Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19818 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19818 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
Avviso di accertamento -Irpef – Indebita percezione di emolumenti -Omessa dichiarazione dei redditi
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17771/2017 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa dal l’Avvocatura generale dello Stato;
– ricorrente –
contro
COGNOME;
– intimata –
avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. SICILIA, n. 450/2017 depositata il 09/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate notificava a COGNOME NOME COGNOME avviso di accertamento con il quale, per l’anno di imposta 2006, in assenza di dichiarazione dei redditi, recuperava a tassazione, ai fini Irpef, un maggior reddito. In particolare, l’ atto impositivo aveva ad oggetto il recupero a tassazione delle imposte, oltre sanzioni ed interessi, connesse all’ omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, alla quale la contribuente era obbligata, per avere la stessa percepito redditi di lavoro dipendente e assimilati da due diversi sostituti di imposta.
La contribuente proponeva ricorso innanzi alla CTP di Agrigento sostenendo, per quanto qui di rilievo, che le somme sottoposte a tassazione non potevano costituire reddito in quanto indebitamente percepite. Era risultato, infatti, che la ricorrente, insegnante alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione, aveva continuato, per errore della Ragioneria territoriale, a percepire gli emolumenti anche dopo l’immissione a domanda nei ruoli dell’Inps.
La CTP rigettava il ricorso.
La CTR, invece, in accoglimento dell’appello della contribuente, con la sentenza di cui all’epigrafe, riteneva che le somme percepite indebitamente non costituissero reddito da lavoro e non fossero nemmeno riconducibili alla categoria dei redditi diversi; che, infatti, l’ente erogante aveva diritto al recupero delle stesse e che, pertanto, non potevano essere soggette a tassazione.
Avverso detta sentenza l ‘Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
La contribuente intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 3, comma 1, t.u.i.r.
Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti.
La ricorrente osserva che l’atto impositivo aveva recuperato a tassazione le imposte (oltre sanzioni ed interessi) scaturite dall’omessa dichiarazione dei redditi alla quale la contribuente era obbligata ex art. 1 d.P.R. n. 600 del 1973, ai sensi del quale ogni soggetto passivo deve dichiarare annualmente i redditi posseduti anche se non ne consegue alcun debito di imposta. Rileva, per l’effetto, che la CTR «ha obliterato ogni possibile valutazione in ordine ad un fatto decisivo della controversia afferente appunto la omessa presentazione della dichiarazione dei redditi». Aggiunge che detto obbligo sussisteva, nella fattispecie, nonostante l’indebita percezione delle somme erogate dal Ministero e che lo stesso permaneva anche in ipotesi di restituzione di quanto percepito, in quanto i redditi di lavoro dipendente e assimilati concorrono alla formazione del reddito imponibile secondo il criterio di cassa e cioè in quanto percepiti; che, invece, le somme restituite al soggetto erogatore, che avevano concorso a formare il reddito in anni precedenti, andavano indicate nella dichiarazione relativa all’anno in cui era avvenuta la restituzione, secondo la previsione dell’art. 10, comma 1 , lett dbis t.u.i.r. restando esclusa la duplicazione di imposta.
Il primo motivo è fondato come già ritenuto da questa Corte in precedente specifico tra le stesse parti (cfr. Cass. 14/02/2020, n. 3758), restando assorbito il secondo.
3.1. Ai sensi dell’art. 1 d.P.R. n. 600 del 1973, ogni soggetto passivo è tenuto a dichiarare annualmente, tutti indistintamente, i
redditi posseduti, anche ove da essi non consegua alcun debito d’imposta. Pertanto, nella dichiarazione dei redditi conseguiti nel 2006, la contribuente avrebbe dovuto indicare gli emolumenti a lei versati dall’A mministrazione dello Stato, ancorché erroneamente, in aggiunta a quelli legittimamente percepiti.
Detti emolumenti, qualora effettivamente restituiti, avrebbero dovuto comunque essere indicati al rigo 28 del quadro RP quali oneri deducibili, ai sensi dell’art. 10 comma 1 lettera dbis t.u.i.r.
3.2. La dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale, essendo essa una mera esternazione di scienza e di giudizio, come tale modificabile ed emendabile, qualora vengano acquisiti nuovi elementi di conoscenza e di valutazione (cfr. Cass. 28/02/2011, n. 4776).
3.3. Va escluso, infine, che gli emolumenti indebitamente percepiti non costituiscano reddito. E’ noto, infatti, che persino i proventi da attività illecita, devono essere sottoposti a tassazione, anche laddove non rientrino nelle categorie previste dall’art. 6, comma, 1 t.u.i.r. (cfr. Cass. 18/10/2021, n. 28629). Del resto, con l’art. 14, comma 4, legge n. 537 del 1993 -ai sensi del quale nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6, comma 1, t.u.i.r. devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale e che i relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria -è stato introdotto nell’ordinamento il principio, di carattere generale, della tassabilità dei redditi per il fatto stesso della loro sussistenza, a prescindere dalla loro provenienza, e, dunque, dalla sussumibilità della relativa fonte in una delle specifiche categorie reddituali di cui all’art. 6 t.u.i.r., essendo normativamente considerati, in via residuale, come redditi diversi (Cass. 28/12/2017, n. 31026).
A nessuna diversa conclusione può giungersi in ragione dell’obbligo restitutorio, in quanto la restituzione può avere rilievo ove sia avvenuta entro la fine del periodo di imposta cui il provento si riferisce e non anche in caso di eventi posteriori alla realizzazione del presupposto impositivo, con i conseguenti obblighi di dichiarazione e di versamento, per i quali si pone solo una questione di diritto al rimborso dell’imposta versata divenuta indebita (cfr. sul punto Cass. 05/11/2019, n. 28375, ancorché con riferimento all’esclusione del provento dalla base imponibile in caso di sequestro e confisca ex art. 14, comma 4, legge n. 537 del 1993).
Infine, il fatto che gli emolumenti siano stati percepiti indebitamente in ragione della insussistenza del titolo non ne muta la natura di reddito di lavoro dipendente.
Ne consegue, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame, fornendo congrua motivazione, e al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, la quale provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2025.