Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33504 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 33504 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME del Foro di Genova, e NOME COGNOME che hanno indicato recapito PEC, avendo l’impugnante dichiarato di eleggere domicilio presso lo studio del terzo difensore, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 277, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 14.11.2016, e pubblicata il 31.1.2017;
Oggetto: Irpef 2008 – Redditi detenuti all’estero non dichiarati – Scudo fiscale – Imposizione Oneri probatori – Applicazione del favor rei per le sanzioni.
ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME raccolte le conclusioni del P.M., s.Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha confermato la richiesta di rigetto del ricorso; ascoltate le conclusioni rassegnate, per il ricorrente, dall’Avv. NOME COGNOME che ha domandato l’accoglimento del ricorso e, per la controricorrente, dall’Avvocato dello Stato NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dell’impugnativa;
la Corte osserva:
Fatti di causa
La Guardia di Finanza, a seguito di indagini fiscali svolte nei confronti di NOME Riccardo con particolare riguardo ai capitali ed alle attività finanziarie detenute all’estero e non dichiarate, mediante Processo Verbale di Costatazione consegnato il 21.2.2011 (allegato dal ricorrente in copia nella sua produzione), contestava che il contribuente aveva, tra l’altro, effettivamente investito cospicui capitali in Svizzera con riferimento agli anni dal 2004 al 2009. L’Agenzia delle Entrate, recepite le valutazioni effettuate dai verificatori, redigeva separati avvisi di accertamento per i diversi anni. Con riferimento all’anno 2008 notificava al contribuente l’avviso di accertamento n. T93010G02616/2013, contestando il conseguimento di un reddito da capitale in relazione agli interessi percepiti (€ 238.876,00) sui fondi detenuti all’estero, da assoggettare ad imposta sostitutiva del 27%, nonché ulteriori somme derivanti da indagini bancarie nei confronti suoi e della moglie, ed assoggettate a tassazione ordinaria. Il contribuente, in relazione a queste ultime somme riusciva a giustificarne gran parte e, ridotta la pretesa fiscale per effetto di provvedimento emesso dall’Amministrazione finanziaria in autotutela, residuava la ripresa a tassazione di Euro 7.500,00.
NOME COGNOME impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Varese, proponendo plurime censure. La CTP reputava fondate le difese del ricorrente, in
particolare ritenendo che il contribuente fosse rimasto vittima di una frode da parte dell’Avv. COGNOME cui aveva affidato i suoi capitali perché li investisse, e comunque non vi era prova che gli fossero state corrisposte somme a titolo di interessi. Inoltre, il giudice di primo grado riteneva che pure la somma di Euro 7.500,00 desunta dalle sue movimentazioni bancarie fosse stata giustificata dal ricorrente. In conseguenza annullava interamente l’atto impositivo.
L’Amministrazione finanziaria spiegava appello avverso la pronuncia sfavorevole adottata dalla CTP, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia. La CTR valutava fondate le difese proposte dall’Agenzia delle Entrate ed accoglieva il suo ricorso, riaffermando la piena validità ed efficacia dell’avviso di accertamento.
Avverso la pronuncia adottata dalla CTR di Milano ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandosi ad otto motivi di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il contribuente ha pure depositato memoria.
4.1. Ha fatto pervenire le sue conclusioni scritte il Pubblico Ministero, nella persona del s.Procuratore Generale NOME COGNOME ed ha domandato il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente contesta la violazione dell’art. 44 del Dpr n. 917 del 1986, per avere la CTR erroneamente qualificato come redditi da capitale somme che, anche se fossero state realmente consegnate al contribuente, avrebbero comunque avuto la natura di solo molto parziale restituzione di un capitale sottratto dall’Avv. COGNOME.
Mediante il secondo strumento d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente
censura la violazione dell’art. 13 bis , in part. quarto comma, del Dl n. 78 del 2009, e dell’art. 14, in part. primo comma, lett. a), del Dl. n. 350 del 2001, perché non poteva essere accertato alcun reddito estero nei confronti del ricorrente, il quale aveva aderito al c.d. scudo fiscale.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il contribuente critica la CTR per aver omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, perché non vi era alcun reddito su cui operare l’imposizione, in quanto l’intero capitale investito gli era stato fraudolentemente sottratto.
Mediante il quarto mezzo d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia l’omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, per avere la CTR erroneamente ritenuto integrate le presunzioni gravi, precise e concordanti, della percezione di un reddito dall’estero da parte del contribuente, essendosi invece raccolti plurimi elementi dimostrativi dell’attività fraudolenta svolta dall’Avv. COGNOME nei confronti del COGNOME, cui ha sottratto il patrimonio investito.
