Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16093 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16093 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 1182/2022, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME per procura speciale in calce al controricorso, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del medesimo (EMAIL
-controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE.n.c., NOME
-intimati – avverso la sentenza n. 385/2021 della regionale del Piemonte, depositata il 10 giugno 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio maggio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Commissione tributaria dell’8
Rilevato che:
L’Agenzia delle entrate notificò alla società RAGIONE_SOCIALE cinque avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta compresi fra il 2011 e il 2015, con i quali recuperava maggiore Irap, irrogando sanzioni.
Per i medesimi anni di imposta, identici avvisi furono notificati ai soci NOME COGNOME e NOME COGNOME per il recupero a tassazione del maggior reddito da partecipazione.
Gli atti impositivi facevano seguito ad un controllo di Polizia tributaria dal quale era emerso il coinvolgimento della società in condotte di truffa e appropriazione indebita, consistite nel rilascio di polizze contraffatte su moduli obsoleti della compagnia di assicurazioni preponente, dietro pagamento del premio da parte dei clienti.
Le somme percette furono, dunque, assoggettate ad imposta in conformità alla previsione di cui all ‘art. 14 , comma 4, della l. 24 dicembre 1993, n. 537, a mente del quale vanno acclusi al reddito imponibile i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo, se non già sottoposti a confisca penale.
Nei confronti dei soci, poi, venne recuperato a tassazione anche il maggior reddito corrispondente all’ammontare dei prelevamenti e versamenti non giustificati, emersi a seguito delle indagini bancarie disposte dalla Procura della Repubblica a carico della società.
NOME COGNOME propose distinte impugnazioni degli avvisi (inerenti tanto alla società quanto a se stesso) innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Cuneo.
Quest’ultima, disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società e del RAGIONE_SOCIALE (non costituitisi) e riuniti i ricorsi, accolse l’impugnazione del contribuente annullando gli avvisi «limitatamente alla parte concernente le richieste nei suoi confronti».
Detta sentenza fu oggetto di appello principale dell’Amministrazione e di appello incidentale condizionato del contribuente, entrambi respinti dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte con la sentenza in epigrafe.
I giudici regionali, per quanto in questa sede ancora di interesse, osservarono anzitutto che agli avvisi notificati al Molinengo non erano allegati i p.v.c. precedentemente formati dalla Guardia di Finanza, né tali ultimi risultavano riportati in maniera esaustiva nella motivazione degli atti impositivi.
Nel merito, poi, rilevarono che dall’istruttoria compiuta nel corso del giudizio penale era emerso come le condotte truffaldine fossero esclusivamente ascrivibili al RAGIONE_SOCIALE, dal quale il ricorrente era stato indotto ad investire ingenti somme e a sottoscrivere l’apertura di un conto corrente a sua insaputa, non emergendo, per il resto, che i proventi delle condotte illecite fossero stati captati dalla società; richiamarono, al riguardo, alcuni precedenti giurisprudenziali che, nel caso di truffa contestata alla società, consentivano di scindere le condotte dei singoli soci.
Ritennero pertanto, e conclusivamente, che l’assenza di colpevole responsabilità del COGNOME nelle condotte delittuose impedisse di ritenere operativo, nei suoi confronti, il disposto dell’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) per i redditi da partecipazione.
L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria. NOME COGNOME ha depositato controricorso.
Inizialmente chiamata all’adunanza camerale del 15 novembre 2023, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in seguito alla dichiarazione di astensione di un componente del Collegio.
Considerato che:
Con il primo motivo l ‘Agenzi a ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. 27 luglio 2000, n. 212 , e dell’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
La censura ha ad oggetto la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto che la mancata allegazione (o riproduzione) dei p.v.c. agli avvisi di accertamento notificati al socio determinasse l’invalidità di questi ultimi per insufficiente motivazione.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione dell’art. 2291 cod. civ., dell’art. 5 TUIR e dell’art. 40 del d.P.R. n. 600 del 1973.
La sentenza impugnata è sottoposta a critica nella parte in cui ha ritenuto insussistente il credito tributario per effetto dell’estraneità del Molinengo alle condotte delittuose, accertata con la sentenza penale di primo grado.
L’Agenzia ricorrente osserva anzitutto che la responsabilità solidale per i debiti sociali investe tutti i soci e che, in questo senso, la conferma degli atti impositivi nei confronti del sodalizio avrebbe dovuto comportare il carico solidale del relativo debito anche al Molinengo, a nulla rilevando -se non nei rapporti interni, ininfluenti ai fini che qui occupano -il fatto che le condotte illecite fossero ascrivibili unicamente all’altro socio.
Rileva poi che l’accertamento di utili occulti a carico della società comporta, ai sensi dell’invocato art. 5 TUIR, l’imputazione pro quota
dello stesso a reddito del socio, indipendentemente dalla relativa percezione, in base al principio di trasparenza.
Infine, con il terzo motivo, deducendo nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nonché, conseguentemente, dell’art. 14, comma 4, della l. 24 dicembre 1993, n. 537, l’Agenzia delle entrate assume che la C.T.R., nel ritenere indimostrat a l’imputazione alla società dei proventi illeciti, avrebbe travisato le emergenze istruttorie.
Al riguardo, richiama il dato pacifico secondo cui il ‘conto occulto’ sul quale erano transitate le somme dolosamente carpite ai clienti era intestato alla società e recava la firma di entrambi i soci; osserva, poi, che dal p.v.c. prodotto in giudizio emergeva chiaramente che le somme accreditate sul predetto conto venivano poi versate su quello rilevato in contabilità, mediante il rilascio di assegni che ne attingevano alla provvista.
Si duole, pertanto, del fatto che tali evidenze probatorie siano state trascurate dai giudici d’appello.
