Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5174 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 5174  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME , rappresentato e difeso, giusta procura speciale stesa  su  foglio  allegato  al  ricorso,  dall’AVV_NOTAIO  che  ha indicato recapito EMAIL, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore, legale rappresentante pro  tempore ,  rappresentata  e  difesa, ex  lege , dall’RAGIONE_SOCIALE,  e  domiciliata  presso  i  suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la  sentenza  n.  97,  pronunciata  dalla  Commissione  Tributaria Regionale della Lombardia il 21.12.2020, e pubblicata l’11.1.2021; ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; la Corte osserva:
Fatti di causa
Oggetto: Irpef 2010 -Dipendente bancario -Appropriazione di fondi -Natura -Redditi soggetti ad imposizione -Vizi di contestazione e merito.
La Guardia di RAGIONE_SOCIALE concludeva con la redazione di Processo Verbale di Costatazione (PVC) una verifica fiscale nei confronti di COGNOME NOME, in relazione agli anni dal 2010 al 2013. Al contribuente era contestata la mancata dichiarazione (art. 4, D.Lgs. n. 74 del 2000), e sottoposizione a tassazione RAGIONE_SOCIALE somme di cui si era appropriato, utilizzando artifizi contabili, in quanto dipendente della Banca di Credito Cooperativo di Binasco, per un valore complessivo di svariati milioni di Euro e, relativamente all’anno 2010 per cui è causa, l’Amministrazione finanziaria contestava un maggior reddito imponibile nella misura di Euro 671.500,00. La vicenda aveva dato luogo anche a procedimento penale, e nei confronti del contribuente era stato pure disposto provvedimento di sequestro dei beni, tra cui 52 quadri d’autore.
NOME COGNOME impugnava  l’atto impositivo innanzi alla Commissione  Tributaria  Provinciale  di  Milano,  che  respingeva  il ricorso.
Il contribuente spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita dai primi giudici, innanzi alla Commissione Tributaria  Regionale  della  Lombardia,  che  rigettava  il  gravame, confermando la decisione assunta dalla CTP.
Ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, affidandosi ad uno strumento d’impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Amministrazione finanziaria.
Ragioni della decisione
Con il suo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il ricorrente contesta ‘l’omesso esame  di  un  fatto  decisivo  per  il  giudizio  che  è  stato  oggetto  di discussione tra le parti in relazione alla mancanza del presupposto impositivo ed alla sua esatta quantificazione’ (ric., p. 2).
La critica, come  proposta, risulta inammissibile,  come segnalato anche dall’Amministrazione finanziaria nel suo controricorso.
Il  ricorrente,  infatti,  impugna  la  decisione  adottata dal giudice del gravame, che, nello stesso dispositivo, dichiaratamente ‘conferma la sentenza di primo grado’ (sent. CTR, p. 7).
2.1. Questa Corte di legittimità ha recentemente avuto occasione di confermare che ‘ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice’, Cass. sez. VI-II, 9.3.2022, n. 7724; non mancandosi di chiarire che ‘nell’ipotesi di ‘doppia conforme’, prevista dall’art. 348 -ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse’, Cass. sez. I, 22.12.2016, n. 26774 (conf. Cass. sez. II, 10.3.2014, n. 5528).
Deve allora rilevarsi che, nel suo pur ampio ricorso, il contribuente non ha dimostrato che la pronuncia di primo grado e la decisione di rigetto dell’appello non siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo.
Anche nell’ipotesi che si potesse ritenere, nonostante la sua premessa,  che  il  contribuente  abbia  inteso  comunque  contestare (anche)  una  violazione  di  legge,  peraltro,  il  ricorso  risulterebbe comunque infondato.
L’avviso di accertamento è stato basato sull’attività ispettiva svolta dalla Guardia RAGIONE_SOCIALE. Si è ritenuto accertato che il NOME, servendosi del computer e della password che erano nella sua disponibilità, ha tenuto condotte di appropriazione di somme depositate presso l’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, da sottoporsi ad imposizione ai sensi dell’art. 14, comma 4, della legge n. 537 del 1993, che prevede la tassabilità dei redditi illecitamente conseguiti. In conseguenza di questi fatti è iniziato nei confronti del contribuente procedimento penale per i reati di appropriazione indebita, nonché di dichiarazione dei redditi infedele.
3.1.  L’ammontare RAGIONE_SOCIALE  somme  annualmente sottratte  è stato determinato  non  solo  in  ragione  RAGIONE_SOCIALE  verifiche  interne  effettuate dalla  Banca,  ma  anche  mediante  accertamenti  svolti  da  soggetti terzi,  la  società  specializzata  RAGIONE_SOCIALE  e  la  società  di  revisione RAGIONE_SOCIALE.  Sono  stati  pure  disposti  sequestri  penali  nei  confronti  di NOME  COGNOME,  ma  non  nell’anno  2010  (cfr.,  ancora,  art.  14, comma 4, della legge n. 537 del 1993).
3.2. Nel suo ricorso, che pur contiene l’illustrazione di argomenti suggestivi, il contribuente ripropone la propria prospettazione sostenendo, tra l’altro, che la responsabilità della sottrazione dei fondi debba ricondursi in primo luogo al colpevole omesso controllo da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, lamenta che gli sia stato contestato il compimento di operazioni complesse che però non sono state accertate, sostiene che la sua password di accesso fosse conosciuta da molti altri dipendenti, ed alfine critica ‘l’indeterminatezza del presupposto d’imposta, la mancata dimostrazione della percezione e la non definitività del procedimento penale (ric., p. 25).
Il ricorrente, però, non si confronta con la decisione assunta da entrambi  i  giudici  del  merito,  non  ne  contrasta  il  fondamento. Ripropone i propri argomenti, ma non chiarisce in che cosa i giudici del  merito  abbiano  errato,  e  come  lo  abbia  dimostrato  nelle precedenti fasi del giudizio.
In definitiva il ricorso introdotto da  NOME  COGNOME risulta infondato, e deve perciò essere respinto.
Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura RAGIONE_SOCIALE questioni affrontati e del valore della causa.
4.1. Risultano integrati i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del c.d. doppio contributo.
La Corte,
P.Q.M .
rigetta il ricorso proposto da NOME COGNOME , che condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, e le  liquida  in  complessivi  Euro  7.800,00  per  compensi,  oltre  spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, il 25.1.2024.