Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1766 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1766 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11297/2022 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
-intimata- avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana n. 1235/2021 depositata il 02/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorreva avverso l’ avviso di accertamento relativo al periodo di imposta anno 2008 emesso dall’Agenzia delle Entrate con il quale l’Ufficio accertava con metodo sintetico maggiori redditi ex art. 38 DPR 600/73, per euro 34.543,00 in relazione al possesso di beni, per euro 185.354,00 come quota parte di incrementi patrimoniali, relativi ad immobili acquistati nell’anno 2010 e nell’anno 2011 dalla moglie del contribuente, NOME COGNOME priva di proprie fonti di reddito dichiarate.
Il ricorso veniva accolto dalla C.T.P. di Massa Carrara, con sentenza che veniva confermata dalla C.T.R. della Toscana, che con sentenza n. 566/2018 rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate.
L’Amministrazione ricorreva avverso la decisione della C.T.R. e questa Corte di Cassazione, in accoglimento delle censura con cui si denunciava, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. , l’apparenza della motivazione, cassava la sentenza impugnata e rinviava alla Commissione tributaria regionale della Toscana.
Riassunto il giudizio, la C.T.R. della Toscana, con la sentenza indicata in epigrafe, respingeva l’originario ricorso del contribuente.
Avverso la predetta sentenza ricorre NOME COGNOME con cinque motivi, illustrati dal successivo deposito di memoria difensiva, nella quale, inoltre, il ricorrente dà atto che il ricorso per la revocazione della sentenza qui impugnata, già pendente avanti alla C.T.R. della Toscana, è stato dichiarato inammissibile.
L’Agenzia delle entrate è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia , in relazione all’art. 360, comma 1. n. 3 c.p.c., la «V iolazione dell’art. 38, 4° c., d.P.R. n. 600/1973 (nel testo in vigore a seguito delle modificazioni apportate con l’art. 22 del d.l. n. 78/2010, convertito con l. n. 122/2010), con riferimento all’art. 22, c. 1, d.l. n. 78/2010 (convertito con l. n. 122/2010)».
1.1. Lamenta il ricorrente che le spese per incrementi patrimoniali sostenute nel 2010 e 2011 sarebbero state erroneamente prese in considerazione dall’Ufficio ai fini dell’accertamento e dai giudici di appello per la decisione, mentre al contrario esse rileverebbero, ai fini della determinazione sintetica del reddito, esclusivamente nel medesimo anno in cui sono state sostenute, giuste le modifiche apportate dall’art. 22 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, all’art. 38 del DPR n. 600/1973, il quale, nella versione riformata, prevede che la spesa per incrementi patrimoniali si presume sostenuta con redditi
conseguiti solo nell’anno in cui è stata effettuata e, dunque, in ogni caso non sarebbe possibile imputare 1/5 del presunto reddito conseguito nel 2010 a ciascuno dei quattro precedenti anni.
1.2. Il motivo è infondato.
1.3. Questa Corte ha, infatti, già avuto modo di rilevare che il primo comma del predetto art. 22 d.l. n. 78 del 2010 espressamente prevede che le modifiche che esso reca al testo dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 abbiano «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto», vale a dire per gli accertamenti del reddito relativi ai periodi d’imposta a partire dall’anno 2009, tra i quali non sono compresi quelli sub iudice » ( ex plurimis Cass. 8/05/2023, n. 12153; Cass. 01/04/2022, n. 10578; Cass. 07/06/2021, n. 15760).
1.4. A sua volta, l’art. 5 d.m. 24 dicembre 2012, emesso in attuazione del novellato quinto comma dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973, conformemente alla citata disposizione di legge, statuisce che le «disposizioni contenute nel presente decreto si rendono applicabili alla determinazione dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009».
1.5. Al riguardo questa Corte ( ex plurimis Cass. 06/10/2014, n. 21041; Cass. 6/11/2015, n. 22744; Cass. 29.01.2016, n. 1772; Cass. 21.11.2019, n. 30355; Cass. 07/06/2021, n. 15760), nell’escludere l’applicazione retroattiva della novella in questione, ha già avuto modo di chiarire che:
non sono in questione i principi sulla retroattività, atteso che la giurisprudenza che afferma l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione (da ultimo, ex plurimis, Cass., 26/02/2019, n. 5566) si fonda piuttosto sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, dalla quale soltanto
(e non dalla retroattività) consegue la loro applicazione con riferimento al momento dell’accertamento;
neppure è in questione il principio del favor rei , la cui applicazione è predicabile unicamente rispetto a norme sanzionatorie, non invece in materia di poteri di accertamento o di formazione della prova, rilevanti in materia di redditometro;
comunque, l’individuazione della norma applicabile è questione di diritto intertemporale ed a fronte alle esplicite previsioni di diritto transitorio, già richiamate, che inequivocabilmente identificano la norma applicabile ratione temporis, è recessivo anche il principio tempus regit actum , altrimenti applicabile alle norme che dovessero qualificarsi come procedimentali.
1.6. Pertanto, deve escludersi l’applicazione del “nuovo redditometro” (sia per quanto riguarda le modifiche dell’art. 38 d.p.r. n. 600 del 1973 apportate dal art. 22 d.l. n. 78 del 2010; sia per quanto attiene al d.m. 24 dicembre 2012, che ad esse ha dato attuazione).
