Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33967 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 33967 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
Oggetto: reddito di fonte illecita – confisca antecedente all’accertamento tributario
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 2128/2021 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma, INDIRIZZO (PEC: EMAIL);
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Lazio n. 1611/03/2020 depositata in data 11/06/2020 e non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
Uditi per l’Agenzia delle Entrate ricorrente l’avvocato dello Stato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e per COGNOME NOME l’avvocato NOME COGNOME in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME che ha concluso per rigetto dell’impugnazione
FATTI DI CAUSA
Cuccioletta NOME ricorreva avverso l’avviso di accertamento riferito ad IRPEF per l’anno 2013 con il quale l’Amministrazione finanziaria gli contestava l’avvenuta riscossione di proventi da reato, come accertato dal Tribunale penale di Venezia con sentenza resa ex art. 444 c.p.p. che condannava l’imputato, odierno controricorrente, alla pena di anni due di reclusione per il reato di cui all’art. 319 c.p. disponendo la confisca ai sensi per gli effetti di cui all’art. 322 ter c.p. dell’intero prezzo del reato pari a euro 750.000,00.
La CTP accoglieva il ricorso ritenendo che nel caso di specie l’avviso di accertamento era stato emesso in data 7 agosto 2017, anno in cui la sentenza di confisca dei beni oggetto del reato era già intervenuta (risalendo essa al 2014) e ciò non consentiva l’emissione dell’avviso d’accertamento per le medesime somme provenienti dall’illecito; appellava l’Agenzia delle entrate.
Con la sentenza impugnata di fronte a questa Corte il giudice regionale ha confermato la statuizione di primo grado avendo escluso dalla categoria di reddito i proventi profitti da fatti illeciti già sottoposti al provvedimento ablatorio poiché, seppur il provvedimento di confisca sia intervenuto successivamente al 2013, vale a dire nel 2014, secondo la sentenza di appello la ripresa a tassazione è stata disposta nel 2017 con l’atto qui impugnato ragion per cui stante l’intervenuta confisca in sede penale l’Agenzia delle entrate era decaduta dal potere impositivo.
Ricorre a questa Corte l’Amministrazione Finanziaria con due motivi di impugnazione; resiste con controricorso il contribuente. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE.
Il primo motivo di ricorso censura la sentenza di merito per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 L. n. 537 del 1993 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere erroneamente la CTR ritenuto che poiché nella somma confiscata è presente l’importo oggetto della ripresa erariale, avviso di accertamento qui impugnato doveva essere annullato non potendo essere altro richiesto al contribuente.
Il secondo motivo di ricorso si incentra sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 444 c.p.p. dell’art. 14 della L. n. 537 del 1992 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere erroneamente il giudice di appello ritenuto il provvedimento ablatorio della confisca disposta in sede penale opponibile al l’Ufficio Finanziario poiché la diversa opposta conclusione legittimerebbe il diritto al rimborso delle imposte eventualmente versate dal contribuente in forza del principio della capacità contributiva ricollegabile alla forza economica effettiva e non a quella solamente temporanea o fittizia.
I motivi possono trattarsi congiuntamente in quanto costituiscono nei fatti diversa articolazione di una medesima censura; gli stessi sono infondati ancorché vada corretta l’affermazione della CTR -imprecisa sul punto – secondo la quale l’Amministrazione finanziaria risulterebbe decaduta dal potere impositivo.
In fatto, deve sottolinearsi che è circostanza pacifica e incontroversa che nella fattispecie abbia avuto luogo cronologicamente prima la confisca disposta dall’Autorità giudiziaria -operata dal GIP presso il Tribunale di Venezia in data 16 ottobre 2014 -e in seguito la sottoposizione a imposizione del reddito illecito (lo stesso reddito, meglio da denominarsi reddito da fonte illecita) da parte dell’Ufficio -con la notifica dell’avviso
di accertamento per il periodo d’imposta 2013, notifica perfezionatasi nel 2017.
Va quindi esaminata la situazione in cui il contribuente dapprima subisce la confisca -a seguito del precedente sequestro -del reddito di fonte illecita, e quindi viene colpito dall’avviso di accertamento che richiede i tributi su detto medesimo reddito del quale a seguito della confisca è già stato spossessato.
Questa Corte, esaminando il profilo specifico dei rapporti tra confisca e imposizione, proprio in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla tassazione dei proventi derivanti da attività illecite, ai sensi dell’art. 14, comma quarto, della L. 24 dicembre 1993, n. 537 (che costituisce sul punto disposizione di interpretazione autentica della normativa contenuta del d.P.R. n. 917 del 1986, c.d. testo unico imposte sui redditi o TUIR), aveva ritenuto che affinché operi la causa di esclusione dell’imponibilità costituita dalla circostanza che i detti proventi risultino “già sottoposti a sequestro o confisca penale”, occorre che il provvedimento ablatorio sia intervenuto entro lo stesso periodo d’imposta nel quale il provento sia maturato.
