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Reddito d’impresa agricolo: quando non è connesso

Una società agricola riceveva ingenti proventi da un accordo con una società energetica, legati ai ‘certificati verdi’. La Corte di Cassazione ha stabilito che, nonostante l’apparenza, non si trattava di reddito agrario connesso, ma di vero e proprio reddito d’impresa agricolo di natura commerciale. La sentenza chiarisce che quando l’attività agricola è meramente strumentale a un’operazione commerciale più ampia e i ricavi sono sproporzionati, il reddito va tassato secondo le regole ordinarie d’impresa.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Reddito d’impresa agricolo: quando l’attività connessa diventa commerciale

La distinzione tra reddito agrario e reddito d’impresa è una delle questioni più delicate del diritto tributario, con importanti conseguenze fiscali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha tracciato una linea netta, chiarendo quando un’attività, pur svolta da un’azienda agricola, perde la sua natura ‘connessa’ per diventare pienamente commerciale. Questo caso, che riguarda un accordo tra una società agricola e una società energetica per l’utilizzo di calore di scarto in cambio di una quota dei ‘certificati verdi’, offre spunti fondamentali per comprendere il concetto di reddito d’impresa agricolo e i limiti del regime fiscale agevolato.

I Fatti del Caso

Una società agricola a responsabilità limitata, specializzata nella floricoltura in serra, aveva stipulato un complesso accordo con una grande società energetica. L’accordo prevedeva che l’azienda agricola utilizzasse l’energia termica di scarto prodotta dalla vicina centrale termoelettrica per riscaldare le proprie serre.

Questo utilizzo consentiva alla centrale di qualificarsi come ‘impianto di cogenerazione ad alta efficienza’, ottenendo così i cosiddetti ‘certificati verdi’, incentivi statali per la produzione di energia pulita. In cambio di questo ‘servizio’, l’azienda agricola riceveva una quota significativa del valore economico di tali certificati. I proventi derivanti da questo accordo erano enormemente superiori ai ricavi della vendita di fiori e piante. L’Agenzia delle Entrate ha contestato la natura di questi proventi, ritenendoli reddito d’impresa e non reddito agrario, emettendo avvisi di accertamento per maggiori IRES, IVA e IRAP.

La Decisione della Cassazione: un reddito d’impresa agricolo solo di facciata

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha ribaltato la decisione dei giudici di merito. La Suprema Corte ha stabilito che i proventi derivanti dalla cessione dei ‘certificati verdi’ non possono essere qualificati come reddito agrario derivante da attività connesse, ma devono essere tassati come reddito d’impresa.

Secondo i giudici, l’attività agricola di floricoltura era diventata meramente servente e strumentale a un’operazione di carattere puramente industriale e commerciale. L’obiettivo principale non era più la coltivazione, ma la partecipazione a un complesso schema che permetteva alla società energetica di ottenere benefici economici, con una conseguente remunerazione per l’azienda agricola. Di conseguenza, il regime fiscale applicabile è quello ordinario per le società commerciali, e non quello forfettario previsto per le attività agricole connesse.

Le Motivazioni: perché si tratta di reddito d’impresa e non agrario?

La Corte ha basato la sua decisione su alcuni punti cardine. In primo luogo, ha analizzato la natura del rapporto tra le parti, qualificandolo come un contratto sinallagmatico, ovvero a prestazioni corrispettive. L’azienda agricola non si limitava a ricevere un ‘contributo’, ma forniva un servizio essenziale alla società energetica, permettendole di accedere agli incentivi. Questo servizio consisteva nell’impegno a ritirare e utilizzare l’energia termica.

In secondo luogo, è stato evidenziato che l’attività non rientrava nella nozione di ‘attività agricola per connessione’ delineata dall’art. 2135 del codice civile. Tale norma richiede che le attività connesse siano esercitate ‘dal medesimo imprenditore agricolo’ utilizzando prevalentemente attrezzature e risorse dell’azienda agricola principale. In questo caso, l’operazione aveva assunto una dimensione, un’organizzazione e una logica prettamente commerciale, che andavano ben oltre la normale attività agricola. Il confronto tra i ricavi, dove quelli derivanti dall’accordo con la società energetica superavano di gran lunga quelli agricoli, ha confermato questa sproporzione e la natura strumentale della coltivazione.

Le Conclusioni: implicazioni per le aziende agricole

Questa sentenza rappresenta un importante monito per gli imprenditori agricoli che intraprendono attività collaterali. La qualifica di ‘attività connessa’ non è automatica e dipende da un’analisi sostanziale del rapporto tra l’attività agricola principale e quella accessoria. Quando l’attività secondaria assume un carattere predominante, sia in termini economici che organizzativi, e l’attività agricola diventa un mero pretesto per realizzare un’operazione commerciale, il rischio di vedersi riqualificare il reddito come reddito d’impresa agricolo di natura commerciale è molto alto. Le aziende devono quindi valutare attentamente la struttura dei loro accordi, assicurandosi che l’attività agricola mantenga sempre il suo ruolo centrale e prevalente per poter beneficiare del relativo regime fiscale agevolato.

Quando l’attività di una società agricola viene tassata come reddito d’impresa?
Quando l’attività agricola assume una posizione ‘servente e strumentale’ rispetto a un’operazione di carattere industriale e commerciale prevalente. Se i ricavi dell’attività secondaria superano di gran lunga quelli dell’attività agricola principale, il reddito viene considerato d’impresa.

Cosa differenzia un’attività agricola ‘per connessione’ da una commerciale?
Un’attività agricola ‘per connessione’ deve essere esercitata dallo stesso imprenditore agricolo e utilizzare prevalentemente risorse e attrezzature dell’azienda agricola. Non deve assumere, per dimensione e organizzazione, i connotati di un’attività principale, altrimenti diventa commerciale.

Perché i proventi legati ai ‘certificati verdi’ sono stati considerati corrispettivo di un servizio e non un contributo?
Perché derivavano da un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive. L’azienda agricola si impegnava a ritirare l’energia termica di scarto, fornendo un servizio essenziale che permetteva alla società energetica di ottenere i benefici. I proventi erano quindi il compenso per questa prestazione, non un contributo a fondo perduto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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