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Reddito d’impresa: abitualità batte organizzazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13893/2024, ha stabilito che un’attività di intermediazione, se svolta con abitualità, genera reddito d’impresa ai fini fiscali, anche in assenza di una vera e propria organizzazione aziendale. Il caso riguardava una contribuente che operava come procacciatrice d’affari e che sosteneva di non dover essere tassata come impresa per la mancanza del requisito organizzativo. La Corte ha chiarito che, per le attività commerciali specificate nell’art. 2195 c.c., la normativa fiscale richiede solo la professionalità e l’abitualità, a differenza di quella civilistica.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Reddito d’Impresa: Quando l’Abitualità è Decisiva ai Fini Fiscali

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia fiscale: la distinzione tra la nozione civilistica e quella tributaria di impresa. Per qualificare un’attività come fonte di reddito d’impresa, il fattore determinante può essere la sua abitualità, anche in assenza di una complessa organizzazione aziendale. Questa pronuncia chiarisce perché attività come quelle del procacciatore d’affari rientrano in questa categoria, con importanti conseguenze per IVA e imposte dirette.

I Fatti del Caso: un’Attività di Intermediazione Sotto la Lente del Fisco

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda una contribuente che aveva ricevuto un avviso di accertamento per imposte dirette e IVA relative all’anno 2008. L’Agenzia delle Entrate contestava la mancata dichiarazione dei proventi derivanti da un’attività di intermediazione, nello specifico la segnalazione di clienti per la realizzazione di centrali di cogenerazione e teleriscaldamento.

Secondo l’amministrazione finanziaria, tale attività era svolta con carattere di abitualità, come dimostrato dalla sua continuità dal 2005 al 2011 e dagli ingenti importi percepiti (quasi due milioni di euro in totale, di cui circa 500.000 nel solo 2008). La contribuente, al contrario, sosteneva che la sua attività non potesse essere classificata come impresa, in quanto priva del requisito dell’organizzazione, elemento che riteneva indispensabile.

La Commissione Tributaria Regionale aveva parzialmente accolto le ragioni della contribuente, ma solo per quanto riguarda l’IRAP, confermando però la natura abituale e professionale dell’attività, e quindi la sua rilevanza ai fini delle altre imposte.

La Decisione della Cassazione e il concetto di reddito d’impresa

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della contribuente, confermando la legittimità dell’accertamento fiscale. I giudici hanno esaminato congiuntamente i motivi del ricorso, tutti incentrati sulla corretta qualificazione del reddito percepito. Il punto centrale della controversia era se, per generare reddito d’impresa, fosse sufficiente l’esercizio abituale di un’attività commerciale o se fosse necessaria anche una struttura organizzativa complessa.

Le Motivazioni: la Differenza tra Nozione Civilistica e Fiscale d’Impresa

La Corte ha fondato la sua decisione sulla netta distinzione tra la definizione di imprenditore commerciale del Codice Civile e quella rilevante ai fini fiscali.

Ai sensi dell’art. 2082 del Codice Civile, è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. L’organizzazione è, quindi, un elemento costitutivo.

La normativa tributaria, tuttavia, segue una logica diversa e più ampia, dettata dall’esigenza di semplificare l’accertamento. L’art. 55 del TUIR stabilisce che sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio per professione abituale delle attività commerciali indicate nell’art. 2195 c.c., “anche se non organizzate in forma di impresa”. Tra queste attività rientrano quelle ausiliarie al commercio, come la mediazione e il procacciamento d’affari.

Di conseguenza, per la legge fiscale, se un’attività è inclusa nell’elenco dell’art. 2195 c.c., i due requisiti per qualificarla come fonte di reddito d’impresa sono:
1. La professionalità, intesa come esercizio non occasionale.
2. L’abitualità, ovvero la stabilità e la sistematicità nel tempo.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale avesse correttamente accertato l’abitualità dell’attività di procacciatrice d’affari svolta dalla contribuente. Essendo tale attività riconducibile a quelle previste dall’art. 2195 c.c., il requisito dell’organizzazione diventava irrilevante ai fini della qualificazione fiscale del reddito. La Corte ha quindi concluso che l’applicazione delle norme tributarie da parte dei giudici di merito era stata corretta.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Professionisti e Intermediari

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale per chiunque svolga attività di intermediazione, consulenza o altre prestazioni di servizi riconducibili alle categorie commerciali. La qualificazione fiscale dei proventi non dipende dalla struttura formale (ditta individuale, società, ecc.) o dalla presenza di un’organizzazione complessa, ma dalla natura e dalla regolarità dell’attività stessa.

Chi esercita in modo sistematico e non sporadico un’attività commerciale ausiliaria, come quella di procacciatore d’affari, agente o mediatore, produce reddito d’impresa. Ciò comporta l’obbligo di aprire una Partita IVA, tenere la contabilità, emettere fattura e assoggettare i compensi a IVA e alle imposte dirette secondo le regole previste per le imprese. Confondere la nozione civilistica con quella fiscale può portare a gravi omissioni dichiarative e a pesanti accertamenti da parte del Fisco.

Quando un’attività è considerata ‘reddito d’impresa’ ai fini fiscali?
Secondo la Corte, un’attività genera reddito d’impresa quando rientra tra quelle commerciali elencate nell’art. 2195 c.c. e viene esercitata per professione abituale. Per queste specifiche attività, la normativa fiscale non richiede il requisito dell’organizzazione in forma di impresa, a differenza di quanto previsto dal Codice Civile.

L’attività di procacciatore d’affari genera sempre reddito d’impresa?
Sì, se svolta con abitualità. L’ordinanza chiarisce che l’attività di procacciatore d’affari è un’impresa commerciale ausiliaria ai sensi dell’art. 2195 c.c. Pertanto, se esercitata in modo non occasionale, i relativi proventi costituiscono reddito d’impresa a prescindere dal livello di organizzazione.

È necessaria un’organizzazione aziendale per essere tassati come impresa?
No, non sempre. La sentenza specifica che per le attività commerciali elencate nell’art. 2195 c.c. (come l’intermediazione), la legge fiscale (art. 55 TUIR) richiede solo il requisito dell’abitualità. L’assenza di una struttura organizzata non esclude la qualificazione del reddito come reddito d’impresa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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