Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20216 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20216 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18070/2016 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende -ricorrente e controricorrente incidentale
–
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
– controricorrente e ricorrente incidentale –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PIEMONTE n. 101/2016 depositata il 27/01/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorreva avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Alessandria avverso il ruolo n. NUMERO_DOCUMENTO, emesso a seguito di richiesta di recupero crediti
esteri e la cartella di pagamento n. 00120120000768179 (emessa per l’importo di euro 233.935,93 a titolo d’imposta, sanzioni ed interessi sul reddito di attività industriali per gli anni 1985 al 1990).
Il pagamento di tali imposte era richiesto, ai sensi dell’art. 6 della direttiva 76/308/CE, dall’Autorità fiscale tedesca, RAGIONE_SOCIALE, e l’attività di riscossione veniva azionata in applicazione del d.lgs. 9 aprile 2003 n. 69.
Il ricorso del contribuente veniva rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Alessandria.
NOME ricorreva in appello ed il gravame veniva accolto dalla CTR del Piemonte che, con la sentenza in epigrafe, annullava gli atti impugnati, rilevando che l’Amministrazione finanziaria aveva prestato l’assistenza allo Stato tedesco oltre il termine, ritenuto decadenziale, di cui all’art. 8 d.lgs. 9 aprile 2003, n. 69, e compensava integralmente le spese dei due gradi di merito.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso, sorretto da unico motivo, il contribuente.
Anche l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto, avverso la medesima sentenza, ricorso sorretto da cinque motivi che, riunito al precedente ex art. 335 cod. proc. civ., va trattato come ricorso incidentale perché temporalmente successivo. A detto ricorso ha resistito il contribuente con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso principale il NOME NOME COGNOME denuncia, con riferimento all’art. 360, comma 1. n. 5, cod. proc. civ., l’«Omessa, insufficiente motivazione circa un fatto controverso», lamentando che la sentenza impugnata sia priva di motivazione in merito alla compensazione RAGIONE_SOCIALE spese di lite operata dai giudici di appello.
Con il primo motivo del ricorso incidentale l’Amministrazione denuncia la «Nullità della sentenza per mancanza del requisito motivazionale previsto dal combinato disposto degli artt. 61 e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, e violazione dell’art. 132 c.p.c., e art. 111 Cost. e 112 cpc, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 4».
2.1. Lamenta la ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata sia «apodittica e priva di utili riferimenti su di un punto decisivo e cioè l’esistenza agli atti di giudizio di un documento da cui si deduca la data di formazione del titolo esecutivo tedesco».
Con il secondo motivo denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.», per avere la CTR ritenuto pacifica la formazione del titolo estero nell’anno 2000, contrariamente alle risultanze di causa.
Con il terzo motivo di ricorso denuncia la «Violazione o falsa applicazione degli artt. 5 e 8 del D.Lgs n. 69 del 2003, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3».
4.1. Osserva l’Amministrazione finanziaria che in ogni caso, la sentenza sarebbe errata e meritevole di riforma in quanto, anche a voler prescindere dal fatto che la disposizione invocata dal contribuente è posta a favore dell’Amministrazione, che può rifiutare di dar corso alla richiesta di assistenza, e non a tutela del soggetto destinatario della successiva cartella di pagamento, la data di formazione del titolo esecutivo non sarebbe, di per sé sola, decisiva.
In altri termini il giudice, anche a voler ritenere, per ipotesi, provata la formazione del titolo nell’anno 2000, non avrebbe potuto pronunciare l’annullamento per violazione dell’art. 8 del D.Lgs. 69/2003, dovendo invero verificare se tale atto si fosse reso definitivo nel medesimo anno di formazione o in un periodo successivo.
Con il quarto strumento di impugnazione si lamenta la «Violazione e/o falsa applicazione degli art. 2697 c.c., 7 del D.Lgs. 546/1992, 122 e 123 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.», per avere il Collegio di appello considerato inammissibile la documentazione prodotta dall’RAGIONE_SOCIALE, perché in lingua tedesca e non tradotta in lingua italiana.
Con il quinto motivo l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 del D.Lgs. 69/2003 nonché dell’art. 14 della Direttiva CE n. 2010/24/UE (già art. 12 della Direttiva CE 76/3081 successivamente modificato dalla Direttiva 2001/44/CE) e dell’art. 6 del cit., D.Lgs. 69/2003, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.», perché, in ogni caso, il giudice adito avrebbe dovuto rilevare la propria carenza di giurisdizione in merito alle contestazioni relativa al credito ed al titolo esecutivo formato dallo Stato tedesco, da sollevarsi avanti l’autorità giudiziaria di detto Stato, giusto il disposto dell’art. 6 del cit. D.Lgs. 69/2003».
