Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3220 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 3220  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8118/2016 R.G. proposto da:
NOME,  rappresentato  e  difeso  dall’AVV_NOTAIO  NOME COGNOME  ed  elettivamente  domiciliato  in  Roma  alla  INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore .
-resistente –
Avverso la sentenza della COMM.  TRIB. REG. TOSCANA  n. 1755/30/2015, depositata in data 16 ottobre 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 dicembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
 Il  contribuente  riceveva  notifica  dall’RAGIONE_SOCIALE  provinciale  di  Lucca -dell’avviso  di  accertamento  n. NUMERO_DOCUMENTO,  relativo  ad  IRPEF  ed  altro  per  l’anno  di  imposta 2006 e dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, relativo ad IRPEF  ed  altro  per  l’anno  di  imposta  2007  ai  sensi  dell’art.  38, comma 5, d.P.R. n. 600 del 1973; costui, per gli anni di imposta oggetto di contestazione, risultava possedere beni indice di
Avv. Acc. IRPEF 2006-2007
capacità contributiva non dichiarati, ossia immobili ed autovetture di pregio, disponibilità finanziarie per il mantenimento degli immobili nonché per la restituzione dei ratei di un mutuo garantito da  ipoteca  immobiliare  di  durata  quindici  anni.  In  particolare, l’Ufficio accertava un reddito pari ad € 77.414,00, per l’anno 2006, ed € 74.191,00, per l’anno 2007.
 Avverso  gli  avvisi  di  accertamento,  il  contribuente  proponeva ricorso dinanzi la C.t.p. di Lucca; resisteva l’Ufficio con controdeduzioni.
 La  C.t.p.  di  Lucca,  con  sentenza  n.  30/05/2013,  rigettava  il ricorso del contribuente.
Contro la sentenza proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. della Toscana; resisteva l’Ufficio con controdeduzioni.
 Con  sentenza  n.  1755/30/2015,  depositata  in  data  16  ottobre 2015, la C.t.r. adita rigettava il gravame dichiarando la legittimità degli avvisi impugnati.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Toscana, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE  non  ha  depositato  controricorso,  ma  ha prodotto mera nota di costituzione al dichiarato solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 15 dicembre 2023.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione agli artt. 32 e 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha operato un’illegittima inversione dell’onere della prova chiedendo al contribuente di esibire della documentazione in possesso della
Pubblica amministrazione, depositata anche presso il registro RAGIONE_SOCIALE imprese;  costituiva  dovere  dell’RAGIONE_SOCIALE  chiedere  al contribuente  notizie,  in  sede  di  contraddittorio,  circa  i  pagamenti RAGIONE_SOCIALE  rate  del  mutuo  del  2004,  con  contestuale  esibizione  di documentazione bancaria inerente i movimenti operati nelle annualità oggetto di accertamento.
1.2.  Con  il  secondo  motivo  di  ricorso,  così  rubricato:  «Violazione RAGIONE_SOCIALE  norme  ex  art.  5  del  d.lgs.  18  dicembre  1997,  n.  472»  il contribuente lamenta  l’ error  in  iudicando nella  parte  in  cui,  nella sentenza  impugnata,  la  C.t.r.  ha  accolto  la  determinazione  RAGIONE_SOCIALE sanzioni  come  operata  dall’Amministrazione  finanziaria  malgrado non  vi  fossero  stati  comportamenti  del  contribuente  (azioni  od omissioni) suscettibili di giustificarne l’erogazione.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione art. 12  l.  27  luglio  2000,  n.  212»  il  contribuente lamenta  l’ error  in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha accolto la tesi erariale malgrado gli avvisi di accertamento fossero stati emessi prima della scadenza dei 60 giorni previsti dalla legge a tutela del contraddittorio endoprocedimentale.
Seguendo un ordine logico giuridico di trattazione RAGIONE_SOCIALE questioni,  va  disaminato  il  terzo  motivo  ossia  quello  relativo  alla violazione del principio generale sulla necessità del contraddittorio procedimentale. Esso è infondato.
Invero, tale obbligo sussiste soltanto per i tributi armonizzati, non anche per quelli non armonizzati, per i quali non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo vincolo generalizzato, non rinvenibile nel caso di specie nell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, applicabile nelle ipotesi di accesso presso i locali del contribuente, fattispecie la cui ricorrenza nel caso di specie non è stata dedotta. Infatti, secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione
finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini IRPEG ed IRAP, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale» (Cass. Sez. U, 09/12/2015, n. 24823 del 09/12/2015, in ambito di indagini cd. “a tavolino”).Inoltre, questa Corte ha avuto anche modo di precisare che «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto ad accertamenti fiscali, l’Amministrazione finanziaria non ha l’onere di comunicare preventivamente l’oggetto della verifica, atteso che nel procedimento tributario un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a pena d’invalidità dell’atto non sussiste al momento della raccolta RAGIONE_SOCIALE informazioni e degli elementi di prova, ma solo, eventualmente e ove espressamente sancito, in una fase successiva, quando l’Amministrazione intenda adottare nei confronti di un contribuente, sulla base dei dati raccolti, un atto potenzialmente lesivo» (Cass. 28/12/2018, n. 33572; Cass. 09/07/2020, n. 14628 del 09/07/2020, secondo cui, in tema di procedimento tributario, l’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale nell’ambito tributario, non investe l’attività di indagine e di acquisizione di elementi probatori, anche testimoniali, svolta dall’Amministrazione fiscale).
3.  Il  primo  motivo  –  ossia  quello  con  cui  il  contribuente  lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha operato un’illegittima inversione dell’onere della prova,  è fondato, ma solo nei termini che seguono.
