Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7664 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7664 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/03/2025
NOME
-intimato – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA, SEZIONE STACCATA DI SALERNO, n. 7416/2021, depositata il 19 ottobre 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Irpef -Iva -Irap -Accertamento -reddito agrario- attività connesse -indagini bancarie
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6463/2022 R.G. proposto da: l’Avvocatura
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa dal generale dello Stato,
-ricorrente – contro
Lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’ inammissibilità del ricorso.
Rilevato che:
L ‘Agenzia delle Entrate -dopo aver rilevato che NOME COGNOME, esercente l’attività di silvicoltura e di produzione e commercio di pallets di legno , per l’anno 2015 , aveva dichiarato un reddito agrario di euro 1.608,00 ed un reddito di impresa, di euro 7.050,00 ed un volume di affari di euro 1984.493,00 -emetteva nei suoi confronti avviso di accertamento con il quale rideterminava il solo reddito di impresa sulla scorta di quanto accertato con processo verbale di constatazione. Con detto ultimo l’Ufficio aveva riscontrato l’omessa registrazione di fatture, l’indebita deduzione di costi per carburante, con indebita deduzione Iva ed operazioni bancarie di addebito ed accredito risultate non giustificate. Tuttavia, nell’accertamento di un maggior reddito e di un maggior volume di affari in ragione di presunti ricavi in nero, teneva esclusivamente conto di quanto emerso dalle indagini bancarie, mentre considerava le fattur e non contabilizzate ai soli fini dell’Iva.
Nell’atto impositivo precisava, inoltre, che i ricavi in nero venivano imputati ad un maggior reddito di impresa (e non a quello agrario) in ragione della prevalenza dell’attività di commercio d pallets .
Il contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla C.t.p. di Salerno che accoglieva il ricorso limitatamente al recupero a tassazione delle somme risultanti dall’indagine bancaria, mentre lo rigettava in relazione all’Iva dovuta per le fatture eme sse ma non registrate.
L’Ufficio spiegava appello che veniva rigettato dalle C.t.r. con la sentenza di cui all’epigrafe .
4 . Avverso detta ultima ricorre l’Agenzi a delle entrate, mentre il contribuente non ha svolto attività difensiva.
5 . L’Agenzia delle entrate ha depositato istanza di rimessione in termini con riferimento alla notifica del ricorso regolarmente eseguita a mezzo pec in data 25 febbraio 2022.
Considerato che:
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546.
Censura il vizio di motivazione della sentenza di secondo grado sotto plurimi profili: A) laddove afferma di integrare la sentenza di p rimo grado, così supplendo all’ inesistente motivazione della stessa; B) laddove afferma di provvedere ad una più esaustiva motivazione della sentenza di primo grado, così contraddicendo l’affermazione sub A); C) laddove afferma che l’attività prevalente del contribuente era quella agricola, senza motivare l’assunto e sebbene quest’ultimo avesse dichiarato redditi di impresa notevolmente superiori a quelli agrari; D) laddove afferma, prima, che l’attività svolta era prevalentemente agricola perché inclusiva delle attività connesse, poi, che queste ultime avevano natura agricola perché connesse all’attività principale.
Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ, la violazione dell’art. 34 d.lgs. 22 dicembre 1986 n. 917 e dell’art. 2697 cod. civ.
Censura la sentenza per aver attratto alla tassazione come reddito agrario i ricavi derivante dal commercio di pallets , sebbene si trattasse di attività commerciale e trascurando che la stessa contribuente aveva dichiarato un reddito di impresa.
Con il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 32 d.lgs. 29 settembre 1973, n. 600.
Con una prima censura critica la sentenza per aver ritenuto che all’attività agricola non potessero essere applicate le norme fiscali dettate per le imprese commerciali con riferimento alle indagini bancarie. Con una seconda censura critica la sentenza per aver ritenuto che il contribuente avesse fornito adeguata prova della provenienza dei redditi di cui alle movimentazioni bancarie, ignorando che la prova deve essere fornita in modo analitico.
Con il quarto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ, la violazione degli artt. 324, 342 e 343 cod. proc. civ., dell’art. 54 d.lgs. n. 546 del 1992.
Censura la sentenza per aver affermato che non sussisteva la violazione derivante dall’omessa liquidazione del carico fiscale per l e fatture non registrate, pur trattandosi di questione coperta dal giudicato interno.
Va accolta l’istanza di rimessione in termini avanzata dall’Agenzia delle entrate.
