Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 859 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 859 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/01/2025
Avv. Acc. IRPEF 2006 -2007 -2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20126/2018 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Potenza, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. BASILICATA n. 366/01/2017, depositata in data 17 maggio 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 dicembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con gli avvisi di accertamento n. TC301T401553, anno d’imposta 2006, n. TC301T401554, anno d’imposta 2007, e n. TC301T401555, anno d’imposta 2008, l’Agenzia delle Entrate –
direzione provinciale di Potenza – accertava, ex art. art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, un reddito rispettivamente di € 58.408,73, di € 58.152,26 e di € 31.114,69, con imposte, interessi e sanzioni in conseguenza. In dettaglio, l’Ufficio rettificava i redditi in considerazione del fatto che l’intimato, con atti pubblici del 2007 e del 2008, aveva acquistato fondi con fabbricato in agro di Tursi per complessivi € 231.445,22 e, altresì, un comprensorio di terreni, sempre in Tursi, per € 133.150,00. Tali investimenti patrimoniali, unitamente alla disponibilità di autovetture, mal si conciliavano con il fatto che la parte aveva omesso di presentare dichiarazione per il 2006 e dichiarato redditi complessivi di € 2.530,00 per l’anno 2007 e di € 7.761,00 per l’anno 2008.
Avverso gli avvisi di accertamento il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Potenza; si costituiva anche l’Ufficio, che proponeva mediazione con riduzione del reddito sinteticamente accertato in € 50.095,00 per il 2006, € 47.488,00 per il 2007 ed € 20.450,00 per il 2008.
La C.t.p. di Potenza, previa riunione, con sentenza n. 207/02/2015, accoglieva parzialmente i ricorsi, confermando la rideterminazione effettuata dall’Ufficio proposta in sede di mediazione.
Contro tale sentenza proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. della Basilicata; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 366/01/2017, depositata in data 17 maggio 2017, la C.t.r. adita rigettava il gravame del contribuente.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Basilicata, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 19 dicembre 2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 26 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e 53 Cost.» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha riconosciuto che l’atto di compravendita con il quale esso aveva acquistato proprietà di terreni agricoli dal padre era una donazione dissimulata, come si evinceva dalla prova della mancanza del passaggio di denaro tra il ricorrente e il padre.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 43, secondo comma, d.P.R. n. 600/1973» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r., con riferimento al 2006, ha ritenuto non decaduto l’Ufficio dal potere di accertamento, nonostante la norma sulla proroga dei termini di accertamento non possa trovare applicazione nel caso di omessa dichiarazione dovuta al fatto che il contribuente non ne aveva obbligo in quanto non titolare di reddito.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Violazione o falsa applicazione dell’art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. n. 600/1973» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha rilevato che l’Ufficio ha accertato il reddito sintetico derivante da spese per incremento patrimoniale non
sostenute dal contribuente nell’anno d’imposta accertato, in quanto nell’atto di compravendita le parti dichiaravano che il prezzo sarebbe stato pagato in epoca precedente; di conseguenza, l’anno oggetto di accertamento avrebbe dovuto essere quello del pagamento.
Il primo motivo è inammissibile.
La complessiva censura si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso
dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.
In altri termini viene chiesto di effettuare un nuovo esame sul merito della controversa e di approdare ad una valutazione degli elementi di prova difforme da quella fatta propria dal collegio di seconda istanza la cui decisione dà contezza, seppur sinteticamente, di come l’assunto secondo cui l’atto di compravendita dei terreni agricoli intervenuto tra il contribuente ed il proprio padre nel 2007 fosse in realtà una donazione, non risulta corroborato da alcun riscontro documentale, controdichiarazione o altro documento avente data certa anteriore o contestuale all’acquisto.
2.1. Va premesso che, in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2021, n. 27811). Il sistema del ‹‹redditometro›› collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato
per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione. L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il
possesso di tali beni (Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588). Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente ‹‹sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico
riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 28/12/2022, 37985; Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995
2.2. Di poi, non vi è dubbio sulla possibilità del contribuente, attinto da un atto impositivo fondato sulla propria capacità di spesa ai sensi dell’art. 38, commi 4 e 5 d.P.R. n. 600 del 1973, di offrire la prova contraria con ogni mezzo idoneo. Questa Corte ha infatti chiarito che in tema di accertamento sintetico la prova contraria a carico del contribuente, avente ad oggetto la provenienza non reddituale dell’elemento accertato dal fisco come sintomatico di una maggiore capacità contributiva, non è normativamente tipizzata e dunque può essere data con qualsiasi mezzo (Cass., 13/02/2019, n. 4212; cfr. anche 22/03/2017, n. 7258).
2.3. A tal fine la prova contraria può essere costituita anche dalla allegazione di una controdichiarazione di un negozio simulatorio.
Con principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità si è, infatti, affermato che il contribuente può dare, nel sintetico, la prova contraria anche dimostrando che l’acquisto era assolutamente o relativamente (circa il corrispettivo) simulato, ovvero che i beni o gli importi contestati quali indici di capacità contributiva non siano effettivamente entrati nella sua disponibilità,
in quanto derivanti da un atto simulato, che non ne implica la corrispondente e reale disponibilità economica (Cass. 17/03/2006, n. 5991; Cass. 10/10/2014, n. 21442; Cass. 11/11/2020, n. 25414; Cass. 14/12/2021, n. 39831).
2.4. Nella fattispecie in esame, siffatta prova non è stata nemmeno menzionata così rendendo inammissibile il motivo anche sotto tale profilo.
Il secondo motivo è parimenti infondato.
L’art. 43 del d.P.R. n. 660/73 sancisce che <>.
3.1. Nella fattispecie in esame, sul punto, la C.t.r. ha fatto buon governo dei principi normativi avendo espressamente rigettato l’eccezione di decadenza dal potere di accertamento in considerazione del fatto oggettivo della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi.
Dal rigetto dei primi due motivi di ricorso discende l’assorbimento del terzo motivo che è inammissibile oltre che infondato per le considerazioni svolte sub 2 e ss.
In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 19 dicembre 2024.