Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8302 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8302 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/03/2025
COGNOME NOME
-intimato –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. SICILIA n. 5633/2023, depositata in data 3 luglio 2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE notificato per posta il 28 marzo 2013, per l’anno 2008, con il quale l’ufficio aveva accertato per via induttiva, ai sensi dell’art. 38 del DPR 600/73
Avviso di Accertamento – IRPEF e altro 2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1995/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege ,
-ricorrente – contro
applicando il redditometro, un reddito complessivo di euro 81.841,64, a fronte di quello dichiarato pari a euro 3.775,00.
Avverso l’avviso di accertamento, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Siracusa; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate che presentava un riformulato accertamento.
La C.t.p. di Siracusa, con sentenza n. 399/2017 accoglieva il ricorso annullando l’atto impositivo, ritenendo provato da parte del contribuente il possesso di redditi esenti.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla C.t.r. della Sicilia; il contribuente si costituiva in giudizio chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 5633/2023, depositata in data 3 luglio 2023, la C.t.r. rigettava l’appello, ritenendo che il contribuente avesse dimostrato di avere conseguito redditi, pari a Euro 198.000,00, per dismissione di immobili e di essere in possesso di redditi esenti mobiliari e finanziari costituiti da libretti a risparmio postale, tali da giustificare gli investimenti posti in essere, oggetto dell’accertamento d’ufficio.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Sicilia, l’Ufficio ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo ed il contribuente è rimasto intimato.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, commi 4 -5-6 d.P.r. 29 settembre 1973, n. 600 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.) e violazione e/o falsa applicazione degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.», l’Ufficio lamenta l’error in iudicando e l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r., accogliendo le tesi del contribuente in ordine all’illegittimità dell’avviso di accertamento
emesso, non abbia fatto buon governo dei principi qui applicabili ratione materiae e nella parte in cui ha omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto tra le parti.
Il motivo di ricorso proposto è fondato.
In tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2021, n. 27811). Il sistema del ‹‹redditometro›› collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione. L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del
contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588). Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il
contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente ‹‹sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 28/12/2022, 37985; Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).
2.1. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha fatto malgoverno dei principi normativi e giurisprudenziali testè richiamati, allorquando assume che gli indici non sarebbero da soli sufficienti a motivare l’accertamento asserendo, come conseguenza, la nullità dell’avviso per difetto di motivazione; vieppiù che, da un lato, confonde la questione della facoltà/onere di prova contraria del contribuente in giudizio con il contenuto necessario della motivazione dell’atto impositivo e, dall’altro, omette di considerare il fatto, potenzialmente decisivo, dell’intervenuta autotutela parziale e sulla cui produzione, in appello, c’è indicazione, come pure, in questa sede, sono prodotti in allegato l’atto di appello e l’atto di autotutela. Infine, quanto agli altri redditi esenti, diversi da quelli già oggetto di autotutela, fa una valutazione generica globale, in contrasto con la giurisprudenza delineata sub 2.
In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato innanzi al giudice a quo, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 7 febbraio 2025.