L’esame del ricorso incidentale proposto dall’Amministrazione deve trovare precedenza, dovendosi esaminare previamente, per ordine logico, le censure relative al merito della vicenda rispetto a quella, sollevata dal contribuente, limitata alla questione della regolamentazione RAGIONE_SOCIALE spese di lite, in potenza destinata ad eventuale assorbimento.
Il primo, secondo e quarto motivo di ricorso, da esaminarsi unitariamente, in quanto, pur in relazione ai differenti profili evocati, attengono tutti al contenuto motivazionale della sentenza impugnata, sono fondati nei termini che seguono.
8.1. Con specifico riferimento alla doglianza proposta con il quarto motivo, si rileva che questa Corte, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, ha affermato che non vi è alcun obbligo di allegare, alla cartella di pagamento, la traduzione del titolo esecutivo estero per il quale si procede al recupero.
8.2. Invero, in base all’art. 5 del d.lgs. n. 69/2003 (che rappresenta attuazione della Direttiva n. 2001/44/CE, che aveva modificato la Direttiva 76/308/CEE, relativa all’assistenza reciproca in materia di recupero di crediti connessi al sistema di finanziamento del RAGIONE_SOCIALE, nonché ai prelievi agricoli, ai dazi doganali, all’IVA ed a talune accise), occorre distinguere due distinti momenti per il recupero dei crediti tributari derivanti da titoli stranieri.
In base ai commi 4 e 5 del citato art. del 5 d.lgs. n. 69/2003, infatti, l’autorità richiedente (quindi l’autorità estera) invia all’autorità adita, non appena ne sia a conoscenza, ogni informazione utile relativa al caso che ha motivato la domanda di recupero, e tale domanda, il titolo esecutivo e gli altri eventuali documenti «devono essere corredati da una traduzione in lingua italiana».
In base al successivo comma 8 dello stesso art. 5, invece, «per il recupero dei crediti di cui al presente decreto, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modifiche e nel decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, e successive modificazioni», e quindi, in sostanza, la procedura esattoriale.
8.3. L’obbligo di traduzione del titolo, quindi, riguarda il momento della trasmissione della domanda di assistenza nel recupero del credito da uno Stato membro ad un altro (quello al quale si chiede l’assistenza), e non già il momento (puramente interno) con il quale lo Stato italiano procede al recupero effettivo, che si fonda sulla procedura esattoriale e, quindi, sulla notificazione della cartella di pagamento, secondo le disposizioni di cui al d.P.R. n. 602/1973.
8.4. Tale impostazione, d’altronde, è coerente con l’art. 8, par. 1, della Direttiva 2001/44/CE, secondo il quale «il titolo
esecutivo per il recupero del credito è riconosciuto direttamente e trattato automaticamente come uno strumento che consente l’esecuzione di un credito dello Stato membro in cui ha sede l’autorità adita», e quindi con il principio per cui il titolo esecutivo si forma prima della notificazione della cartella, con la possibilità, inoltre, per il contribuente, di contestare il credito o il titolo esecutivo nello Stato membro richiedente, ai sensi RAGIONE_SOCIALE leggi ivi vigenti, ovvero di contestare (soltanto) gli atti della procedura esecutiva, secondo le disposizioni dell’ordinamento interno italiano (art. 6 d.lgs. n. 69/2003).
Va inoltre ricordato che, secondo il più recente e consolidato RAGIONE_SOCIALE di questa Corte, la regola dell’obbligatorietà della lingua italiana – nel processo tributario, come in quello civile -opera solo per gli atti processuali, ma non anche per i documenti prodotti dalle parti, relativamente ai quali il giudice ha, pertanto, la facoltà, e non l’obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore ex art. 123 cod. proc. civ., di cui si può fare a meno allorché non vi siano contestazioni sul contenuto del documento. La nomina di un traduttore si impone solo laddove vi sia contestazione sul contenuto dello stesso, non potendosi ritenere altrimenti non acquisiti i documenti prodotti in lingua straniera (cfr., Cass. 10 febbraio 2022, n. 5279; Cass., 22 giugno 2021, n. 17748; Cass., 16 giugno 2021, n. 17172; Cass., 9 novembre 2020, n. 24980; Cass., 5 novembre 2020, n. 24729; Cass., 6 giugno 2019, n. 15342; Cass., 31 gennaio 2018, n. 2395; Cass., 31 luglio 2017, n. 19076; Cass., 17 giugno 2015, n. 12525; Cass., 12 marzo 2013, n. 6093; Cass., 16 giugno 2011, n. 13249).
