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Redditometro e prova contraria: la Cassazione decide

Un contribuente, soggetto a un accertamento fiscale basato sul redditometro, aveva ottenuto ragione nei primi due gradi di giudizio dimostrando di possedere redditi esenti. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo un principio chiave: per superare la presunzione del redditometro, non è sufficiente provare la mera disponibilità di ulteriori somme, ma è necessario fornire una prova documentale che colleghi specificamente tali somme alle spese contestate. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Redditometro e prova contraria: non basta avere redditi esenti, bisogna dimostrarne l’uso

L’accertamento basato sul redditometro è uno degli strumenti più discussi del diritto tributario, poiché inverte l’onere della prova ponendolo a carico del contribuente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza i paletti entro cui deve muoversi la difesa del cittadino, specificando che non è sufficiente dimostrare di possedere redditi esenti o già tassati per annullare la pretesa del Fisco. È necessario un passo in più: provare, con documentazione idonea, che proprio quei redditi siano stati utilizzati per sostenere le spese che hanno generato l’accertamento.

I fatti di causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un contribuente per l’anno d’imposta 2008. Sulla base di elementi di spesa rilevati tramite il redditometro, l’Ufficio aveva calcolato un reddito complessivo di oltre 81.000 euro, a fronte dei circa 3.700 euro dichiarati.

Il contribuente ha impugnato l’atto, e sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale gli hanno dato ragione. I giudici di merito hanno ritenuto che il contribuente avesse fornito una prova contraria sufficiente, dimostrando di aver percepito circa 198.000 euro dalla vendita di immobili e di possedere redditi esenti derivanti da libretti di risparmio postale, somme considerate idonee a giustificare la capacità di spesa contestata.

L’Agenzia delle Entrate, ritenendo errata tale valutazione, ha proposto ricorso in Cassazione.

Il funzionamento del redditometro e l’onere della prova del contribuente

L’ordinanza della Suprema Corte chiarisce innanzitutto il meccanismo del redditometro. Questo strumento si fonda su una presunzione legale: la disponibilità di certi beni (come immobili, auto di lusso, etc.) o il sostenimento di determinate spese sono considerati ‘indici di capacità contributiva’. L’Amministrazione Finanziaria, una volta provata l’esistenza di questi ‘fatti-indice’, è esonerata da ogni altra prova.

A questo punto, la palla passa al contribuente, che ha l’onere di fornire la cosiddetta ‘prova contraria’. Egli deve dimostrare che il reddito presunto dal Fisco non esiste, o esiste in misura inferiore. Tale prova, secondo la legge e la giurisprudenza consolidata, deve consistere nella dimostrazione documentale che le spese contestate sono state finanziate con redditi esenti (es. vincite, donazioni) o già soggetti a tassazione alla fonte (es. TFR, interessi su titoli di stato).

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza della Commissione Tributaria Regionale. Il punto centrale della motivazione risiede nella critica alla valutazione ‘generica e globale’ fatta dai giudici di merito. Secondo la Cassazione, la giurisprudenza è chiara nel richiedere qualcosa di più della semplice dimostrazione della disponibilità di ulteriori redditi.

Il contribuente, per superare la presunzione del redditometro, deve fornire la prova documentale non solo dell’entità di tali redditi e della durata del loro possesso, ma anche di ‘circostanze sintomatiche’ del fatto che quel denaro sia stato effettivamente utilizzato per coprire le spese oggetto di accertamento. In altre parole, deve creare un collegamento logico e temporale tra la disponibilità dei fondi extra-reddito e l’effettivo sostenimento delle spese. Una prova efficace, suggerisce la Corte, può essere fornita, ad esempio, attraverso l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari.

I giudici di legittimità hanno ritenuto che la Corte regionale abbia errato nel considerare sufficiente la generica prova di possedere redditi esenti, senza pretendere la dimostrazione del loro effettivo impiego. Inoltre, la sentenza impugnata aveva erroneamente confuso il contenuto dell’atto di accertamento con l’onere della prova del contribuente, omettendo di valutare fatti decisivi come l’autotutela parziale operata dall’Ufficio.

Conclusioni

La decisione della Cassazione rappresenta un importante monito per i contribuenti e i loro difensori. Per contestare efficacemente un accertamento basato sul redditometro, non basta affermare di avere altre fonti di reddito. È indispensabile costruire una difesa documentale solida e specifica, in grado di dimostrare non solo il ‘quantum’ e la provenienza delle somme, ma anche la loro destinazione alle spese che hanno fatto scattare i controlli del Fisco. La sentenza ribadisce la natura rigorosa della prova contraria, che deve ancorarsi a ‘fatti oggettivi’ e non a mere affermazioni, al fine di superare la presunzione legale su cui si regge l’accertamento sintetico.

Che cos’è l’accertamento con redditometro?
È un metodo di accertamento sintetico con cui l’Amministrazione Finanziaria presume il reddito di un contribuente basandosi su elementi indicativi di capacità di spesa (es. possesso di auto, immobili, etc.). Questo strumento crea una presunzione legale, e l’onere di provare il contrario spetta al contribuente.

Per contestare un accertamento da redditometro, è sufficiente dimostrare di avere altri redditi non dichiarati (es. derivanti da vendite di immobili o risparmi)?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi esenti o già tassati. Il contribuente deve fornire una prova documentale specifica su circostanze che dimostrino che tali redditi siano stati effettivamente utilizzati per coprire le spese contestate dal Fisco.

Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione nel caso esaminato?
La Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, annullando la sentenza precedente. Ha stabilito che il giudice di merito aveva errato nel ritenere sufficiente una prova generica della disponibilità di altri redditi. Il caso è stato rinviato a un’altra sezione della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame che tenga conto dei principi enunciati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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