Il primo motivo è fondato.
4.1. Com’è noto, sul tema della motivazione dell’atto impositivo questa Corte ha affermato che l’ obbligo dell’amministrazione finanziaria di allegare a un avviso di accertamento gli atti indicati nello stesso dev ‘ essere inteso in relazione alla finalità ‘ integrativa ‘ delle ragioni che ne hanno giustificata l’emanazione; detto obbligo, pertanto, riguarda i soli atti che non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso, con esclusione, peraltro, di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva (cfr. ex plurimis Cass. n. 20157/2021; Cass. n. 32957/2018; Cass. n. 5645/2014).
Quanto alla nozione di ‘parte essenziale’, è poi stato precisato che essa consiste nell’indicazione di quei dati che consentono al contribuente -anche nel successivo, eventuale sindacato giurisdizionale -di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (cfr. Cass. n. 3388/2019; Cass. n. 9323/2017; Cass. n. 9032/2013; Cass. n. 13110/2012).
In altri termini, l’atto impositivo deve recare la chiara indicazione dei suoi presupposti fattuali, ossia dei dati acquisiti in sede istruttoria che hanno costituito oggetto di valutazione ai fini della sua adozione -sulla base delle norme ritenute agli stessi applicabili -e individuare l’atto presupposto, oggetto di riferimento, dal quale tali elementi fattuali siano stati reperiti, ai fini di consentirne l’acquisizione in termini di maggiore specificità.
Del resto, questa Corte ha ulteriormente precisato che il requisito motivazionale dell’atto impositivo , ai sensi dell’art. 42, comma secondo, del d.P.R. n. 600 del 1973, esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione di fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando poi affidate al giudizio d’impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva.
4.2. La sentenza impugnata ha ritenuto, senza specificare altro, che gli avvisi in questione non richiamassero «in maniera esaustiva» i p.v.c. ad essi prodromici.
Il testo degli avvisi, riprodotto nel ricorso, evidenzia invece che, al di là del richiamo ai medesimi verbali come ‘parti integranti’ dell’accertamento, l’Ufficio riportò, con specifico riferimento alle
condotte partitamente contestate al contribuente, i risultati delle verifiche di polizia tributaria operate sui conti correnti riconducibili alla società (l’uno ‘occulto’, l’altro rilevato in contabilità) , donde emergevano la provenienza del denaro dall’incasso di polizze sottoscritte dai clienti, il versamento dello stesso sul ‘conto occulto’, il successivo prelievo di somme giustificato come ‘acconto provvigioni’ e il versamento delle stesse nel conto rilevato in contabilità.
I giudici d’appello non risultano essersi confrontati con tali indicazioni, alla luce delle quali doveva invece essere condotto il giudizio di verifica circa il rispetto del requisito motivazionale, secondo i richiamati indirizzi interpretativi; consegue il rilievo di fondatezza della censura.
Anche il secondo motivo è fondato.
5.1. Vertendosi in ipotesi di società di persone, alla presente vicenda va fatta applicazione del l’art. 5 TUIR, a mente del quale i redditi della società sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla relativa percezione e proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.
Si tratta, com’è noto, di disposizione espressiva del principio di trasparenza, che comporta l’imputazione diretta ai soci dei redditi prodotti dalle società senza necessità di alcuna delibera di distribuzione degli utili; da tale previsione discende, quindi, che l’eventuale accertamento di un maggiore reddito in capo alla società comporta il diretto trasferimento del rischio fiscale in capo ai soci, quale conseguenza logica e immediata della regola di ‘ immedesimazione ‘ fra la società a base personale e i singoli suoi componenti, in base alla quale non può configurarsi una soggettività distinta, separata o disgiunta della prima rispetto ai secondi (Corte Costituzionale, sentenza n. 201 del 2020).
5.2. L’operatività di tali regole non è esclusa dal fatto che il reddito realizzato dalla società sia conseguenza dell’attività illecita di uno o più soci.
La giurisprudenza di questa Corte, al riguardo, ha da tempo affermato che la circostanza non è rilevante ai fini dell’imputazione dell’incremento a tutti i soci (Cass. n. 13575/2007), poiché l’eventuale realizzazione di condotte illecite da parte di uno di essi non interrompe il rapporto organico, sempreché le condotte realizzate siano pertinenti all’oggetto sociale o rispondano a un interesse a quest’ultimo riconducibile, anche in via indiretta (Cass. n. 17731/2006).
Nell’affermare, testualmente, che l’estraneità del Molinengo alle condotte illecite esclude l’operatività dell’art. 5 TUIR, la sentenza impugnata si è discostata da tali principi; consegue, anche in questo caso, il rilievo di sussistenza del denunziato vizio.
6. Tale statuizione conduce a ritenere fondato anche il terzo motivo di ricorso.
È evidente, infatti, che -una volta accertata l’imputabilità alla società delle condotte donde ha tratto origine l’addebito tributario (circostanza sulla quale si è formato il giudicato) -la ripresa a tassazione dei redditi del socio per trasparenza costituisce operazione sulla quale non è consentito alcun sindacato diverso da quello volto ad accertare se le condotte illecite siano state o meno pertinenti all’oggetto sociale, ovvero rispondenti ad un interesse ad esso riconducibile.
Circoscrivendo le proprie valutazioni agli elementi che hanno designato l’esclusiva riferibilità al socio COGNOME delle condotte costituenti reato, la C.T.R. ha omesso di esaminare gli elementi di prova offerti al riguardo, con ciò fondando la propria decisione su circostanze fattuali non pertinenti rispetto all’oggetto dello scrutinio.
In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza d’appello cassata con rinvio al giudice a quo , affinchè, in diversa composizione, decida uniformandosi agli indicati principii e provveda, altresì, sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema