Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30918 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30918 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29216/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL PIEMONTE n. 218/2021 depositata il 14/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di elettrodomestici ed elettronica, impugnava l’avviso di accertamento mirato a recuperare importi, Ires, Irap e Iva relativamente all’anno 2013. L’atto impositivo contestava operazioni soggettivamente inesistenti, poste in essere con il coinvolgimento di una società c.d. ‘cartiera’ -soggetto interposto, denominata RAGIONE_SOCIALE, figurante quale fornitore; contestava anche la fatturazione per operazioni intracomunitarie inesistenti.
L’avviso poggiava su tre distinti pvc, rispettivamente del 29 settembre 2015, del 29 gennaio 2016 e del 16 maggio 2017.
La CTP di Milano rigettava il ricorso della contribuente.
Non miglior sorte assisteva il successivo appello di quest’ultima, del pari respinto.
Il ricorso per cassazione della RAGIONE_SOCIALE è affidato ora a quindici motivi di ricorso e memoria . L’Agenzia resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c., per motivazione meramente apparente in ordine all’accertamento del giudice di primo grado delle ‘ circostanze di fatto che sosterrebbero in punto di motivazione la compiuta descrizione della frode contestata e in ordine all’esame da parte di tale giudice dei motivi di ricorso .
Il motivo non coglie nel segno e va disatteso.
La CTR si è soffermata su tutte le circostanze sottese alla vicenda dedotta in giudizio, illustrando la ratio decidendi a sostegno della
statuizione assunta, non attraverso un’acritica adesione alla sentenza emessa in prime cure, ma mediante un autonomo percorso argomentativo.
La sentenza d’appello può essere motivata “per relationem”, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (Cass. n. 20883 del 2019; Cass. n. 28139 del 2018).
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta ex art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c., per omessa motivazione meramente apparente ‘ in ordine all’eccepita omessa motivazione dell’avviso impugnato circa l’omessa motivazione in merito all’accertamento in concreto della sufficiente deduzione da parte dell’avviso circa i presupposti di conoscenza o conoscibilità da parte della contribuente accertata, delle frodi asseritamente perpetrate dalla dante causa RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è inammissibile.
Consta un accertamento di fatto reso dal giudice d’appello, a tenore del quale ‘ l’avviso di accertamento impugnato contiene in modo esaustivo i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato ‘, anche tenuto conto dei pvc ‘ già pienamente noti alla parte ‘ e all’esposizione, nel corpo dell’atto impositivo, degli ‘ elementi più importanti emersi nel corso delle verifiche ‘.
A fronte del riassunto accertamento, la censura volge alla inammissibile richiesta a questa Corte di un nuovo esercizio di un sindacato di merito, invero riservato alla CTR e già da quest’ultima espresso.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione della Direttiva
2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ‘ per avere la sentenza impugnata ritenuto che la contribuente sia stata posta nelle condizioni di esercitare in maniera effettiva il proprio diritto di difesa nei confronti della pretesa erariale motivata sulla base di procedimenti di indagini di polizia giudiziaria e amministrativi di contestazione effettuati nei confronti di terzi soggetti, procedimenti rispetto ai quali la parte privata non ha mai avuto difficoltà di accesso e verifica’ .
Il motivo è inammissibile.
Il nucleo motivazionale della sentenza d’appello è imperniato sul richiamo del contenuto di p.v.c. ‘ pienamente noti alla parte, in quanto notificati in epoca ben precedente all’emissione dell’atto ‘, ossia di ‘ risultanze processuali nel loro complesso considerate ‘ già nella piena disponibilità della contribuente.
A questo accertamento di fatto in ordine alla piena conoscenza/conoscibilità degli elementi alla base dell’accertamento, la contribuente contrappone, non una reale difformità rispetto ad un paradigma normativo, ma una diversa, inammissibile ricostruzione del merito della vicenda.
Con il quarto motivo di ricorso si contesta, ex art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione deli artt. 41bis , 43, co. 3, d.P.R. n. 600 del 1973, 54, co. 5, e 57, co. 4, d.P.R. n. 633 del 1972 ‘ per avere la CTR Lombardia ritenuto la sussistenza di un accertamento parziale in luogo di un accertamento integrativo, con conseguente errata declaratoria di legittimità dello stesso avviso di accertamento, fondato su fatti già emersi al momento dell’emissione del precedente avviso di accertamento e in assenza della specificazione di elementi nuovi sopraggiunti ‘.
Il motivo è infondato.
La contribuente insiste nel qualificare come avviso integrativo l’atto oggetto dell’odierna controversia.
In realtà, la CTR ha precisato con chiarezza che l’avviso di accertamento di cui si discute ha natura di accertamento parziale. D’altronde, il primo avviso del 2013 contiene un perspicuo riferimento all’art. 54, co. 5, d.P.R. n. 633 del 1972, che appunto contempla l’avviso parziale ai fini Iva. Pertanto, viene meno in radice la violazione normativa adombrata.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, ex art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 109 TUIR e 42 d.P.R. n. 600 del 1973, per avere ‘ la CTP ritenuto l’indeducibilità dei costi certi agli atti a fronte della contestazione ai fini delle II.DD. di inesistenza soggettiva e non oggettiva delle operazioni fatturate, in assenza di alcun profilo di indeducibilità dedotto in sede di avviso di accertamento’.
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, ex art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c., nonché degli artt. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e 156 c.p.c., ‘ per contraddittoria motivazione in ordine alla deducibilità dei costi ai fini delle II.DD. ‘. I motivi quinto e sesto, suscettibili di trattazione unitaria per intima connessione, sono infondati e vanno respinti.
L’indeducibilità è stata specificamente affermata dalla CTR avuto riguardo alla ‘ omessa risposta all’invito ‘ dell’Ufficio e alla ‘ mancata produzione della documentazione richiesta ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 ‘. In buona sostanza, la statuizione relativa ai costi è correlata all”omessa risposta dei dati richiesti dall’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento fiscale comporta, ex art. 32, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973.
Benché condivisibile nel suo esito, la sentenza d’appello va corretta in punto di motivazione, ai sensi dell’art. 384, ult. co., c.p.c., in ossequio ad un principio di economia processuale, quale riflesso della garanzia costituzionale del giusto processo.
Invero, sebbene in tema di operazioni soggettivamente inesistenti i costi siano, in linea di principio, deducibili, tuttavia ne va dimostrata l’effettività e l’inerenza ex art. 109 TUIR. Non consta che la società abbia dato prova della effettività e dell’inerenza dei costi. In tal senso, la ricorrente ha disatteso un proprio preciso incombente. Invero, è onere del contribuente provare l’inerenza, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi sopportati; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.
Con il settimo motivo di ricorso si lamenta, ex art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c., nonché degli artt. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e 156 c.p.c., per motivazione meramente apparente ‘ in relazione al motivo di ricorso avente ad oggetto l’illegittima integrazione ex post della motivazione dell’avviso di accertamento per cui è causa tramite l’affermazione di fatti privi di precisi riferimenti di fatto e documentali ‘.
Il motivo è inammissibile.
Esso manca di specificità in relazione alla porzione che avrebbe comportato l” eterointegrazione’ dell’avviso oggetto di causa.
Inoltre, la motivazione della sentenza d’appello s’incardina sul richiamo del contenuto di p.v.c. ‘ pienamente noti alla parte, in quanto notificati in epoca ben precedente all’emissione dell’atto ‘, ossia di ‘ risultanze processuali nel loro complesso considerate ‘ già nella piena disponibilità della contribuente.