Tale conseguenza interpretativa, che non si evince invero expressis verbis dal disposto letterale dell’art. 14 sopra citato, nel quale non ve ne è indicazione alcuna, può derivarsi dall’impiego da parte del Legislatore del termine ‘già’.
Esso suggerisce la stretta contiguità temporale (secondo la quale gli eventi devono collocarsi nel medesimo periodo d’imposta, quindi venire ad esistenza nello stesso anno) tra avviso di accertamento e confisca, ed è stata indotta dal principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. onde evitare ingiustificate disparità di trattamento tra i percettori di proventi illeciti ed i possessori di redditi leciti, per i quali – secondo i principi generali del sistema tributario – i redditi medesimi sono esclusi da imposizione solo se perduti nello stesso periodo d’imposta nel quale risultano prodotti (Cass. 13 maggio 2003, n. 7337).
La locuzione avverbiale “già”, impiegata dal Legislatore, secondo questa Corte indica quindi ‘l’elemento indefettibile del collegamento causale
richiesto tra fatti fiscalmente rilevanti, cronologicamente consecutivi, tale che, nell’unitario periodo fiscale (l’anno d’imposta), al fatto successivamente verificatosi (eliminazione di ricchezza) possa attribuirsi l’effetto di elidere il fatto anteriore (produzione di ricchezza)’ (così Cass. n. 25467/2013).
L’affermazione in argomento, che il Collegio condivide, consente peraltro di dare corretta soluzione ai soli casi in cui espressamente emerge che il provvedimento di confisca è intervenuto nei confronti della contribuente in epoca successiva all’emissione dell’avviso di accertamento, vale a dire al di fuori dello stesso anno e quindi -almeno -dall’anno successivo in poi, così che certamente non rileva ai fini della non tassabilità del reddito accertato con il provvedimento qui impugnato.
In tali casi, il reddito di fonte illecita prodotto dal contribuente con la sua attività contra legem a pieno titolo va allora computato nel reddito imponibile relativo a quell’anno, dovendosi ritenere alla scadenza di detto esercizio entrato nella disponibilità definitiva del contribuente senza che su questa conclusione potessero in alcun modo interferire i successivi provvedimenti di confisca adottati dal giudice penale. Di qui, stante l’effettivo possesso del reddito, la realizzazione del presupposto dell’imposizione personale.
Si è così formato un consistente filone giurisprudenziale, citato abbondantemente e puntualmente nel ricorso (con la sola eccezione della pronuncia resa da Cass. n. 7411/209 che è inconferente alla fattispecie), secondo la quale poiché l’obbligazione tributaria rileva autonomamente per ciascun periodo d’imposta il venir meno del reddito contestato -e non dichiarato, pacificamente, data la natura illecita della fonte di produzione dello stesso -in periodi d’imposta successivi, risulta irrilevante poiché l’obbligazione tributaria si è già perfezionata.
Per vero, come già accennato, le pronunce che costituiscono tal trend fanno riferimento ad una situazione di fatto diversa da quella in atti.
In altre parole, nei casi riportati in ricorso l’attività di accertamento tributaria, ostensiva della pretesa formalizzata con l’avviso di
accertamento, viene a esistenza prima della confisca penale: in primo luogo viene prodotto il reddito da fonte illecita; quindi, lo stesso viene in secondo luogo accertato dall’Ufficio e ancora in seguito, in terzo luogo, lo stesso viene sottratto per ablazione confiscatoria al contribuente ad opera del giudice penale che glielo sottrae.
Questa è la situazione illustrata da Cass. 28375/2019 nella quale non si riassume con analiticità il fatto -sotto il profilo qui di interesse – ma si segnala, centrando immediatamente la conclusione che dalla presente analisi deriva, che ‘si pone solo una questione di diritto al rimborso dell’imposta versata divenuta indebita (Cass. 20/12/2013, n. 28519)’ .
Tale affermazione evidenzia come il problema si pone ove il reddito sia accertato, quindi sottratto per ablazione confiscatoria al contribuente: tale spossessamento -legittimo, effettivo e inevitabile conseguenza del reato -fa venir meno, dal punto di vista tributario, la debenza del tributo perché elimina sia pure ex post il presupposto dell’imposizione, vale a dire il possesso del reddito (art. 1 TUIR) e legittima in alternativa il rimborso dell’imposta versata o -necessariamente l’annullamento dell’avviso di accertamento se ancora sub iudice .
