Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19218 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19218 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16244/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende, ope legis ;
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura allegata al controricorso, p.e.c.EMAIL;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA CAMPANIA n. 407/2024 depositata il 10/01/2024, non notificata;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria provinciale di Napoli rigettava il ricorso proposto da NOME a Granata contro l’avviso di accertamento relativo a Irpef dell’anno di imposta 2015 con cui era recuperat o a imposizione il reddito derivante dalla sua partecipazione al 50 per cento nella società RAGIONE_SOCIALE
La Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello della contribuente; in particolare, evidenziava il disposto dell’ art. 51 d.lgs. n. 159/2011 e l’applicabilità al sequestro delle disposizioni in tema di eredità giacente con la conseguenza che nelle more del procedimento gravava sull’amministratore giudiziario presentare le dichiarazioni, determinare i redditi dei beni sequestrati e provvedere al pagamento delle imposte; riteneva provato che la quota societaria era stata oggetto di sequestro disposto dal Tribunale di Napoli in data 4/12/2014 consolidatosi con la definitiva confisca pronunziata dalla Cassazione nel 2020; anche a voler ritenere che il sequestro datasse al 26/10/2015, data di deposito della sentenza del Tribunale, come ritenuto dai primi giudici, evidenziava che gli utili non erano maturati in capo alla ricorrente in quanto il diritto agli utili matura solo con l’approvazione del rendiconto .
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con due motivi, cui resiste la contribuente con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 21/05/2025 , per la quale la contribuente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte di giustizia di secondo grado ha deciso la causa evidenziando, in primo luogo, che la quota sociale era stata oggetto di sequestro disposto dal Tribunale di Napoli in data 4/12/2014 consolidatosi con la definitiva confisca pronunziata dalla Cassazione nel 2020 e quindi, in base a tale accertamento di fatto, ritenendo applicabile l’art. 51 CAM per cui il reddito 2015 è tassabile in capo all’amministratore giudiziario. A tale ratio decidendi , ne ha aggiunta
una seconda, evidenziando che anche a voler ritenere che il sequestro fosse databile al 26/10/2015, come ritenuto dai primi giudici, doveva ritenersi che gli utili non erano maturati in capo alla ricorrente in quanto il diritto agli utili matura solo con l’approvazione del rendiconto.
L’Agenzia delle entrate propone due motivi di ricorso, il primo dei quali attiene alla seconda ratio decidendi mentre il secondo motivo censura la prima delle due statuizioni dei giudici di appello.
Con il primo motivo , proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., infatti si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5 d.P.R. n. 917/1986 in combinato disposto con l’art. 51 d.lgs. n. 159/2011, evidenziando che la traslazione del reddito prodotto dalla società di persone in capo ai soci è automatica e prevista dalla legge, e quindi la Corte di giustizia ha errato nell’applicare l’art. 2262 c.c. e nel dare rilevanza al momento di approvazione del rendiconto come fonte di attribuzione degli utili.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., poi, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 51 d.lgs. n. 159/2011, laddove la CTR evidenzia di aver desunto la data del sequestro dall’esame della visura storica della società e non dall’esame degli atti ufficiali, quali la sentenza del GIP resa il 29 aprile 2015 e depositata il 26 ottobre 2015 e il successivo decreto di sequestro preventivo, violando così il principio del prudente apprezzamento delle prove.
Ciò premesso, è necessario quindi esaminare prioritariamente il secondo motivo, che è inammissibile.
Infatti, sul punto occorre rammentare che questa Corte (Cass. Sez. U., n. 20867/2020) ha statuito che in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della
decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio) e che la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento; è invece inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, o che abbia solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, in quanto la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
Inoltre, di recente, Questa Corte, a Sezioni Unite, ha affermato il principio di diritto per il quale «il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di
legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale» (Cass. Sez. U. n. n. 5792/2024).
Occorre peraltro evidenziare che le Sezioni Unite erano chiamate a dirimere il conflitto insorto nella giurisprudenza di questa Corte se potesse dedursi in sede di legittimità, per il tramite del n. 4 dell’art. 360 c.p.c., la violazione dell’art. 115 c.p.c. determinata dall’essere il giudice di merito incorso nel c.d. «travisamento della prova».
Nel caso di specie l’ Agenzia ricorrente deduce solo astrattamente che il giudice non avrebbe deciso secondo il proprio prudente apprezzamento dando rilevanza, nella individuazione della data dell’inizio del sequestro, alla visura camerale e non agli atti giudiziari, peraltro senza neanche che il richiamo a questi ultimi appaia immediatamente dirimente in senso diverso, alla luce del compiuto esame di cui dà conto la Corte di giustizia tributaria di secondo grado nella propria motivazione.
L’inammissibilità del secondo motivo attinente alla prima ratio decidendi della CTR rende superfluo l’esame del primo motivo.
Ed infatti, q uando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, la pronuncia di inammissibilità o il rigetto del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non fondatamente impugnata, non potrebbe mai condurre alla cassazione della sentenza, che rimarrebbe ferma sulla base dell’argomento riconosciuto esatto (Cass. S.U. n. 16602/2005; Cass. n. 10420/2005; Cass. n. 1101/2006; Cass. n. 2108/2012; Cass. n. 9752/2017; Cass. n. 11493/2018; Cass. n. 5102/2024).
Concludendo, il ricorso deve essere respinto.
Alla soccombenza segue condanna al pagamento delle spese di lite, tenendo conto del deposito di memoria.
La soccombenza di una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, determina che non si applichi l’art. 13 , comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
c ondanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, spese che liquida in euro 5.400,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15 per cento e IVA e CP.
Così deciso in Roma, il 21/05/2025.