5.1. Risulta documentato che in data 31 gennaio 2022, ultimo giorno utile per l’impugnazione tempestiva, la ricorrente tentava notifica via pec all’indirizzo del difensore del contribuente che non andava a buon fine per errore del sistema. Risulta, infatti, dal dettaglio dell’avviso di non accettazio ne, che la mail, nonostante l’indirizzo fosse corretto, non veniva inoltrata al destinatario a causa dell’erronea indicazione dell’indirizzo di altro destinatario (indirizzo interno della Avvocatura dello Stato).
Risulta, altresì, che la ricorrente, in data 22 febbraio 2022, riprendeva il procedimento notificatorio inoltrando pec regolarmente accettata e consegnata.
5.2. Questa Corte ha già chiarito che, qualora la notificazione di un atto processuale, da effettuare entro un termine perentorio, non si perfezioni per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha
l’onere -anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio -di chiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio; ai fini del rispetto del termine perentorio, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari, secondo la comune diligenza, per conoscere l’esito negativo della notificazione e assumere le informazioni del caso (Cass. 19/11/2014, n. 24641, Cass. 11/09/2013, n. 20830).
Alla luce dell’art. 153 secondo comma, cod. proc. civ. che ha introdotto, per i giudizi iniziati dal 4 luglio 2009 in poi, la generale facoltà per la parte, che dimostri di essere incorsa in decadenze per cause ad essa non imputabile, di chiedere al giudice di essere rimessa in termini, anche in riferimento ai termini perentori l’istanza di rimessione in termini riferita ad un termine per proporre impugnazione deve ritenersi ammissibile. Del resto, già prima del mutamento normativo, era maturato nella giurisprudenza di questa Corte il superamento della posizione volta ad escludere l’utilizzabilità dell’istituto della rimessione in termini in relazione alla facoltà di proporre impugnazioni, regolata da termini perentorio (cfr. Cass. Sez. U. 18/12/2018, n. 32725).
5.3. Nella fattispecie in esame, per un verso, il mancato inoltro della pec per l’errore commesso con riferimento ad altro indirizzo (per altro interno allo stesso Ufficio dell’Avvocatura) è da considerarsi non imputabile, per altro, verso, vi è stata la tempestiva riattivazione del procedimento notifcatorio.
Il primo ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.
6.1. Va preliminarmente ricostruito il quadro normativo con riferimento al regime impositivo per le «attività connesse» a quelle agricole.
6.1.1. L’art. 2135 cod. civ., come sostituito dall’art.1 d.lgs. 18 maggio 2001, n.228, dopo aver dato al primo comma, la definizione di imprenditore agricolo (colui che esercita l’attività di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse) ed aver precisato al secondo comma cosa deve intendersi per tali attività (attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine) al terzo comma, individua le attività connesse in quelle attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risolse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.
6.1.2. L’art. 32 (ex art. 35) comma 1, t.u.i.r., nella versione applicabile ratione termporis, stabilisce che «il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso».
Per completezza va rilevato che il comma 1, in virtù dell’art. 1, comma 1, d.lgs. 13 dicembre 2024, n. 192 è stato così sostituito: «il
reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati nell’esercizio delle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile.». E’ stato, perta nto, eliminato il riferimento alle potenzialità del terreno; detta modifica, tuttavia, non si applica alla fattispecie in esame.
Il successivo comma 2, rimasto invariato, precisa quali sono le attività agricole; tra queste ultime, alla lett. a) menziona espressamente la silvicoltura, mentre alla lett. c) prende in considerazione le attività connesse, includendovi le attività di cui all’art. 2135, terzo comma, cod. civ. dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze su proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali.
Il riferimento ratione temporis è, al d.m. 13 febbraio 2015 (di analogo tenore a quello precedente del 17 giugno 2011) il quale ha previsto che sono attività connesse quelle di manipolazione dei prodotti derivanti dalla silvicoltura di cui alle classi 02.10.0-02.20.0, comprendenti la segagione e la riduzione in tondelli, tavole, travi ed altri prodotti similari, compresi i sottoprodotti, i semilavorati e gli scarti di segagione delle piante.
6.1.3. Il regime fiscale delle attività connesse è completato dall’art. 56bis, comma 2, t.u.i.r. il quale, sempre con riferimento a queste ultime (ovvero dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione) ma di prodotti diversi da quelli indicati dall’art. 32, comma 2, lett. c) t.u.i.r., purché, ugualmente, ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o
del bosco o dall’allevamento di animali, stabilisce che il reddito è determinato applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, conseguiti con tali attività, il coefficiente di redditività del 15 per cento.
6.2. Così ricostruita la normativa rilevante nella fattispecie, va evidenziato che il legislatore fiscale, pur avendo mutuato dalla disciplina civilistica la qualificazione di imprenditore agricolo e la definizione di «attività connesse» all’attività agricola, ha tuttavia introdotto alcune specificità.
