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Reddito di partecipazione: la prova del socio vince

La Corte di Cassazione ha stabilito che un socio di Srl a ristretta base sociale può contestare l’accertamento sul proprio reddito di partecipazione, anche se l’avviso fiscale notificato alla società è divenuto definitivo. Il socio ha il diritto di fornire la prova contraria, dimostrando che i maggiori utili accertati in capo alla società non gli sono stati effettivamente distribuiti, ma, ad esempio, sono stati reinvestiti. In questo caso, la Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando che la presunzione di distribuzione degli utili può essere superata.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Reddito di partecipazione: il socio può contestare l’accertamento anche se quello alla società è definitivo

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale a tutela del contribuente: il socio di una Srl può sempre difendersi da un accertamento sul reddito di partecipazione, anche quando l’avviso di accertamento notificato alla società è diventato definitivo per mancata impugnazione. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante ordinanza.

Il caso: accertamento fiscale a cascata dalla società al socio

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un contribuente, socio al 6% di una Srl a ristretta base partecipativa. L’Amministrazione finanziaria contestava al socio un maggior reddito di partecipazione per l’anno 2009, derivante da un precedente accertamento effettuato nei confronti della società. Tale accertamento societario, non essendo stato impugnato dal legale rappresentante, era divenuto definitivo.

Il socio, che nel frattempo aveva ceduto la sua quota, ha impugnato l’avviso a lui notificato sostenendo di non aver mai ricevuto l’accertamento relativo alla società e contestando nel merito la pretesa fiscale. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno dato ragione al contribuente, annullando l’atto impositivo. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per Cassazione.

Le ragioni del Fisco e la presunzione di distribuzione degli utili

L’Agenzia delle Entrate basava il proprio ricorso su un punto cruciale: una volta che l’accertamento del maggior reddito in capo alla società diventa definitivo, questo dovrebbe essere un fatto incontrovertibile anche per il socio. Di conseguenza, secondo la tesi del Fisco, il socio non potrebbe più contestare l’esistenza di quel maggior reddito societario, ma solo dimostrare che gli utili non gli sono stati distribuiti. In sostanza, si applicherebbe la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili tipica delle società a ristretta base azionaria, lasciando al socio un margine di difesa molto limitato.

La decisione della Cassazione: la piena tutela del diritto di difesa del socio

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando le decisioni dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno chiarito che l’indipendenza dei procedimenti tributari (quello contro la società e quello contro il singolo socio) garantisce a quest’ultimo una piena facoltà di difesa.

L’accertamento divenuto definitivo nei confronti della società non ha efficacia di giudicato verso il socio che non ha partecipato a quel procedimento. Pertanto, il socio che impugna il proprio avviso di accertamento può contestare non solo la presunzione di distribuzione degli utili, ma anche la validità e il merito dell’accertamento presupposto, quello notificato alla società.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha sottolineato che il socio ha sempre il diritto di provare che il maggior reddito conseguito dalla società non sia stato distribuito. Nel caso di specie, il giudice di merito aveva accertato che il contribuente aveva fornito la prova che il presunto maggior reddito societario era stato in realtà reinvestito, e quindi non distribuito ai soci. Questa valutazione, adeguatamente motivata, non è stata specificamente contestata dall’Agenzia delle Entrate nel suo ricorso.

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: grava sul socio l’onere di dimostrare, anche tramite presunzioni, che i maggiori ricavi accertati alla società non siano stati effettivamente realizzati, oppure che siano stati accantonati o reinvestiti, o ancora che siano stati appropriati da un altro soggetto. Limitare la difesa del socio alla sola prova della mancata distribuzione, senza poter contestare l’esistenza stessa del maggior reddito societario, costituirebbe una violazione del diritto di difesa garantito dall’articolo 24 della Costituzione.

Conclusioni

Questa ordinanza è di grande importanza pratica per tutti i soci di Srl a ristretta base partecipativa. Essa conferma che, anche di fronte a un accertamento definitivo a carico della società, il socio non è disarmato. Può e deve difendersi nel merito, fornendo la prova contraria sia sull’esistenza del maggior reddito societario sia, soprattutto, sulla sua effettiva distribuzione. La presunzione del Fisco non è assoluta e può essere vinta da una difesa ben documentata, come dimostra la vicenda in esame.

Un socio di Srl può contestare un accertamento sul reddito di partecipazione se l’avviso fiscale alla società è definitivo?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il socio conserva la piena facoltà di contestare l’accertamento a lui notificato, potendo mettere in discussione sia la presunzione di distribuzione degli utili sia la validità dell’accertamento presupposto a carico della società.

Quale prova deve fornire il socio per annullare l’accertamento a suo carico?
Il socio deve dimostrare che i maggiori redditi accertati in capo alla società non gli sono stati distribuiti. Può farlo provando, ad esempio, che tali somme sono state reinvestite nell’attività aziendale, accantonate a riserva, o appropriate da un altro soggetto.

L’accertamento definitivo nei confronti della società vincola automaticamente il socio?
No. La decisione presa nel procedimento tributario contro la società non ha efficacia di giudicato nei confronti del socio che non ha partecipato a quel giudizio. I due procedimenti restano indipendenti e il socio ha diritto a una difesa piena e autonoma.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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