Analogamente, Cass. 28519/2013 riferisce che ‘il 21 settembre 2000, il contenzioso tributario con la società era chiuso con verbale di conciliazione e definizione delle tre annualità accertate, con avvisi appunto per gli anni dal 1992 al 1996 e rettifica per gli anni da 1994 al 1996 (per illecita sovrafatturazione)’ mentre poi ‘il successivo 12 luglio 2002 veniva a definirsi ai sensi dell’art.444 cod. proc. pen. il relativo procedimento penale, per la cui sentenza (di patteggiamento) vi era stato assenso del P.M. subordinato al risarcimento…’; nel prosieguo, da tale situazione si desume che ‘ la circostanza, quale vicenda ablativa successiva all’imposizione, fu con chiarezza e nella sua materialità in sentenza elevata a prova della mancanza di disponibilità, in capo alla società, dei proventi stessi e fu perciò, inscindibilmente, collegata ad un diritto alla restituzione …’. In tale situazione di fatto, la Corte puntualizza come ‘…risulta tuttavia acclarata un’ipotesi di successiva ablazione dei proventi, tale dovendosi intendere il risultato sostanziale (alla stregua
di causa concreta) conseguito dal complesso meccanismo restitutorio. ..’ (in quel caso, nel contesto applicativo della pena ex art. 444 c.p.p. il provento del delitto di truffa era stato restituito dal contribuente alla persona offesa). Alla luce di ciò si fa riferimento al ‘fondamento di un giustificabile diritto al rimborso, conseguenza sostanziale cui comunque si perviene per ogni vicenda di spossessamento dei proventi illeciti. A sua volta, la disposizione asseritamente violata (n.d.r. l’art. 14 co.4 della L. n.537 del 1993) si limita a disciplinare l’ablazione del provento illecito subita al più entro la fine del periodo d’imposta, così operando sequestro o confisca penale quale causa di non imponibilità originaria, ma non estende la sua disciplina altresì ad eventi posteriori al realizzarsi dell’imponibilità, cioè successivi al sorgere dell’obbligo di dichiarazione e versamento, per i quali comunque si pone una questione di diritto al rimborso o restituzione dell’imposta divenuta indebita ‘ .
Ulteriormente, Cass. n. 25467/2013, sia pure senza indicare le date dei singoli passaggi processuali analiticamente in motivazione, riferisce con adeguata chiarezza che ‘la Commissione tributaria della regione Piemonte con sentenza 15.11.2010 n. 80 ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE e confermato la sentenza di prime cure che aveva dichiarato legittimo l’avviso di accertamento..’ e che ‘..i Giudici di secondo grado rilevavano che l’amministratore della società era stato condannato con sentenza penale del 16.6.2009’, con ciò evidenziando anche in questo caso come dapprima l’Amministrazione Finanziaria abbia agito con l’avviso di accertamento, e come solo in seguito l’Autorità giudiziaria abbia disposto la confisca.
Tutti i casi sopra riportati differiscono quindi radicalmente, nella fattispecie concreta, da quello per cui è processo: qui è pacifico -come si evince dalla sentenza impugnata, non smentita da alcuna censura -che ‘… il tribunale penale di Venezia ha adottato ex art. 444 c.p.p. i provvedimenti consequenziali, definendo la misura dell’illecito in euro 750.000,00 per i reati contestati nell’arco temporale fra il 2008 e il 2013, interamente confiscato dal GIP in data 16/10/2014 ex art. 322 ter c.p.’; e ancora ‘nel provvedimento ablatorio era dunque ricompreso l’importo
di euro 141.035 imputato all’annualità 2013 effettivamente alla quale l’avviso di accertamento è stato emesso nel 2017 successivamente alla sentenza pronunciata dal GIP’.
E venendo allora alle conclusioni che derivano dalla ricostruzione del sistema normativo prima e dai precedenti giurisprudenziali, deve rilevarsi in primo luogo che da tempo la questione che ci occupa, così chiarita e perimetrata, è stata oggetto a suo tempo dell’attenzione proprio dell’Amministrazione Finanziaria secondo la quale ‘potrà sempre essere eccepita, in sede di accertamento, l’eventuale avvenuta perdita del provento per confisca o restituzione e risarcimento con onere della prova a carico del contribuente’ (Circ. n. 150 del 1994, parte 1, punto 1).
L’affermazione ridetta è perfettamente aderente al dato normativo e si attaglia puntualmente al fatto, costituendo chiara indicazione della soluzione del caso per chi è processo.
Infatti, con riguardo al dato normativo va confermato che l’obiettivo della legge n. 537 del 1993 all’art. 14 non consiste nel sostituirsi, mediante la tassazione, alle misure ablative che consentono di recuperare in favore dello Stato i proventi dell’attività illecita, come dimostra proprio il fatto che lo stesso comma 4 del ridetto art. 14 fa salva l’ipotesi in cui il provento illecito abbia formato oggetto di sequestro o confisca (letteralmente dispone: ‘…d
.