In primo luogo, nel comma 1, ha limitato la tassazione quale «reddito agrario» a quello ricavabile «nei limiti della potenzialità del terreno» (limite eliminato con l’ultima riforma, ma ancora applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame).
In secondo luogo, ha delimitato le attività connesse soggette al regime fiscale del reddito agrario con una più specifica articolazione in ragione del prodotto ottenuto dalle stesse. Infatti, stante il tenore letterale della disposizione di cui all’art. 32 , comma 2, lett. c) t.u.i.r., non tutte le attività agricole connesse secondo la disciplina civilistica rientrano sotto l’applicazione della disciplina più favorevole del reddito agrario, determinato su base catastale in ragione del successivo art. 34 t.u.i.r., ma solo quelle a cui conseguono i prodotti di volta in volta individuati con decreto ministeriale. Il legislatore ha riservato, pertanto, all’Amministrazione finanziaria il compito di individuare, con scadenza periodica e per la durata di vigenza del decreto ministeriale, i beni che possono essere oggetto di attività agricole connesse rientranti nel regime fiscale più favorevole
In terzo luogo, ha dettato il regime fiscale per le attività, ancorché connesse, ma relative a prodotti diversi da quelli individuati con i vari decreti ministeriali.
6.3. Ciò, posto, poiché per l’attività agricola il legislatore riserva alcuni regimi speciali agevolativi, va ribadito che le relative disposizioni sono di stretta interpretazione e possono essere applicate solo ove ne ricorrano i presupposti, la prova della cui ricorrenza grava sul contribuente. Tale principio vige anche per le attività agricole connesse (Cass. 22/04/2016, n. 8128).
6.4. Come detto, la disciplina fiscale, se da un lato richiama la disciplina civilistica, sia attraverso il rinvio diretto all’art. 2135, terzo comma, cod. civ., sia attraverso la descrizione delle attività considerate, dall’altro circoscrive le «attività connesse» soggette al regime del reddito agrario di cui all’art. 34 t.u.i.r. spostando il punto di osservazione sugli specifici prodotti, attraverso il rinvio mobile al decreto del Ministero dell’Economia, da emanarsi ogni due anni, tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, dell’art.32 cit. (Cass. n. 8128 del 2016 cit.).
Ne consegue che, per l’applicazione di detto regime più favorevole, oltre ai presupposti di cui all’art. 32, comma 1, t.u.i.r. occorrerà che le attività connesse, rispondano ai requisiti di cui all’art. 2135, cod. civ. richiamati dal comma 2, ovvero siano dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, dei prodotti; che questi ultimi siano ottenuti «prevalentemente» dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento d i animali; che i prodotti di cui alle attività connesse siano tra quelli contemplati dai singoli d.m. ratione temporis vigenti . Infine, occorre che il reddito percepito sia prodotto nell’ambito dell’attività agricola esercitata «nei limiti della potenzialità del terreno» (Cass. 08/03/2022, n. 7447).
Questa Corte, poi, ha avuto modo di precisare che si ha trasformazione quando il prodotto originario, per effetto della lavorazione, viene a perdere i caratteri merceologici che lo distinguono
(ad esempio nel caso dei cereali utilizzati per produrre farine o delle olive con cui viene prodotto l’olio). Si ha, invece, manipolazione quando il prodotto, nonostante le lavorazioni subite, abbia conservato le sue qualità merceologiche originarie (ad esempio pulitura e confezionamento di verdure e frutta). Dunque, sul piano civilistico, sono qualificabili come attività agricole connesse quelle che si esplicano su prodotti che provengono prevalentemente e direttamente dall’attività agricola principale, mentre vanno escluse le attività che riguardano prodotti di secondo grado, conseguenti a successive attività (Cass. n. 8128 del 2016 cit).
6.5. Ove le attività, pur sempre connesse a quella agricola, siano, però, relative a prodotti non rientranti in quelli previsti dai citati d.m., soccorre l’art. 56 -bis, comma 2, t.u.i.r. che sottopone il relativo reddito al regime forfetario (Cass. 20/03/2022, n. 27535).
In merito a detta ultima disposizione, va chiarito che, anche se manca il richiamo diretto all’art. 2135 cod. civ., lo stesso può essere desunto sia dalla descrizione dell’attività in esame -che ripropone sostanzialmente la disposizione civilistica -, sia dal rinvio diretto all’art.32, comma 2, lett. c), t.u.i.r., anche se utilizzato per definire per esclusione ed in via residuale il campo di operatività del regime fiscale forfettario (Cass. n. 8128 del 2016 cit.).