Con l’ ottavo motivo di ricorso si lamenta, ex art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. n. 60 del 1973, ‘ per avere la sentenza impugnata ritenuto che la dichiarazione di non imputabilità dell’omessa produzione in sede procedimentale dei
documenti richiesti possa essere oggetto di valutazione discrezionale o comunque nel merito ‘.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha affermato condivisibilmente che la mancata esibizione di atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento, nella fase amministrativa che abbia preceduto il giudizio, impedisce di prenderne in considerazione il contenuto a favore del contribuente. La previsione può essere superata dal deposito successivo degli stessi, in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa; qualora tuttavia l’Amministrazione neghi o contesti tale pur tardiva produzione, il contribuente, al fine di rendere inoperanti le cause di inutilizzabilità, deve produrre in giudizio la documentazione prima non esibita, nel rispetto dei termini e delle modalità indicate dall’art. 32, co. 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, competendo all’autorità giudiziaria vagliare, non solo la regolarità dei documenti e delle sue modalità di produzione, ma anche la sussistenza e la congruità della dichiarazione allegata di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici ‘ per causa a lui non imputabile ” (Cass. n. 6617 del 2021). L’unico modo per il contribuente di rendere inoperanti le cause di inutilizzabilità è, in altri termini, quello descritto nell’attuale co. 5 dell’art. 32 e consiste nella produzione in giudizio della documentazione prima non esibita, nel rispetto dei termini e delle modalità ivi indicate (Cass. n. 2850 del 2019). Solo l’autorità giudiziaria può infatti vagliare la regolarità dei documenti e delle sue modalità di produzione, nonché la sussistenza e la congruità della dichiarazione allegata ” di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile “. Nella specie, la CTR ha apprezzato l’insussistenza della non imputabilità e l’odierna ricorrente non ha efficacemente confutato tale affermazione, espressa nell’esercizio di un sindacato di merito non replicabile in questa sede.
Con il nono motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c. ‘ per omessa o apparente motivazione in ordine all’accertamento della reale sussistenza della frode contestata, con riguardo all’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate e alla buona fede della contribuente e in ordine alla prova contraria effettivamente fornita dalla contribuente ‘.
Il motivo è infondato ed esige il rigetto.
La CTR ha valorizzato plurime circostanze a supporto dell’inesistenza soggettiva delle operazioni, tra cui l’omessa presentazione da parte dei fornitori delle dichiarazioni fiscali, l’omessa tenuta da parte loro della contabilità, la legale rappresentanza affidata a ‘ teste di legno ‘ (così testualmente), l’assenza di struttura operativa, logistica ed imprenditoriale.
Sulla scorta di questi convergenti profili, la CTR ha presunto la mancanza di buona fede della contribuente.
In tal senso, il giudice regionale ha fatto corretta applicazione del principio nomofilattico affermato da questa Corte, alla cui stregua ‘ In tema di contenzioso tributario, l’Amministrazione finanziaria, ove contesti al cessionario/committente l’assenza di buona fede in caso di irregolarità fiscali o di evasione, ha l’onere di allegare e provare gli elementi probatori su cui si fonda la contestazione, tra i quali possono rilevare, in via indiziaria, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione. In tal caso, conseguentemente, grava in capo al contribuente l’onere di provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione non fosse il fatturante ma altri ‘ (Cass. n.
30148 del 2017; v. anche Cass. n. 17173 del 2018). Questa Corte ha anche puntualmente affermato che ‘ In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 9851 del 2018; Cass. n. 15369 del 2020).
Con il decimo motivo di ricorso si contesta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione della Direttiva 1006/112/CE e dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, ‘ in relazione alla prova contraria richiesta nella specie trascendente la regolarità cartolare dell’operazione ‘.
Il motivo è infondato.
Diversamente da quanto opinato dalla contribuente giova considerare l’insufficienza della regolarità formale dell’operazione a provare la diligenza del contribuente.
Questa Corte ha condivisibilmente affermato, infatti, che ‘ In tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare,
anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 24471 del 2022).
Con l’ undicesimo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 38 e ss. d.P.R. n. 600 del 1973, 19 ss. d.P.R. n. 633 del 1972, 2697 e 2729 c.c., in relazione all’omessa prova da parte dell’Ufficio dell’inesistenza soggettiva delle operazioni per cui è causa e della asserita frode presupposta in relazione all’indebita inversione dell’onere probatorio in capo al contribuente circa la relativa incolpevole buona fede.
Il motivo è infondato.
La CTR ha, infatti, ricostruito la frode, valorizzando elementi presuntivi idonei a dar conto dell’inesistenza soggettiva delle operazioni. Questa Corte ha osservato ancor di recente che ‘ In particolare, la mancanza di struttura e di logistica divengono profilo sintomatico della fittizietà delle operazioni sul piano soggettivo. In questo quadro, il giudice regionale ha fatto rigorosa applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità nel versante di riferimento. In tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione
finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 24471 del 2022). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della detrazione dell’IVA, ‘ l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la
diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi’ (Cass. n. 9851 del 2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda; conf., tra le tante, Cass. n. 11873 del 2018; Cass. n. 17619 del 2018; Cass. n. 15369 del 2020) .
