Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4759 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4759 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8725/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato in Porto San Giorgio presso il suo studio sito in INDIRIZZO.
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in INDIRIZZO, INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. MARCHE n. 411/01/2015, depositata in data 14 dicembre 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Il contribuente riceveva notifica dall’RAGIONE_SOCIALE -dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, relativo ad IRPEF ed altro per l’anno di imposta
Avv. Acc. IRPEF 2006
Il contribuente, per l’anno di imposta oggetto di contestazione, risultava possedere beni indice di capacità contributiva non dichiarati quali residenza principale, autoveicoli, cavalli da corsa. A seguito della verifica fiscale, l’ufficio, ex art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, rideterminava il reddito in € 95.411,00 (oltre interessi e sanzioni).
Avverso l’avviso di accertamento, il contribuente proponeva ricorso dinanzi la C.t.p. di Ascoli Piceno; resisteva l’ufficio con controdeduzioni.
La C.t.p. di Ascoli Piceno, con sentenza n. 26/02/2013, rigettava le ragioni del contribuente.
Contro la sentenza proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. RAGIONE_SOCIALE Marche; resisteva l’RAGIONE_SOCIALE con controdeduzioni.
Tale Commissione, con sentenza n. 411/01/2015, depositata in data 14 dicembre 2015, rigettava il gravame confermando l’avviso di accertamento.
Avverso la sentenza della C.t.r. RAGIONE_SOCIALE Marche, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 09 gennaio 2024 per la quale il contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 24, comma quarto, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto che il contribuente non conoscesse il contenuto della nota sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Omessa motivazione ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 42, comma primo, d.P.R. n. 600 del 1973 (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.)» il contribuente lamenta l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha omesso di motivare sull’eccepita nullità dell’atto impositivo derivante dalla corretta applicazione RAGIONE_SOCIALE norme richiamate, nonostante la stessa sia stata oggetto di discussione tra le parti.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione o falsa applicazione dell’art. 42, comma primo e terzo, d.P.R. n. 600 del 1973 (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha rigettato le censure del contribuente malgrado, in relazione all’onere della prova della sussistenza dei poteri in capo ai dirigenti firmatari degli atti impositivi, l’ufficio nulla avesse prodotto in relazione alla eccepita necessità del deposito dell’atto di delega da parte del titolare dell’ufficio fiscale.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione o falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 per mancanza di motivazione dell’utilizzo da parte dell’ufficio del redditometro (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha rigettato il gravame dell’ufficio, malgrado nell’avviso di accertamento mancasse una congrua e dettagliata motivazione circa l’idoneità concreta del redditometro di determinare il maggior reddito imponibile.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, così rubricato: «Omessa motivazione ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, mancando l’indicazione della tipologia di reddito asseritamente evaso, in violazione degli artt. 42, d.P.R. n. 600 del 1973, 3, l. 7 agosto
1990, n. 241, 7, l. 27 luglio 2000, n. 212 (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.)» il contribuente lamenta l’omessa valutazione circa un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha omesso di indicare e inquadrare in una RAGIONE_SOCIALE sei categorie previste dal d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 il reddito presunto.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma sesto, d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione alla omessa valutazione della prova contraria fornita dal contribuente ex art. 38, comma sesto, d.P.R. n. 600 del 1973 (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha rigettato il gravame sul presupposto che il contribuente non avesse fornito la prova della provenienza non reddituale RAGIONE_SOCIALE somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma.
Il primo motivo è infondato.
La C.t.r. ha chiaramente affermato che la presentazione di un atto di integrazione dei motivi con espresso riferimento all’art. 24, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 (contenente lo specifico rinvio agli artt. 18,20, 22 e 23 del medesimo d.lgs.) si profila inammissibile in quanto non vi era stato alcun deposito di documenti non conosciuti ad opera RAGIONE_SOCIALE altre parti o per ordine della commissione ma era semplicemente stata evocata l’applicazione della sentenza della Corte costituzionale numero 37 del 2015 la cui pubblicazione non poteva essere considerata equivalente al deposito di cui all’articolo 24, comma 4, cit.
3. Il secondo motivo è inammissibile.
La relativa censura non evidenzia un fatto storico il cui esame sia stato omesso nel contesto motivazionale della sentenza della C.t.r.; piuttosto, ciò che viene proposto consiste in un’omessa pronuncia su una questione ritenuta, di contro e correttamente,
inammissibilmente proposta, ossia la questione sulla delega di firma che viene sollevata per la prima volta in appello e, quindi, consiste in un motivo nuovo.