Con il suo quinto motivo di ricorso, subordinatamente proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente contesta la violazione dell’art. 44 del Dpr n. 917 del 1986 (Tuir) perché anche a voler ritenere che il contribuente abbia conseguito redditi all’estero, questi non potevano essere qualificati come interessi e altri proventi derivati da mutui, depositi e conti correnti, ed assoggettati perciò a prelievo nella misura del 27%, ma tali proventi avrebbero dovuto essere qualificati come redditi diversi, ed essere assoggettati ad imposta sostitutiva con aliquota del 12,50%.
Mediante il sesto strumento di impugnazione introdotto, ‘in estremo subordine’ (ric., p. 35), ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione dell’art. 1, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 471 del 1997, perché nessuna sanzione tributaria poteva essere inflitta al contribuente, il quale non si è reso responsabile di alcuna dichiarazione infedele, non avendo percepito i redditi che gli vengono contestati.
Con il settimo motivo di ricorso, in ulteriore subordine, il COGNOME domanda applicarsi il principio del favor rei in materia di sanzioni, essendo sopravvenuta la legge n. 208 del 2015, che ha ridotto le sanzioni tributarie conseguenti alla dichiarazione infedele.
Mediante l’ottavo strumento di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il contribuente critica la nullità della sentenza impugnata, per non essersi il giudice del gravame pronunciato sulla seconda ed autonoma ripresa a tassazione operata dall’Amministrazione finanziaria, in relazione alla somma di Euro 7.500,00 individuata mediante indagini bancarie e ritenuta non giustificata, mentre si tratta di somma interamente giustificata e dipendente da affitti attivi di immobili.
Sembra opportuno ripercorrere, in estrema sintesi, le vicende che hanno originato il presente giudizio. NOME COGNOME affidava all’Avv. NOME COGNOME ingenti capitali, che ammette nella misura di 1.650.000,00 Euro, perché fossero investiti. La GdF rinveniva presso il legale evidenze della detenzione di capitali del contribuente all’estero, in Svizzera, e del versamento in suo favore di somme a titolo di interessi. Queste ultime sono l’oggetto principale del presente giudizio. Il COGNOME, nella sua dichiarazione dei redditi, non annotava la detenzione dei capitali all’estero e la percezione di interessi. L’Agenzia delle Entrate emetteva pertanto separati avvisi di accertamento, uno con riferimento agli anni dal 2004 al 2007, che è oggetto presso questa Corte del fascicolo RGN 14772/16, trattato contestualmente nella medesima udienza, un altro con riferimento all’anno 2009, che è oggetto presso questa
Corte del fascicolo RGN 24941/18, anch’esso trattato contestualmente nella medesima udienza, nonché in relazione all’anno 2008, atto impositivo che è oggetto di questo giudizio, richiedendo il pagamento dei tributi che riteneva essere stati evasi. Il COGNOME proponeva azioni giudiziarie in Italia ed in Svizzera nei confronti del COGNOME, sostenendo che l’Avvocato si era appropriato dei fondi che gli erano stati affidati per l’investimento all’estero. I procedimenti non si concludevano con l’affermazione della responsabilità del COGNOME per essersi appropriato dei fondi consegnatigli dal Fiorina.
10. Tanto premesso il ricorrente, con il suo primo mezzo d’impugnazione, censura la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR, per avere il giudice dell’appello erroneamente qualificato come redditi da capitale somme che, anche se fossero state realmente consegnate al contribuente, avrebbero comunque avuto la natura di solo molto parziale restituzione di un capitale sottratto dall’Avv. COGNOME
10.1. Invero la critica del contribuente si basa innanzitutto su di un presupposto indimostrato, perché la CTR ha ritenuto difettare la prova che il COGNOME si sia appropriato dei fondi che il COGNOME ammette di avergli consegnato perché le investisse, ed è quindi innanzitutto questo che il contribuente avrebbe dovuto illustrare come avrebbe dimostrato nel corso dei gradi di merito del giudizio.
Tanto premesso, la tesi del ricorrente appare infondata anche sul piano deduttivo. Anche ad ammettere che abbia subito la sottrazione del suo capitale, infatti, questo non dimostra affatto che prima di subire la sottrazione dello stesso non gli siano state corrisposte delle somme a titolo di interessi. Anzi, è lo stesso contribuente ad aver ammesso ai Militari verbalizzanti di avere ricevuto delle somme a tale titolo, negli anni 2004 e 2005, mentre non ha fornito alcuna prova di non aver ricevuto somme a tale titolo in relazione all’anno 2008.
Il primo motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve perciò essere respinto.
Mediante il secondo strumento d’impugnazione il contribuente critica la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR, perché non poteva essere accertato alcun reddito estero nei suoi confronti, avendo aderito al c.d. scudo fiscale.
