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Redditometro: beni aziendali e onere della prova

La Corte di Cassazione ha chiarito la ripartizione dell’onere della prova nell’ambito dell’accertamento sintetico tramite redditometro. Se un socio utilizza beni intestati alla propria società, spetta a lui dimostrare che tali beni sono strumentali all’attività d’impresa per evitare che il loro costo di mantenimento venga imputato al suo reddito personale. La sentenza impugnata è stata cassata perché aveva erroneamente addossato all’Agenzia delle Entrate l’onere di provare l’uso personale, invertendo i principi che regolano il redditometro.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Redditometro e Beni Aziendali: La Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova

L’utilizzo del redditometro per l’accertamento sintetico del reddito dei contribuenti è una questione complessa, specialmente quando entrano in gioco beni formalmente intestati a una società ma di fatto utilizzati dal socio. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta per fare chiarezza su un punto cruciale: la ripartizione dell’onere della prova. La decisione sottolinea che spetta al contribuente dimostrare la natura strumentale dei beni aziendali per evitare che questi concorrano a determinare il suo reddito presunto.

I Fatti del Caso: L’accertamento basato sul Redditometro

L’Agenzia delle Entrate aveva notificato a un contribuente un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2007, rideterminando sinteticamente il suo reddito da circa 2.000 euro a quasi 100.000 euro. L’accertamento si basava sulla disponibilità di alcuni beni indicativi di capacità contributiva, tra cui un’abitazione, un motociclo e un’imbarcazione. A questi, l’Ufficio aveva aggiunto i beni intestati a una S.r.l. di cui il contribuente era socio al 90% e rappresentante legale: un immobile, due automobili, un’altra imbarcazione e canoni di leasing.

Il contribuente aveva impugnato l’atto, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado. I giudici di merito avevano ritenuto che l’Amministrazione finanziaria non avesse fornito prova sufficiente che i beni della società fossero in realtà a disposizione personale del socio. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra le altre cose, una motivazione solo apparente da parte dei giudici di appello e un’errata applicazione delle norme sul redditometro e sull’onere della prova.

La Decisione della Corte e il funzionamento del Redditometro

La Corte di Cassazione ha accolto i motivi di ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza e rinviando la causa a un nuovo esame. Il cuore della decisione risiede nella corretta interpretazione dei principi che regolano l’accertamento sintetico.

L’errore della Commissione Tributaria Regionale

I giudici di legittimità hanno rilevato come la motivazione della sentenza d’appello fosse palesemente viziata. La corte territoriale aveva invertito l’onere della prova, affermando che spettasse all’amministrazione finanziaria dimostrare che i beni sociali non si riferissero alla società, ma al socio. Questo ragionamento è stato giudicato errato.

Secondo la normativa applicabile (D.M. 10 settembre 1992), i beni si considerano nella disponibilità della persona fisica che, a qualsiasi titolo o anche di fatto, li utilizza. Nel caso di specie, l’Ufficio aveva considerato sia i beni personali del contribuente sia quelli della società, utilizzati da lui. Il compito dei giudici di merito non era chiedere al Fisco la prova dell’uso personale, ma verificare se il contribuente avesse fornito la prova contraria.

La corretta ripartizione dell’onere della prova

La Cassazione ha ribadito che il redditometro introduce una presunzione legale relativa. Una volta che l’Ufficio dimostra l’effettiva disponibilità di determinati beni indicatori di capacità contributiva in capo al contribuente, scatta l’inversione dell’onere della prova. A questo punto, è il contribuente a dover dimostrare:
1. Che il maggior reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
2. Che le somme necessarie per mantenere tali beni derivano da redditi esenti, già tassati alla fonte o comunque non imponibili.

Nel caso specifico, per i beni aziendali, il contribuente avrebbe dovuto provare che questi erano “relativi esclusivamente all’attività di impresa”, ossia strumentali e inerenti a essa. I giudici di appello, invece, non hanno compiuto questa verifica, obliterando le argomentazioni del Fisco e basando la loro decisione su una motivazione illogica e insufficiente.

Le motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano sulla natura stessa della presunzione legale stabilita dall’art. 38 del d.P.R. 600/1973. Questo strumento non richiede all’amministrazione finanziaria di provare che il contribuente abbia effettivamente percepito un reddito non dichiarato, ma solo di dimostrare l’esistenza di fatti certi (la disponibilità dei beni) dai quali la legge fa discendere la presunzione di un reddito superiore. La sentenza di secondo grado è stata cassata perché ha disatteso questo schema logico-giuridico, esigendo dal Fisco una prova che non gli competeva e omettendo di valutare se il contribuente avesse superato la presunzione a suo carico. La Corte ha ritenuto la motivazione “apparente”, in quanto non permetteva di ricostruire l’iter logico seguito per giungere alla decisione di rigetto dell’appello dell’Ufficio, configurando così un vizio procedurale insanabile.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per i soci di società, in particolare quelle a ristretta base proprietaria. L’uso promiscuo o esclusivamente personale di beni aziendali (auto, immobili, imbarcazioni) espone il socio al rischio di un accertamento sintetico basato sul redditometro. La decisione chiarisce che non è sufficiente la mera intestazione formale del bene alla società per schermare il patrimonio personale. Sarà sempre onere del contribuente dimostrare, con prove concrete e documentali, che tali beni sono impiegati unicamente per l’attività d’impresa. In assenza di tale prova, il costo del loro mantenimento sarà legittimamente considerato un indice di maggiore capacità contributiva del socio, con le conseguenti rettifiche fiscali.

Quando i beni intestati a una società possono essere usati per l’accertamento sintetico (redditometro) del socio?
I beni intestati a una società possono essere considerati nella disponibilità del socio quando quest’ultimo, a qualsiasi titolo o anche solo di fatto, li utilizza o ne sopporta i costi. In tal caso, concorrono a formare la base per l’accertamento sintetico del suo reddito personale.

In un accertamento con redditometro, chi deve provare che i beni aziendali sono effettivamente strumentali all’attività?
L’onere della prova spetta al contribuente. Una volta che l’Agenzia delle Entrate dimostra la disponibilità del bene in capo al socio, è quest’ultimo che deve provare che il bene è utilizzato esclusivamente per l’attività d’impresa e non per scopi personali, per evitare che venga incluso nel calcolo del redditometro.

Cosa deve dimostrare il contribuente per superare la presunzione del redditometro?
Il contribuente deve fornire la prova contraria, dimostrando con documentazione idonea che il maggior reddito presunto non esiste o è inferiore, oppure che le spese per il mantenimento dei beni sono state sostenute con redditi esenti o già soggetti a imposta a titolo definitivo. Per i beni aziendali, deve provare la loro esclusiva strumentalità all’attività di impresa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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