Conseguentemente, anche il terzo motivo è inammissibile.
Esso verte su una questione che non poteva trovare ingresso in grado di appello come già affermato da questa Corte secondo cui ‘In tema di contenzioso tributario, è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio RAGIONE_SOCIALE di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicché l’invalidità non può essere rilevata di ufficio, né può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso, con cui si è dedotta la nullità dei gradi di merito e RAGIONE_SOCIALE relative pronunce per effetto della sentenza della Corte cost. n. 37 del 2015, non essendo stata rilevata d’ufficio la nullità degli atti impositivi per carenza di potere del sottoscrittore). (Cass. 09/11/2015, n. 22810).
Il quarto ed il sesto motivo, da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono inammissibili oltre che infondati.
In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi
demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. 28/10/2020, n. 23745).
La doglianza è anche infondata perché i parametri del cosiddetto redditometro di cui al citato decreto ministeriale integrano direttamente la RAGIONE_SOCIALE previsione del citato art. 38 e, pertanto, costituiscono a tutti gli effetti norme giuridiche che il giudice è tenuto ad applicare e non può disapplicare sic et simpliciter. Il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall’RAGIONE_SOCIALE, non ha il potere di togliere a tale elementi la capacità presuntiva contributiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, potendo solo valutare la prova che contribuente offre in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile) RAGIONE_SOCIALE somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalle norme medesime (Cass. 19/12/2011, n. 27545).
5.1. Di poi, in tema di accertamento in rettifica RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi RAGIONE_SOCIALE persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2021, n. 27811). Il sistema del ‹‹redditometro›› collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche
tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione. L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in RAGIONE_SOCIALE, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’RAGIONE_SOCIALE, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) RAGIONE_SOCIALE somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass.
11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in RAGIONE_SOCIALE, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588). Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente ‹‹sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo
possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 28/12/2022, 37985Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).
5.2. Nella fattispecie in esame, la RAGIONE_SOCIALE.t.r. ha fatto buon governo dei principi illustrati laddove, con una motivazione che palesa chiaramente l’ter logico argomentativo, chiarisce che il contribuente si limita ad affermare, senza fornire alcune idonea prova documentale, che le spese di fatto sostenute per il mantenimento dei beni indice individuati dall’RAGIONE_SOCIALE accertatore, nell’anno fiscale di riferimento, sono nettamente inferiori al reddito presuntivo indicato dai decreti ministeriali; tuttavia, oblitera la disamina della prova contraria, a suo carico, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in RAGIONE_SOCIALE, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. In particolare, la censura rappresentata nel sesto motivo tende ad una rivalutazione di elementi di merito non consentita in sede di legittimità allorquando si ripropongono le prove afferenti la residenza principale, gli autoveicoli, i cavalli da corsa e le disponibilità finanziarie, prove valutate esaurientemente dalla C.t.r. che ha precisato come il contribuente non deve provare che le spese di fatto sostenute per il mantenimento dei beni indice individuati dall’ufficio accertatore, nell’anno fiscale di riferimento,
sono nettamente inferiori al reddito presuntivo indicato dai decreti ministeriali; andava invece provato, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, era costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in RAGIONE_SOCIALE, anche che il reddito presunto non esisteva o esisteva in misura inferiore
Il quinto motivo è inammissibile per le medesime argomentazioni illustrate in occasione della disamina del secondo motivo.
La relativa censura non evidenzia un fatto storico il cui esame sia stato omesso nel contesto motivazionale della sentenza della C.t.r., né da quali atti processuali emerga, ovvero in cosa consista l’omesso esame da parte dei giudici di appello, non rispondendo allo schema di vizio della motivazione deducibile nel giudizio di legittimità.
6.1. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”,
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. n.8053/2014).
6.2. Vieppiù che nella fattispecie in esame, la C.t.r., con motivazione immune da violazioni di legge o alterazioni dell’iter logico argomentativo, ha chiarito che il contribuente si è limitato ad affermare, senza peraltro fornire di ciò alcuna idonea prova documentale, che le spese di fatto sostenute per il mantenimento dei beni indice individuati dall’ufficio accertatore nell’anno fiscale di riferimento sono nettamente inferiori al reddito presuntivo indicato dai decreti ministeriali.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’RAGIONE_SOCIALE le spese processuali che si liquidano in € 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 9 gennaio 2024.