11.1. La censura risulta infondata. Il ricorrente ha aderito allo scudo fiscale con dichiarazione riservata per un valore di Euro 10.000,00, rispetto ad un capitale di Euro 1.650.000,00 che ammette di aver investito all’estero ma sostiene essergli stato sottratto. Di questa sottrazione però, non è riuscito a fornire la prova, come si è anticipato e come meglio si illustrerà nel prosieguo. Lo scudo fiscale, invero, preclude l’accertamento tributario ‘limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio’ (art. 14, comma 1, Dl n. 350 del 2001, ma cfr. anche il comma 6), nel caso di specie risulta ‘scudata’, pertanto, la somma di Euro 10.000,00, mentre la contestazione è di avere detenuto all’estero, percependo gli interessi, capitali non dichiarati per un valore superiore al milione e mezzo di Euro.
Il secondo motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve perciò essere respinto.
Con il terzo motivo di ricorso il contribuente critica la CTR per aver omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, perché non vi era alcun reddito su cui operare l’imposizione, in quanto l’intero capitale investito gli era stato sottratto.
Mediante il quarto mezzo d’impugnazione il ricorrente denuncia l’omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, per avere la CTR erroneamente ritenuto ricorrenti le presunzioni gravi, precise e concordanti, della percezione di un reddito da capitale detenuto all’estero da parte del
contribuente, essendosi invece raccolti plurimi elementi dimostrativi dell’attività fraudolenta svolta dall’Avv. COGNOME nei confronti del COGNOME cui ha sottratto il patrimonio investito.
I due strumenti di impugnazione presentano omogeneità di censura e rivelano elementi di connessione, e possono essere trattati congiuntamente, per ragioni di chiarezza e sintesi espositiva.
12.1. Premesso che la selezione degli elementi di prova e di quelli che occorre valorizzare ai fini della decisione compete al giudice del merito, può innanzitutto ricordarsi che i Militari verbalizzanti hanno raccolto una pluralità di indizi di responsabilità a carico del contribuente. Si è già segnalato che lui stesso ammette di avere consegnato ingenti somme all’Avv. COGNOME e di averne ricevuto in due occasioni la corresponsione di somme a titolo di interessi. A tanto deve aggiungersi che presso l’affidatario del denaro è stata rinvenuta una cartellina contenente documentazione riferibile al ricorrente riportante, tra l’altro, l’ammontare delle somme investite, le modalità di calcolo degli interessi, l’Iban di un conto corrente svizzero che l’odierno ricorrente ha ammesso essergli riferibile, ed inoltre corrispondenza intercorsa tra il Rausse ed il Fiorina, contenente accordi sulla modalità di accredito degli interessi per il tramite dell’Avvocato svizzero NOME COGNOME in De Pietri.
A fronte di questi rilevanti elementi indiziari il contribuente allega articoli di giornale che riportano delle indagini svolte nei confronti del COGNOME, sospettato di aver posto in essere plurime truffe, nonché denunce e procedimenti civili intentati nei confronti del fiduciario. Il ricorrente non è stato in grado di dimostrare, però, che alcun procedimento giudiziario abbia comportato la condanna del COGNOME per essersi appropriato dei fondi che gli erano stati pacificamente consegnati dal contribuente.
12.1.1. Il giudice del merito, esprimendo il giudizio sul fatto processuale che gli compete, raffrontati gli elementi assicurati dalle parti al processo, li ha valutati e confrontati, ed ha ritenuto assolutamente pregnanti e decisivi gli elementi indiziari assicurati dall’Amministrazione finanziaria, ed in conseguenza inadeguati a contrastarli quelli proposti dal Fiorina.
Il ricorrente ripropone i suoi argomenti, domandando una rivalutazione dei fatti di causa inammissibile in sede di giudizio di legittimità, e non contrasta efficacemente la pronuncia del giudice dell’appello, non dimostra che la sua valutazione sia risultata errata, non chiarisce perché gli elementi valorizzati dalla CTR dovrebbero invece ritenersi certamente recessivi rispetto agli elementi da lui forniti.
Il terzo ed il quarto motivo di ricorso risultano pertanto, nella parte in cui possano ritenersi ammissibili, comunque infondati, e devono perciò essere rigettati.
Con il suo quinto motivo di ricorso, subordinatamente proposto, il contribuente contesta la violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice dell’appello perché, anche a voler ritenere che il contribuente abbia conseguito redditi all’estero, questi non potevano essere qualificati come interessi e altri proventi derivati da mutui, depositi e conti correnti, ed assoggettati a prelievo nella misura del 27%, ma tali proventi avrebbero dovuto essere qualificati come redditi diversi, ed essere assoggettati ad imposta sostitutiva con aliquota del 12,50%.
Il contribuente fonda la propria tesi anche sul fatto che l’Amministrazione finanziaria ha qualificato i medesimi redditi quali redditi diversi, e li ha assoggettati all’aliquota d’imposta ridotta, in avvisi di accertamento relativi ad anni diversi.
