviso, e in quella in cui non ha considerato la natura di presunzione legale del redditometro, alla quale il contribuente può solo opporre la dimostrazione del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte che possano essere sintomaticamente ricondotti all’impiego nelle spese attenzionate dall’Ufficio.
4.1. Con riferimento alla censura circa l’obbligo di contraddittorio preventivo in tema di vecchio redditometro (attenendo il caso in esame all’anno 2008), occorre ricordare come giurisprudenza consolidata di questa Corte abbia statuito che non esiste nel nostro ordinamento un generale obbligo di contraddittorio endoprocedimentale. Difatti: «Allo stato attuale della legislazione non sussiste, nell’ordinamento tributario nazionale, una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale (…) un argomento asseverante a contrario risiede proprio nel dato normativo dell’art.
22, comma primo, d.l. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122 del 2010 che ha introdotto l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale in tema di accertamento sintetico “con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”» (Cass. n. 3885/2016).
4.2. Più in particolare, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 24823/2015, hanno affermato il seguente principio di diritto: «Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto».
Le Sezioni Unite hanno evidenziato, appunto, come, nella normativa tributaria nazionale, in relazione ai tributi non armonizzali, non si rinvenga alcuna disposizione espressa che sancisca in via generale l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, al di fuori di precise disposizioni che tale contraddittorio prescrivono, peraltro a condizioni e con modalità ed effetti differenti, in rapporto a singole ben specifiche ipotesi, quale «l’articolo 38, comma 7, d.p.r. 600173 (come modificato dall’art. 22, comma I, di. 78/2010, convertito in 1. 12212010), in tema di accertamento sintetico».
4.3. Alla stregua di ciò, deve certamente ritenersi errata la sentenza qui impugnata laddove riconosce la necessità dell’esplicazione di un contraddittorio preventivo all’emissione dell’avviso di accertamento.
4.4. Passando ora alla all’esame della censura sulla natura di presunzione legale del redditometro e relativo onere della prova in materia, ad esso risulta funzionale un excursus sullo strumento del «redditometro». Quest’ultimo collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione.
L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. 30 dicembre 1991, n. 413 e il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e
mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
4.5. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. n. 1980/2020, Cass. n. 10266/2019, Cass. n. 5544/2019, Cass. n. 8933/2018, Cass. n. 8539/2017, Cass. n. 17487/2016, Cass. n. 930/2016 e Cass. n. 21335/2015).
Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che
il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 21142/2016, Cass. n. 18604/2012 e Cass. n. 20588/2005).
4.6. Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente «sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere»; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi.
Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. n. 37985/2022, Cass. n. 19082/2022, Cass. n.
12600/2022, Cass. n. 12889/2018, Cass. n. 12207/2017, Cass. n. 1332/2016 e Cass. n. 8995/2014).
4.7. Orbene, dato quanto sopra, deve evidenziarsi l’erroneità della sentenza della C.t.r. anche nella parte in cui molto sbrigativamente afferma che: «Questa Commissione ha inoltre tenuto conto della situazione famigliare e del reddito disponibile in tale ambito che viene considerata ulteriore motivazione di accoglimento dell’appello di parte contribuente e conseguentemente compensare le spese in tutti i gradi del giudizio relativamente a tale controversia»; così statuendo, infatti, il Giudice di secondae curae non si avvede della natura di presunzione legale dello strumento del redditometro e non si preoccupa minimamente di verificare se generiche prove circa il reddito disponibile in ambito famigliare siano in grado di giustificare il maggior reddito determinato dall’Ufficio, nel senso di accertare, quindi, che il detto reddito famigliare fosse stato, quantomeno sintomaticamente, effettivamente utilizzato con riferimento alle maggiori spese attenzionate dall’Ufficio.
Il terzo motivo di ricorso è anch’esso fondato; con esso, in particolare, parte ricorrente si duole della motivazione soltanto apparente circa il reddito derivante dalla situazione familiare che era in grado di giustificare il maggior reddito accertato.
5.1. Ebbene, sulla base delle stesse considerazioni fatte nell’analisi appena del quarto motivo, non può che condividersi anche la censura fatta propria da parte ricorrente con il presente motivo.
In conclusione, va accolto il ricorso e la sentenza impugnata va cassata con rinvio del giudizio innanzi al giudice a quo affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di Giustizia di secondo grado della Toscana, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e
motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 19 dicembre 2024.