6.6. Per le attività agricole «connesse» il regime di tassazione è, pertanto, diversificato in quanto il reddito laddove ricorrano i presupposti di cui all’art. 32, comma 2, lett. c) con riferimento ai beni individuati con apposito d.m., rientra nel reddito agrario; laddove sia relativo a prodotti diversi da quelli di cu al citato art. 32, comma 2, lett. c) rientra nel regime forfetario di cui all’art. 56 -bis .t.u.i.r. Se non ricorrono i presupposti né dell’art. 32 t.u.i.r. né dell’art. 56 t.u.i.r. la tassazione avverrà secondo il reddito di impresa. Pertanto, i beni prodotti a seguito di attività che non possono essere qualificate come
connesse ai sensi dell’art. 2135, terzo comma, cod. civ. e che non rientrano nella previsione della decretazione ministeriale periodica sono soggetti al regime ordinario.
6.7. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: «In tema di reddito agrario, la tassazione secondo il regime di cui all’art. 34 t.u.i.r. si applica alle ‘attività agricole connesse’, secondo la definizione di cui all’art. 2135, terzo comma cod. civ., purché ricorrano i presupposti di cui all’art. 32, co mma 2, lett.c), t.u.i.r. e ‘nei limiti della potenzialità del terreno’ di cui all’art. 32, comma 1, t.u.i.r. vigente ratione temporis ».
6.8. Con riferimento alla fattispecie in esame, che ha ad oggetto la produzione di pallets va ribadito, pertanto, che pe potersi ritenere che si tratti di «attività connessa», tassabile come reddito agrario, occorre, in primo luogo, che ricorrano le condizioni previste dall’art. 2135 cod. civ. e, in particolare, che sia attività rientrante nella definizione di attività derivante dalla manipolazione o trasformazione del prodotto originario e che non si tratti di prodotti «di secondo grado»; inoltre, in ragione del disposto di cui art. 32, comma 1, t.u.i.r. occorre che il reddito percepito sia prodotto nell’ambito dell’attività agricola esercitata «nei limiti della potenzialità del terreno». Infine, per applicare il sistema impositivo proprio del reddito agrario di cui all’art. 34 t.u.i.r. che assicura un trattamento fiscale agevolato, occorre che il prodotto rientri tra quelli contemplati dai d.m. vigenti ratione temporis.
6.9. La C.t.r. sulla questione controversa ha reso motivazione apparente e, comunque, elusiva del dettato legislativo.
6.9.1. Dopo aver affermato che i primi giudici, con esauriente e dettagliata motivazione, avevano indicato quali fossero le caratteristiche proprie delle attività agricole ed avevano applicato i principi richiamati, ma senza esporne gli argomenti resi, ha aggiunto che l’attività prevalente esercitata dal contribuente doveva qualificarsi
come agricola; che in particolare questi esercitava la silvicoltura, ivi comprese le attività connesse, strumentali e complementari, di trasformazione, manipolazione e commercializzazione dei prodotti ottenuti dalla coltivazione del bosco e, in particolare, di trasformazione del legno in pallets e commercializzazione degli stessi. Ha concluso, pertanto che l’attività principale aveva natura agricola e quindi anche le attività connesse.
La C.t.r, pertanto, ha concluso per la natura agricola anche dell’attività connessa a quella agricola, senza chiarire nonostante lo stesso contribuente avesse esposto nella propria dichiarazione un reddito di impresa maggiore rispetto a quello agrario -perché l’attività di produzione e commercializzazione di pallets fosse attratta alla natura della attività principale di silvicoltura; ha omesso di verificare la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 21235 cod. civ., pure richiamato, degli ulteriori presupposti di cui all’art. 32, comma 2, lett. c) t.u.i.r. e del limite di cui all’art. 32, comma 1, t.u.i.r.; inoltre, ha affermato erroneamente che spettasse all’Ufficio provare la prevalenza dell’attività commerciale rispetto a quella agricola.
6.9.2. Va rammentato in proposito che è nulla per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. la sentenza della commissione tributaria regionale completamente priva dell’illustrazione delle ce nsure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, poiché, in tal modo , resta impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei m otivi di gravame»; (Cass. 05/10/2018, n.
24452; conf. ex multis 08/07/2021, n. 19417; 11/11/2020, n. 25325; 14/02/2020, n. 3819; 25/10/2018, n. 27112; 05/11/2018, n. 28139, la quale ha stabilito che «La sentenza d’appello può essere motivata per relationem , purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame»)
6.9.3. Infine, come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincime nto, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 19/06/2018, n. 16159).