13.1. Invero le valutazioni espresse dall’Ufficio finanziario in relazione a diverso anno di imposta non sono vincolanti, e quella operata nell’avviso di accertamento qui in esame, avendo l’Agenzia
delle Entrate qualificato gli interessi quale reddito da capitale (art. 44, comma 1, lett. h) del Tuir), appare corretta ed immeritevole di censura.
Il quinto motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato perché infondato.
Mediante il sesto strumento di impugnazione il contribuente critica la violazione di legge in cui reputa essere incorso il giudice del gravame, perché nessuna sanzione tributaria poteva essergli inflitta, non essendosi reso responsabile di alcuna dichiarazione infedele, non avendo percepito i redditi che gli vengono contestati.
Il motivo di ricorso presenta un’evidente petizione di principio, perché dà per scontato proprio quanto il contribuente non è riuscito a dimostrare, cioè che non ha percepito il reddito da corresponsione di interessi che gli viene contestato. La tesi che il contribuente non abbia percepito il reddito è rimasta indimostrata, e ne consegue che la sua dichiarazione dei redditi risulta infedele, e perciò assoggettabile a sanzione.
Il sesto motivo di ricorso è pertanto infondato e deve essere respinto.
15. Con il settimo motivo di ricorso, in ulteriore subordine, il COGNOME domanda applicarsi il principio del favor rei in materia di sanzioni, essendo sopravvenuta la legge n. 208 del 2015, che ha ridotto le sanzioni tributarie conseguenti alla dichiarazione infedele.
La revisione del sistema sanzionatorio invocata dalla società, di cui al D.lgs. n. 158 del 2015, in effetti non ha previsto una generalizzata riduzione delle sanzioni tributarie, ma ha dettato una diversa disciplina che risulta in parte favorevole per il contribuente.
Lo ius superveniens risulta peraltro vigente in relazione a tutti i giudizi ancora in corso (cfr. Cass. sez. V, 30.3.2021, n. 8716), ed è compito innanzitutto del giudice del merito pronunziarsi sul se debba applicarsi al contribuente una disciplina sanzionatoria più favorevole.
In proposito l’Amministrazione finanziaria ha affermato di aver provveduto d’ufficio a rideterminare la sanzione con applicazione del regime più favorevole, ma non ha fornito ulteriori riscontri. Non ha spiegato mediante quale atto abbia provveduto alla rideterminazione, non ha chiarito qual era la sanzione originariamente irrogata e quale la nuova.
15.1. Inoltre, verificato quale sia la corretta sanzione applicabile, in considerazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, occorrerà anche valutare la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente in memoria, in relazione alle previsioni di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 87 del 2024.
Il settimo strumento di impugnazione risulta quindi fondato e deve essere pertanto accolto.
Con l’ottavo motivo di ricorso il contribuente denuncia la nullità della decisione del giudice dell’appello, per non aver pronunciato circa la seconda ripresa a tassazione operata dall’Agenzia delle Entrate, in relazione alla somma di Euro 7.500,00 individuata mediante indagini bancarie e ritenuta non giustificata, mentre si tratta di somme pienamente giustificate e dipendenti da affitti attivi di immobili.
16.1. La controricorrente replica che, in considerazione delle giustificazioni fornite dal contribuente, è stato annullato l’avviso di accertamento in relazione a due riprese del valore di oltre duecentomila Euro, mentre la somma di Euro 7.500,00 è stata comunque ritenuta non giustificata. È proprio in relazione a quest’ultima somma, però, che il contribuente muove la propria critica, avendo peraltro la CTP ritenuto che avesse provveduto a giustificare anche questa.
16.2. La CTR, in effetti, ricorda che i giudici di primo grado avevano esaminato la questione ed avevano riconosciuto fondate le difese del contribuente. Tuttavia il giudice del gravame ha riformato la decisione dei primi giudici, ed ha riaffermato la piena
validità ed efficacia dell’intero avviso di accertamento, senza però chiarire la ragione della propria decisione in ordine a questa seconda ripresa a tassazione.
Emerge in conseguenza che ricorre effettivamente un’omissione di pronuncia, ed anche la censura proposta con l’ottavo strumento di impugnazione risulta pertanto fondata. Il motivo di ricorso deve essere pertanto accolto.
In definitiva devono essere accolti il settimo e l’ottavo strumento d’impugnazione, respinti gli ulteriori, e la pronuncia della CTR deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia perché proceda a nuovo giudizio.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
accoglie il settimo e l’ottavo motivo di ricorso introdotti da NOME COGNOME respinti gli ulteriori, cassa la decisione impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia perché proceda a nuovo giudizio, e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 29.11.2024.