Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13893 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13893 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/05/2024
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 19191/2017 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME, giusta procura speciale in calce al ricorso;
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 115/38/2017, depositata il 20.01.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 novembre 2023 dal consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La CTP di Milano rigettava il ricorso proposto da COGNOME NOME avverso l’avviso di accertamento, per imposte dirette e IVA, in relazione
Oggetto:
Tributi
all’anno 2008, con il quale era stata ritenuta abituale l’attività di intermediazione svolta dalla predetta, sottraendola dalla disciplina di cui all’art. 67 TUIR, con conseguente obbligo di dichiarazione fiscale ;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla contribuente, annullando l’accertamento limitatamente all’IRAP, e rilevando, per quanto ancora qui interessa, che:
-l’attività di procacciamento (segnalazione di clienti per centrali di cogenerazione e teleriscaldamento) era stata svolta dalla contribuente con abitualità, in quanto era stata esercitata continuativamente dal 2005 al 2011, con la sola eccezione dell’anno 2007; gli importi dalla stessa percepiti in detto periodo ammontavano a complessivi euro 1.800.000,00, di cui euro 495.599,00 nel solo anno 2008, non potendosi configurare un’attività saltuaria;
-l’asserito carattere saltuario dell’attività era smentito dall’incarico conferitole con lettera del 10.01.2008 dalla RAGIONE_SOCIALE per la durata di anni due;
-si trattava, quindi, di ‘ attività professionale autonoma ‘ , contraddistinta da abitualità, e l’entità del reddito, desumibile dalle dichiarazioni dei sostituti d’imposta, escludeva, ai fini dell’applicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni, la buona fede della contribuente;
la contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
l ‘RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, la contribuente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., in relazione a ll’art. 360 , comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non essendosi la CTR pronunciata sull’eccezione secondo la quale l’attività svolta dalla contribuente non poteva essere ricondotta nell’ambito del reddito
d’impresa, limitandosi a statuire sul requisito dell’abitualità e sul fatto che la contribuente esercitasse un ‘attività professionale autonoma; – con il secondo motivo, lamenta l ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riproponendo sotto altro profilo la medesima censura mossa con il primo motivo; -con il terzo motivo, deduce l’erronea interpretazione e /o violazione e/o falsa applicazione degli artt. 6, 55, 53 e 67 del TUIR e 4 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non avendo la CTR considerato che presupposto per l’inserimento del reddito imponibile nella categoria del reddito di impresa è l’organizzazione in forma d’impresa, dovendosi escludere i redditi in cui sia prevalente l’apporto personale rispetto alla componente patrimoniale e organizzativa, anche perché l’attività di procacciatrice d’affari, quale era quella accertata nei confronti della contribuente, non rientrava fra quelle disciplinate dagli artt. 2135 e
2195 cod. civ.;
-i predetti motivi, che per connessione vanno esaminati unitariamente, sono infondati;
occorre premettere che, ai sensi dell’art. 55, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) “sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, RAGIONE_SOCIALE attività indicate nell’art. 2195 c.c. e RAGIONE_SOCIALE attività indicate alle lettere b e c del comma 2 dell’art. 32 che eccedono i limiti stabiliti, anche se non organizzate in forma di impresa” . L’art. 55, comma 2, poi, prevede che “sono, inoltre considerati redditi d’impresa: a) i redditi derivanti dall’esercizio di attività organizzate in forma di impresa dirette alla prestazione di servizi, che non rientrano nell’art. 2195 c.c.” ;
-per quanto riguarda la disciplina dell’IVA, l’art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 stabilisce, al primo comma, che “per esercizio di impresa s’intende l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, RAGIONE_SOCIALE attività commerciali o agricole di cui agli artt. 2135 e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma d’impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 del codice civile” ;
alla luce RAGIONE_SOCIALE richiamate disposizioni normativa, quindi, si evince che le attività di cui all’art. 2195 cod. civ. sono qualificate come manifestazioni dell’esercizio di impresa commerciale, indipendentemente dal fatto che siano organizzate in forma di impresa, in quanto l’esercizio di dette attività determina sempre la sussistenza di un ‘ impresa commerciale, ai fini del TUIR, indipendentemente dall’assetto organizzativo scelto per l’esercizio dell’attività, trattandosi di deroga alla previsione civilistica di cui agli artt. 2082 e 2195 cod. civ., per il quale le attività di cui all’art. 2195 cod. civ. integrano i presupposti dell ‘ impresa commerciale solo se sono organizzate;
la scelta del legislatore tributario è stata dettata dall’esigenza di semplificare l’attività di accertamento da parte dell’Amministrazione, che deve limitarsi a valutare l’esistenza dello svolgimento di una RAGIONE_SOCIALE attività di cui all’art. 2195 cod. civ., senza dover valutare le concrete modalità di esercizio dell’attività ai fini della sua qualificazione (Cass. n. 32590 del 12/12/2019);
di contro, è sempre necessario accertare la sussistenza del requisito della abitualità che va intesa come attività stabile nel tempo, con riguardo al periodo temporale rilevante ai fini dell’imposizione sui redditi, quindi al periodo di imposta;
– ciò posto, tra le imprese ausiliarie, di cui all’art. 2195 n. 4 cod. civ., che sono quelle che agevolano, direttamente o indirettamente, l’esercizio di altre attività d’impresa, svolgendo funzioni complementari, vanno ricomprese l’agente di commercio (Cass. n. 1516/1973), lo spedizioniere doganale (Cass. n. 5718/1979), il promotore finanziario (Cass. n. 18135/2002; Cass. n. 15285/2018), il mediatore (Cass. n. 443/1977), il procacciatore di affari (Cass. n. 13660/1999 e Cass. n. 32590/2019 cit.);
secondo questa Corte, quindi, la mediazione, in quanto attività economica professionalmente organizzata al fine dello scambio di beni o di servizi, costituisce un’impresa commerciale ausiliaria, diretta ad agevolare obbiettivamente l’attività industriale della produzione e la circolazione dei prodotti, indipendentemente da un normale e concreto collegamento con l’attività di singole imprese commerciali nel settore industriale o commerciale strictu sensu (Cass. 28 gennaio 1977, n. 443);
la CTR ha fatto corretta applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni normative sopra richiamate, accertando, sulla scorta RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni dei sostituti d’imposta, che la contribuente svolgeva con abitualità l’attività commerciale di procacciatore di affari ai sensi degli artt. 2195 cod. civ. e 55 TUIR, essendo irrilevante la sussistenza dell’ulteriore requisito dell’organizzazione, richiesto dall’art. 2082 cod. civ. ai soli fini civilistici;
in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del giudizio di legittimità, per il principio di soccombenza, vanno poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare in favore dell’RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 5.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 22 novembre 2023