Il terzo motivo è parzialmente fondato.
7.1. Per costante giurisprudenza di questa Corte, in virtù della presunzione stabilita dall’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici -sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari del contribuente vanno considerati come elementi positivi di reddito se questi non dimostra che ne ha tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito
(tra le più recenti, Cass. 28/04/2022, n. 13236, Cass. 23/09/2021, n. 25812, Cass. 03/03/2021, n. 5788).
A propria volta, il contribuente che voglia superare la presunzione ha l’onere di fornire, non una prova generica, bensì una prova analitica, idonea a dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione. Tale prova può essere data in due modi: o dimostrando che ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni, oppure dimostrando che si sia trattato di movimenti non fiscalmente rilevanti, in quanto non riferiti a operazioni imponibili (Cass. 30/06/2020, n. 13112, Cass. 18/09/2013, n. 21303).
Quanto alle modalità tramite le quali assolvere all’onere probatorio, si è precisato che spetta al contribuente indicare e dimostrare la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti (Cass. 30/12/2015, n. 26111).
7.2. Secondo questa Corte, inoltre, l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito quali prove presuntive di maggiori ricavi o operazioni imponibili, ai sensi dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art 51 d.P.R. n.633 del 1972, non è subordinata alla previa dimostrazione che il contribuente rivesta la qualifica di imprenditore: infatti, i medesimi possono essere valorizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta di impresa (o arte o professione), sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l’onere di dimostrare che i movimenti bancari non sono fiscalmente rilevanti (Cass. 23/09/2021, n. 25812, Cass. 28/02/2017, n. 5135; Cass. 13/10/2011, n. 21132, Cass. 23/04/2007, n. 9573).
In quest’ottica , si è precisato che la norma in esame stabilisce, in maniera chiara ed incondizionata, che i dati emergenti dai conti sono
posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, sia ai fini del quantum che ai fini dell ‘an . La ricostruzione della qualifica del contribuente e della sua attività non costituisce necessariamente un prius rispetto alla quantificazione della materia imponibile; tanto più ove si consideri che l’onere di provare che gli elementi acquisiti non si riferiscono ad operazioni imponibili grava su quest’ultimo, per espressa disposizione. Il legislatore, infatti, ha stabilito una presunzione di inerenza dei movimenti risultanti dai conti ad operazioni imponibili, che può essere superata soltanto dalla prova contraria offerta dal contribuente.
Questa conclusione non contrasta con l’art. 2697 cod. civ. in quanto l’emersione di movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle dichiarazioni del contribuente è un fatto in relazione al quale solo quest’ultimo può dimostrare che i conti stessi non siano fiscalmente rilevanti o che, comunque, non diano luogo a recuperi (Cass. 19/02/2001, n. 2435).
Da tale ricostruzione consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Cass. 30/06/2020, n. 13112 e tra le più recenti, Cass. 02/03/2025, n. 5529).
7.3. Diversamente da quanto affermato dalla ricorrente, dalla sentenza impugnata non risulta che la C.t.r. abbia escluso la legittimità del ricorso alle indagini bancarie per gli imprenditori non commerciali. Al contrario la C.t.r., dopo aver ribadito che queste ultime possono essere svolte nei confronti di qualsiasi contribuente, ha ritenuto che nella fattispecie fosse stata data giustificazione delle medesime.
La C.t.r., tuttavia, non si è attenuta ai principi sopra richiamati in quanto, invece di procedere ad un’analisi dettagliata di tutti i movimenti intercettati dall’Ufficio , verificando che il contribuente ne avesse reso idonea giustificazione, si è fermata a quanto dedotto da
quest’ultimo in ordine al fatto che i versamenti andavano imputati e raffrontati ad i ricavi e i prelievi ai pagamenti contabilizzati e che sul conto erano confluite operazioni relative al sostentamento del nucleo familaire, senza procedere ad alcun riscontro effettivo.
Il quarto motivo è infondato in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
8.1. La C.t.r. ha espressamente affermato che la violazione di omessa registrazione delle fatture, sulla cui esistenza si era pronunciato il giudice di primo grado, non era oggetto di impugnazione. Non vi è stata, pertanto, violazione del giudicato interno formatosi sulla questione. La successiva affermazione sulla non sussistenza della violazione per omessa liquidazione del carico fiscale va intesa nei limiti di quanto dedotto con l’appello.
Ne consegue, in accoglimento del primo, del secondo, parzialmente del terzo motivo del ricorso, rigettato il quarto, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame, fornendo congrua motivazione, e al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, che si pronuncerà anche sulle spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2025.