8.5. La Commissione regionale non si è attenuta ai richiamati principi e, di conseguenza, l’esplicita totale pretermissione dei suddetti documenti prodotti dall’RAGIONE_SOCIALE integra anche le violazioni di natura motivazionale dedotte dalla ricorrente.
È fondato anche il terzo motivo di ricorso.
In tema di recupero del credito tributario di altro stato dell’Unione europea, la disciplina pro tempore vigente sulla mutua assistenza prevista dal d.lgs. 9 aprile 2003, n. 69, attuativo della Direttiva 2001/44/CE del 15 giugno 2001, comporta che, una volta formatosi il titolo uniforme per l’esecuzione in un altro Stato membro, il decorso di un quinquennio dalla data di esigibilità del credito nello Stato richiedente non determina alcuna decadenza o prescrizione, verificandosi unicamente il venir meno dell’obbligo dello Stato italiano di prestare assistenza in favore del diverso Stato membro richiedente.
9.1. Prevede l’art. 8 del D.Lgs. cit. che «L’assistenza per le richieste di informazioni e di notifica e per il recupero dei crediti non ha luogo se il periodo intercorrente tra la formazione del titolo esecutivo nello Stato richiedente e la richiesta di recupero per il credito è superiore a cinque anni; qualora i crediti o i titoli esecutivi siano oggetto di contestazione, tale periodo decorre dalla data in cui lo Stato richiedente stabilisce che gli stessi non possano essere più oggetto di contestazione».
9.2. Come recentemente rilevato da questa Corte in merito alla disposizione, di analoga scrittura, contenuta all’art. 12 del d.lgs. n. 149 del 2012 – attuativo della Direttiva 2010/24/UE che ha sostituito la precedente disciplina comunitaria la ‘decadenza’ invocata, se non rispettato il termine quinquennale, è frutto di un equivoco (Cass. SU n. 34981 del 13/12/2023).
9.3. Il sintagma ‘non ha luogo’ non è affatto riconducibile al significante ‘decadenza’. Sarebbe stato intanto opportuno l’utilizzo di una terminologia esplicita, se l’intento fosse stato quello di attribuire effetti così radicali al decorso temporale, ed una perimetrazione più netta della fattispecie medesima, senza limitarsi a richiamare genericamente la ‘richiesta di assistenza’.
9.4. Soprattutto, è il contenuto della Direttiva 2001/44/CE, ed i cui contenuti non possono essere ignorati nell’esegesi della
disciplina nazionale, che depone per un diverso significato (come d’altronde da questa Corte rilevato in merito alla previsione, sul punto del tutto sovrapponibile, della successiva Direttiva 2010/24/UE, cfr. Cass. SU n. 34981 del 13/12/2023, cit.).
9.5. L’art. 14 della Direttiva 2001/44/CE prevede infatti che «L’Autorità adita (…) non è tenuta ad accordare l’assistenza prevista dagli articoli da 4 a 13, se la domanda iniziale ai sensi degli articoli 4, 5 o 6 si riferisce ai crediti di più di cinque anni, a decorrere dalla data in cui viene costituito il titolo esecutivo che consente il recupero ai sensi RAGIONE_SOCIALE disposizioni legislative, regolamentari e RAGIONE_SOCIALE prassi amministrative vigenti nello Stato membro in cui ha sede l’autorità richiedente fino alla data della domanda».
Dunque, secondo la terminologia utilizzata dalla normativa comunitaria, l’inutile decorso del quinquennio non comporta affatto la decadenza, ma, più semplicemente, il venir meno dell”obbligo’ di cooperazione al recupero del credito fiscale. Il che, dunque, importa che resta nella mera discrezione dello Stato membro adito procedere ugualmente nell’assistenza in favore dello Stato membro richiedente. Ove a ciò si determini, nessuna decadenza potrà essere eccepita.
9.6. Si tratta, in ultima analisi, non già di un termine procedimentale, previsto a pena di invalidità del processo di recupero coattivo del credito in uno Stato diverso da quello titolare del credito fiscale, ma, nella formazione di un accordo tra gli Stati membri europei, di un termine inteso a facilitare le procedure di recupero extraterritoriale di crediti per dazi o imposte, della fissazione di un limite oltre il quale gli Stati membri possono ritenersi svincolati dall’obbligo di esecuzione, nel proprio territorio, di titoli formati in un altro Stato oltre cinque anni prima.