1.7. Con specifico riguardo al computo degli incrementi patrimoniali realizzati dopo il 2008 in relazione ad accertamenti sintetici per gli anni di imposta anteriori al 2009, questa Corte ha affermato la legittimità della loro ‘spalmatura’ nel quinquennio precedente, secondo la previgente versione dell’art. 38, comma 5, DPR n. 600/1973, come conseguenza della applicazione della novella legislativa introdotta dal d.l. n. 78/2010 solo agli accertamenti relativi all’anno 2009 e successivi, rimanendone pertanto esclusi quelli antecedenti (Cass. 13/09/2022, n. 26916; Cass. 15/02/2022, n. 4818; Cass. 8/10/2021, n. 27433).
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., l’o messa pronuncia ex art. 112 c.p.c.
Deduce il ricorrente, relativamente al motivo di diritto precedente, che «qualora si ritenga che la sentenza impugnata abbia omesso, anche implicitamente, di pronunciarsi su di esso, risulta allora su
tale questione totalmente carente di considerazione in relazione alla relativa domanda/eccezione sottoposta dal Ricorrente all’esame della CTR, ed è quindi viziata ai sensi dell’art. 112 c.p.c. – in relazione all’art. 360, 1° c., n. 4), c.p.c. – secondo cui il giudice deve pronunciarsi su tutta la domanda».
Con il terzo e quarto strumento di impugnazione, il ricorrente denuncia, in relazione alla medesima censura di cui al primo motivo di ricorso, con riferimento all’art. 260, comma 1, n. 4 c.p.c., l’ omessa motivazione ex art. 132, n. 4), c.p.c.
Il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso sono inammissibili, in quanto proposti in via dubitativa e ipotetica, difettando dunque del requisito della specificità.
4.1. È opportuno precisare, comunque, che l’ eventuale fondatezza della censura che si assume pretermessa non gioverebbe al ricorrente, dovendo questa Corte pronunciarsi sulle questioni il cui esame è stato omesso dal Giudice di appello, alla luce del principio consolidato (v., tra le altre di recente, Cass. 16/06/2023 n. 17416) per cui «Nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto». Nel caso di specie, come si è argomentato in relazione al primo motivo, la censura sollevata è infondata.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la «Violazione dell’art. 2697, 2° c., cod. civ.».
5.1. Osserva il ricorrente che la CTR, relativamente agli acquisti immobiliari eseguiti dalla propria coniuge negli anni 2010 e 2011,
non ha fatto in ogni caso corretta applicazione della norma di legge relativa all’onere della prova richiesto al ricorrente al fine di superare la presunzione applicata dall’Ufficio al caso di specie: in particolare la CTR avrebbe statuito che la prova richiesta al Ricorrente doveva consistere anche nella dimostrazione del c.d. nesso eziologico tra le disponibilità finanziarie e il loro concreto utilizzo negli acquisti patrimoniali di cui trattasi, in contrasto con l’orientamento di legittimità secondo cui non è richiesta la prova del c.d. nesso eziologico tra le disponibilità finanziarie e il loro concreto utilizzo negli acquisti patrimoniali, ma solo la prova del possesso delle di sufficienti disponibilità economiche da parte del soggetto che ha provveduto al sostenimento delle spese.
5.2. Il motivo è infondato.
5.3. Va premesso che, in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2021, n. 27811). Il sistema del ‘redditometro’ collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione. L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del
2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le ‘spese per incrementi patrimoniali’, cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente.
5.4. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
5.5. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass.
20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335, da ultimo richiamate da Cass. 11/11/2024, n. 28904).
5.6. Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass.19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588).
5.7. Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il c ontribuente ‹‹sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo
possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 28/12/2022, n. 37985; Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).
6. La CTR della Toscana si è pienamente conformata ai richiamati principi, esaminando la documentazione prodotta dal contribuente e rilevando che la invocata consistenza del portafoglio titoli intestato alla sig.ra COGNOME era ancora tale al 31/12/2010, quando due degli incrementi patrimoniali contestati, invero i più consistenti, erano relativi ad acquisti precedenti. Quindi, ne hanno indotto i giudici territoriali, «la disponibilità di quei titoli al 31/12 del 2010, conferma il mancato smobilizzo di quelle sostanze al fine dell’acquisto immobiliare», concludendo che «Pertanto, quell’estratto conto sul quale il Collegio a quo sembra aver fondato il proprio convincimento, prova l’esatto contrario rispetto a quanto ritenuto dai Giudici apuani». Ha ancora precisato la CTR che «nonostante la presenza di un portafoglio titoli in capo alla moglie del COGNOME, dette somme non erano state smobilizzate e quindi non erano idonee a giustificare la presenza di quel patrimonio come accertato» e, ancora, che «costituisce ulteriormente un indizio grave preciso e concordante la circostanza, mai revocata in dubbio dal contribuente, che il COGNOME fosse, nell’ambito del nucleo familiare, l’unico titolare di reddito, a differenza della moglie che non ha mai dichiarato il possesso di alcuna fonte reddituale».
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/01/2025.