Semmai, una volta acquisito all’ordinamento il principio che i proventi illeciti sono tassabili e una volta definitivamente superata, attraverso l’intervento legislativo del 1993, l’idea che i proventi di fonte illecita non possano essere mai definiti redditi, l’obiettivo dell’art. 14, comma 4 surrichiamato consiste nell’evitare che, ove sequestro e confisca non abbiano possibilità di operare per le più diverse ragioni (ben avendo il legislatore presenti le difficoltà concrete nell’individuare, localizzare e sottoporre a sequestro il provento in oggetto), si realizzi la paradossale
situazione per cui redditi normalmente assoggettati a imposizione, in quanto provenienti da attività espressive di capacità contributiva, ne vadano esenti perché quelle stesse attività sono state connotate da illiceità, in palese violazione del principio di eguaglianza rispetto alla medesima capacità contributiva.
Ne discende che, ove il reddito derivi da un’attività soggetta a una qualche forma di tassazione, l’illiceità che eventualmente la caratterizzi nella fonte, mentre non impedirà di applicare quella tassazione, non ne aggiungerà di nuove, né modificherà l’imposta applicabile, proprio perché lo scopo della norma in esame non è sanzionatorio, ma quello di evitare il crearsi di indebite aree di immunità dal prelievo tributario (in tali esatti termini, Cass. 19336/2020 punti da n. 56 in poi).
Tale conclusione non è minimamente scalfita dalla parallela conclusione che mantiene fermo il principio -altrettanto indiscutibile prima sul piano logico che sul piano giuridico, tanto da risultare speculare a quanto appena affermato – secondo il quale ‘ove il provento sia sequestrato o fatto oggetto di confisca penale, la sua tassazione non ha luogo’ (Cass. n. 27324/2016).
Altrimenti detto, non è giuridicamente possibile che il possesso di reddito da fonte illecita che non sia sottoposto a imposizione, ma non può darsi sottoposizione ad imposizione senza possesso del reddito da fonte illecita.
Nella fattispecie per cui è processo, l’atto ablatorio della confisca -effettivamente eseguita in forza dell’esito positivo del sequestro della somma di cui si è detto – precede cronologicamente e temporalmente l’attività di accertamento che richiede l’imposta; ne deriva che l’imposta non è dovuta perché all’atto della sua richiesta da parte dell’Ufficio è venuto meno il presupposto del reddito sul quale tale imposta viene determinata, consistente nel possesso della novella ricchezza che nella fattispecie è entrata certamente nel patrimonio del contribuente, ma non vi è rimasta perché sottrattagli dall’ablazione confiscatoria.
E se tale ablazione legittima il rimborso dell’imposta che si fosse pagata prima della confisca (come correttamente segnala ammettere questa
Corte la sentenza impugnata, che richiama in motivazione Cass. n. 869/2010 e Cass. n. 7337/2003), parimenti -e a maggior ragione -legittima la paralizzazione della pretesa tributaria sulla stessa se intervenuta dopo la confisca.
Sul punto, la Corte ritiene opportuno, in conclusione, enunciare il seguente principio di diritto: ‘ l ‘ art. 14, comma 4, della L. n. 537 del 1993, nella formulazione in vigore ratione temporis , ha la funzione di evitare che, ove sequestro e confisca non abbiano possibilità di operare per le più diverse ragioni, si realizzi la situazione -non voluta dall’ordinamento – per cui redditi normalmente assoggettati a tassazione, in quanto provenienti da attività espressive di capacità contributiva, ne vadano esenti perché quelle stesse attività sono state connotate da illiceità, in palese violazione del principio di eguaglianza rispetto alla medesima capacità contributiva ex art. 53 Cost. Ne deriva che quando invece la confisca viene effettivamente disposta dall’Autorità giudiziaria e concretamente realizzata, con spossessamento del contribuente il quale viene a essere così inciso nella propria effettiva forza economica o dall’atto ablatorio della confisca disposta dal giudice penale o dalla materiale restituzione -necessitata anch’essa dagli esiti del processo penale – del provento di fonte illecita che ha generato il reddito in argomento, viene meno il presupposto dell’imposizione personale in capo al contribuente, nei confronti del quale difetta la relazione diretta con la novella ricchezza che legittima il prelievo tributario ‘ .
Pertanto, l’avviso di accertamento notificato successivamente al provvedimento di confisca o alla restituzione del reddito di fonte illecita, effettivamente eseguiti, va dichiarato illegittimo in quanto la pretesa con esso azionata si fonda su un presupposto -il possesso di reddito ex art. 1 TUIR, ancorché di reddito di fonte illecita -nei fatti inesistente.
In conclusione, il ricorso va rigettato; le spese sono regolate dalla soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di parte controricorrente che liquida in euro 5.800,00 cui aggiungersi euro 200 per esborsi, 15% per spese generali oltre a CPA e IVA come per legge.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2024.