Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 861 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 861 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/01/2025
Avv. Acc. IRPEF 2009
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10165/2018 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME e ope legis domiciliato presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, INDIRIZZO Roma.
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 4545/34/2017, depositata in data 10 novembre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 dicembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
La C.t.p. di Milano, con sentenza n. 9050/18/15, depositata in data 10/11/2015, respingeva il ricorso presentato da NOME
Arcidiacono avverso l’avviso d’accertamento ai fini IRPEF n. T9D013A03953, relativo all’anno d’imposta 2009 ed emesso dall’Agenzia delle Entrate -direzione provinciale di Milano ex art. 38, quarto, quinto e sesto comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con il quale si rettificava il reddito del contribuente in € 117.435,00 a fronte di quello dichiarato pari a € 38.489,00; l’Ufficio, a fondamento dell’avviso suddetto, indicava una serie di spese.
Contro tale sentenza proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. della Lombardia; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 4545/34/2017, depositata in data 10 novembre 2017, la C.t.r. adita rigettava il gravame del contribuente, confermando la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi mentre l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 19 dicembre 2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.: violazione e falsa applicazione dell’art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. n. 600/1973, artt. 2697 e 2728 cod. civ. anche in relazione agli artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ. Violazione dell’art. 4 D.M. 24.12.2012» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r., nonostante l’avvenuta prova dell’esistenza di un reddito diverso (restituzione finanziamento soci) da quello imponibile atto a giustificare le maggiori spese, ha stabilito che doveva essere fornita anche la prova che tale reddito diverso era stato a suo tempo soggetto a tassazione.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.: violazione e falsa applicazione dell’art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. n. 600/1973, artt. 2697 e 2728 cod. civ. anche in relazione agli artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ.» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha affermato che era necessario provare anche l’effettivo impiego del reddito diverso (restituzione finanziamento soci) per le spese attenzionate dall’Ufficio, non bastando la sola prova dell’esistenza del reddito diverso.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, cod. proc. civ.: nullità della sentenza per omessa motivazione ed omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti» il contribuente lamenta l’ error in procedendo e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha preso in considerazione, motivando in maniera soltanto apparente, la prova dell’avvenuta restituzione di finanziamento soci.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione e stante l’affinità delle critiche sollevate, sono inammissibili oltre che infondati.
2.1. Anzitutto, va evidenziato che la complessiva censura si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più
consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità. In altri termini viene chiesto di effettuare un nuovo esame sul merito della controversa e di approdare ad una valutazione degli elementi di prova difforme da quella fatta propria dal collegio di seconda istanza la cui decisione dà contezza di come siano state valutate come inidonee le prove offerte dal contribuente.
2.2. Va premesso che il sistema del cd. «redditometro» collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione.
L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. 30 dicembre 1991, n. 413 e il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o,
più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
2.3. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. n. 1980/2020, Cass. n. 10266/2019, Cass. n. 5544/2019, Cass. n. 8933/2018, Cass. n. 8539/2017, Cass. n. 17487/2016, Cass. n. 930/2016 e Cass. n. 21335/2015). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 21142/2016, Cass. n. 18604/2012 e Cass. n. 20588/2005).
2.4. Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della
disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente «sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere»; è la norma stessa della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. n. 37985/2022, Cass. n. 19082/2022, Cass. n. 12600/2022, Cass. n. 12889/2018, infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova riferimento alla prova (risultante da idonea redditi per consentire la riferibilità della maggiore Cass. n. 12207/2017, Cass. n. 1332/2016 e Cass. n. 8995/2014). 2.5. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha fatto buon governo dei principi normativi e giurisprudenziali testè illustrati ed ha ritenuto che le giustificazioni fornite dal contribuente non fossero attendibili, in specie per quanto atteneva all’importo di € 68.500,00 ad asserito titolo di restituzione di un finanziamento precedentemente erogato ad una società. Sul punto, i giudici di appello hanno ritenuto fondato il rilievo dell’Agenzia delle entrate, secondo cui il
rimborso del finanziamento non potesse giustificare le spese sostenute nell’anno di riferimento (2009) perché lo stesso finanziamento non era in linea con i redditi dichiarati nell’anno di erogazione e negli anni precedenti.
2.6. La censura è evidentemente volta a ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile nella parte in cui invoca la violazione del n. 5 dell’art. 260, primo comma, cod. proc. civ. qui rilevando l’applicazione della previsione di cui all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., così come riformulato dal d.l. 22/6/2012, n. 83 conv. nella legge 11/8/2012, n. 143 che, per l’ipotesi di cd. doppia conforme, avendo il giudice di appello confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso del contribuente, sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto a sostegno della sentenza di primo grado, preclude la deducibilità in sede di legittimità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma cod. proc. civ. Tale nuova norma è sicuramente applicabile alla fattispecie in oggetto atteso che l’atto di appello è stato depositato in data 13 aprile 2016 e, quindi, ben oltre il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.
3.1. Invero, la C.t.r., in merito all’insufficienza delle prove addotte dal contribuente circa la mancanza di espressione di capacità contributiva, accertata e desunta dal possesso dei beni e dagli incrementi patrimoniali, ha reso una valutazione conforme a quella resa dal giudice di primo grado.
3.2. Di poi, il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo
riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22/12/2016, n. 26774).
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 19 dicembre 2024.