9.7. Per superare i dubbi di legittimità costituzionale della disciplina, ancorché in tal senso interpretata, è sufficiente rilevare
che lo Stato adìto non è tenuto a dare attuazione a misure contrarie all’ordine pubblico, e pertanto a fornire assistenza amministrativa ove consideri la pretesa fiscale dello Stato richiedente contraria ai principi di tassazione generalmente accettati. Come evidenziato nella dottrina, il limite riceve ampia copertura non solo dai principi costituzionali, ma dalla Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1988, art. 22, comma 2. Ebbene, l’assistenza per il recupero di una pretesa fiscale ultradecennale costituirebbe già di suo una richiesta irricevibile, così che cade ogni timore di violazione di diritti costituzionalmente tutelati e tutelabili (cfr. Cass. SU n. 34981 del 13/12/2023, cit.)
10. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile, non essendo focalizzato sulla effettiva ratio decidendi espressa dai giudici di appello.
10.1. La giurisprudenza di questa Corte (Cass. SU, Sentenza n. 760 del 17/01/2006) ha avuto modo di affermare che «in tema di rapporti tra la giurisdizione italiana e quella tedesca in materia tributaria, la Convenzione tra Italia e Germania sull’assistenza giudiziaria in materia tributaria, approvata con r.d.l. 9 settembre 1938, n. 1676, – dettando un criterio successivamente recepito dall’art. 6 del d.lgs. 9 aprile 2003, n. 69, di attuazione della direttiva comunitaria 2001/44/CE, relativa tra l’altro al recupero di crediti connessi ai dazi doganali, all’IVA ed a talune accise – riserva alle autorità tedesche il compito di accertare la sussistenza dei crediti per imposte dovute in Germania, e quindi anche quello di pronunciarsi in ordine all’eventuale prescrizione del debito stesso; qualora peraltro, ai sensi dell’art. 10 della Convenzione, l’autorità tedesca si avvalga della facoltà di rivolgersi a quella italiana per la riscossione dell’imposta, l’autorità italiana deve procedere in conformità alla legge italiana, e quindi mediante la notificazione della cartella esattoriale, la cui impugnazione, trattandosi di un atto emesso da un’autorità italiana e regolato dalla legge italiana, deve
aver luogo dinanzi al giudice italiano; poiché in tal caso, pur essendo sorta all’estero, l’obbligazione è riconosciuta e recepita dalla nostra legge come obbligo tributario, e come tale è gestita dall’autorità italiana, la relativa controversia è devoluta al giudice ordinario, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come sostituito dall’art. 12 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, soltanto ove abbia ad oggetto gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifica della cartella di pagamento, restando altrimenti attribuita alla giurisdizione tributaria»; detto RAGIONE_SOCIALE è stato riaffermato (v. Cass. n. 19283 del 12/09/2014; Cass. n. 8931 dell’11/04/2018) essendosi ribadito che «in materia di crediti per tributi sorti negli Stati membri della Comunità europea, le condizioni previste dall’art. 346 bis, secondo comma, lett. b), del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (“ratione temporis” applicabile) non vanno accertate dall’Amministrazione italiana prima di procedere ad esecuzione forzata, ma devono essere solo attestate nella richiesta di assistenza reciproca avanzata dalla Amministrazione finanziaria dello Stato che ha emesso il titolo esecutivo, sicché, ove la richiesta contenga l’indicazione della data di esigibilità del credito, la dichiarazione di non contestazione del credito e del titolo esecutivo nello Stato emittente, nonché quella del mancato integrale recupero del credito in quello Stato malgrado l’azione esecutiva in esso intrapresa, l’Amministrazione italiana può dare corso all’azione di recupero, fermo restando che le contestazioni concernenti il merito dei suddetti elementi vanno indirizzate all’organo competente dello Stato creditore, poiché riguardano il titolo esecutivo estero e non la procedura di riscossione del credito in Italia».
10.2. Orbene, la CTR, indipendentemente dalla correttezza in punto di diritto RAGIONE_SOCIALE statuizioni espresse nella sentenza impugnata, non si è -indebitamente – pronunciata in merito alla esistenza e validità del credito tributario estero, ma bensì in ordine alla
sussistenza dei presupposti per la sua esecuzione da parte dell’Autorità italiana.
In conclusione, inammissibile il quinto motivo e fondati il primo, secondo terzo e quarto motivo, il ricorso incidentale dell’Amministrazione va accolto in relazione a tali censure, e nei termini di cui in motivazione.
Deve ritenersi assorbito il ricorso principale proposto del contribuente, attinente alla regolamentazione RAGIONE_SOCIALE spese di lite dei gradi di merito.
La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel rispetto dei principi sopra illustrati, nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso incidentale proposto dall’RAGIONE_SOCIALE nei termini di cui in motivazione, dichiara assorbito il ricorso principale proposto da NOME, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 23/05/2024.