3.1. Va premesso che in tema di accertamento in rettifica RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi RAGIONE_SOCIALE persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella
condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2021, n. 27811). Il sistema del ‹‹redditometro›› collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione. L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti
dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) RAGIONE_SOCIALE somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588). Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente ‹‹sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute
alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 28/12/2022, 37985Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).
3.2. Nella fattispecie in esame, il ricorrente si duole della violazione di legge, nonché dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in cui è incorsa la C.t.r. allorquando non ha preso in considerazione -e quindi motivato -i l mutuo ipotecario di € 220.000,0,0 rimborsabile in 180 rate mensili, quale mutuo contratto dal ricorrente insieme alla moglie COGNOME NOME ed alla madre COGNOME NOME, quest’ultima quale usufruttuaria dell’immobile e garante, facente parte del nucleo familiare. Tale mutuo, secondo il ricorrente, era stato contratto a garanzia dell’apertura di un conto corrente presso la Banca del Monte di Lucca, agenzia di Viareggio Marco Polo, utilizzato dal coniuge COGNOME NOME per l’esercizio della propria attività. Secondo il ricorrente la somma erogata con il mutuo risultava dal bilancio
chiuso al 31/12/2005 ed era regolarmente riportato nelle scritture contabili che essa era stata utilizzata a copertura del saldo scoperto del conto corrente per l’esercizio dell’attività commerciale. Di poi la moglie COGNOME NOME, con atto notarile del 29 settembre 2006, ebbe a conferire la propria azienda individuale in fase di costituzione della società RAGIONE_SOCIALE della quale era socia al 40%, ed il conferimento era attestato da perizia allegata all’atto costitutivo della società, nella quale era precisamente indicato il residuo mutuo da pagare e del quale si accollava interamente la società alla voce finanziamenti passivi.
3.3. Orbene, la censura di violazione di legge nella parte in cui ci si duole nella violazione dell’onere della prova è certamente infondata alla luce della giurisprudenza illustrata sub 3.1.; come pure è infondata nella parte in cui ci si duole nella mancata considerazione RAGIONE_SOCIALE somme acquisite dalla moglie COGNOME NOME, perché successive all’anno oggetto di accertamento. Viceversa, la questione posta in ordine a ll’accollo e d a ll’adempimento del mutuo da parte della RAGIONE_SOCIALE deve ritenersi fondata, nel senso che la RAGIONE_SOCIALE non disconosce la produzione di documentazione, ma la ritiene a priori irrilevante, in quanto la società non era parte del contratto di mutuo originario.
3.4. Vero è invece che la circostanza che dopo la stipula del mutuo era intervenuto l’accollo e quindi un obbligo di pagamento -da parte della società RAGIONE_SOCIALE concreta una possibile prova contraria, teoricamente idonea a contrastare il complesso indiziario offerto dall’amministrazione finanziaria , potendo mettere in discussione la presunta disponibilità finanziaria, pur diluita nel tempo, derivabile dal mutuo. Sotto questo profilo, la C.t.r. non ha tenuto conto della possibile portata della potenziale prova contraria di cui all’art. 38 cit. , così disattendendo la normativa e la giurisprudenza in materia.
4. Il secondo motivo -ossia quello con cui il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r.  ha  accolto  la  determinazione  RAGIONE_SOCIALE  sanzioni  come  operata dall’Amministrazione finanziaria malgrado  non  vi fossero stati comportamenti del contribuente (azioni od omissioni) suscettibili di giustificarne l’erogazione – è inammissibile oltre che infondato.
Anzitutto, la questione, non essendo stata trattata dalla sentenza di appello, risulta nuova. Infatti, è giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili di ufficio (Cass. n. 6989/2004; Cass. n. 5561/2004; Cass. n. 1915/2004). Pertanto, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ” ex actis ” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 20518 del 28/07/2008).»
4.1. Di poi, l’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992 ha previsto una causa di  esenzione  della  responsabilità  del  contribuente  nel  caso  in  cui ricorra una situazione di inevitabile incertezza normativa tributaria che può vertere sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria e si sostanzia in un’obiettiva impossibilità, accertabile  esclusivamente  dal  giudice  di  merito,  di  individuare  la norma giuridica in cui sussumere il caso di specie.
Questa  Corte  è  ripetutamente  intervenuta  a  definire  l’ambito  di applicazione  dell’errore  sulla  ‘portata  ed  ambito  applicativo’  della norma tributaria come causa di non punibilità e, dopo aver stabilito
plurimi principi in materia di non debenza RAGIONE_SOCIALE sanzioni amministrativa (cfr. Cass. n. 13076 del 24/06/2015; Cass. n. 4394 del 24/2/2014; Cass. n. 3113 del 12/2/2014; Cass. n. 24670 del 28/11/2007) è stato altresì affermato che «L’essenza del fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella difficoltà d’individuazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente (Cass. 30/03/2023, n. 9055). Ancora, In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dall’art. 3 l. n. 689 del 1981, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. È comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo
o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della  buona  fede,  che  rileva,  come  esimente,  solo  se  l’agente  è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass. 30/01/2020, n. 2139.
4.2. Pertanto, il criterio, invocato nel motivo, di assenza di dolo o colpa grave da parte del contribuente si profila assolutamente non pertinente essendo la questione sollevata risolta a livello normativo.
In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui  in  motivazione,  e  rigettati  gli  altri,  la  sentenza  impugnata  va cassata  ed  il  giudizio  va  rinviato  al  giudice  a  quo,  affinché,  in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La  Corte  accoglie  il  primo  motivo  di  ricorso  nei  limiti  di  cui motivazione  e,  rigettati  gli  altri,  cassa  la  sentenza  impugnata  e rinvia il  giudizio  alla  Corte  di  giustizia  tributaria  di  secondo  grado della Toscana affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 13 dicembre 2023.