Con il dodicesimo motivo di ricorso si contesta la violazione o falsa applicazione degli artt. 19 d.P.R. n. 633 del 1973, 17 nn. 2 e 6, 18 e 22 della Sesta Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, ‘ per avere la sentenza impugnata confermato l’illegittima ripresa a tassazione di un’imposta effettivamente versata dalla contribuente ‘.
Il motivo è infondato.
La CTR ha escluso la detraibilità dell’IVA avuto riguardo alla ritenuta fittizietà soggettiva delle operazioni. Da ciò derivava l’insussistenza dei presupposti della detrazione, i quali muovono dalla necessaria salvaguardia del principio di neutralità dell’IVA. In caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente che intenda detrarre l’IVA la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal
fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.
Con il tredicesimo motivo di ricorso si contesta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 12 D.Lgs. n. 472 del 1997, 18 e 19 D.Lgs. n. 546 del 1992, 112 c.p.c., 24 Cost., ‘ per avere la CTR Piemonte escluso l’applicazione alla specie l’istituto della continuazione in presenza di più avvisi di accertamento per diverse annualità recanti sanzioni della stessa indole, processualmente dedotti e documentali nel presente giudizio, sulla base dell’ipotetica mancanza di qualità di ‘ultimo giudice’ immaginata in astratto al di fuori del concreto complessivo contesto sanzionatorio risultante in atti ‘.
Il motivo è infondato.
La CTR ha osservato di non essere il ‘ giudice che prende in cognizione dell’ultimo atto di irrogazione sanzioni ‘, escludendo l’applicazione del regime della continuazione invocato.
In tal senso, la commissione si è posta nel solco del principio espresso da questa Corte, a tenore del quale ‘ in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai sensi dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997, in caso di processi separati relativi ad avvisi contenenti irrogazione di sanzioni della stessa indole, commesse in periodi di imposta diversi, l’ultimo giudice è competente a rideterminare la “sanzione complessiva” fino a che le precedenti sentenze non siano passate in giudicato (Cass. n. 5648 del 2020; Cass. n. 9501 del 2017).
Con il quattordicesimo motivo di ricorso si censura, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 7, co. 3, e 12, co. 5, D.Lgs. n. 472 del 1997, ‘ per avere la sentenza impugnata ritenuto applicabile alla specie l’istituto della recidiva in assenza di un accertamento definitivo per effetto di una pronuncia giurisdizionale ovvero della mancata impugnazione della contestazione delle violazioni della stessa indole antecedenti ‘.
Il motivo è fondato e va accolto.
Infatti, In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, la recidiva di cui all’art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, presuppone un definitivo accertamento della violazione antecedente della stessa indole per effetto di una pronuncia giurisdizionale, ovvero della mancata impugnazione della contestazione, con la conseguente compatibilità, ricorrendone i presupposti, dell’istituto del cumulo giuridico (Cass. n. 5115 del 2024; Cass. n. 13742 del 2019).
Con il quindicesimo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione, ai sensi degli artt. 7 e 16 D.Lgs. n. 472 del 1997, ‘ per avere ritenuto la legittimità di un provvedimento sanzionatorio motivato in modo apodittico senza alcun riferimento alle modalità di condotta del contribuente ‘.
Il motivo non coglie nel segno e va disatteso.
La CTR ha diffusamente motivato, sia in punto di parametri adottati, sia in punto di metodologia impiega, in relazione al trattamento sanzionatorio.
Con ogni evidenza la ricorrente, sotto le mentite spoglie del vizio di violazione di legge, lungi dall’adombrare un attrito rispetto ad un paradigma normativo di riferimento, invoca una riconsiderazione in parte qua del merito della controversia, postulando un sindacato invero precluso nella presente sede.
In definitiva, va accolto il quattordicesimo motivo di ricorso, disattese le altre censure. La sentenza va cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa rinviata per un nuovo esame alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il quattordicesimo motivo di ricorso, respinte le altre censure; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa per un nuovo esame alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 07/11/2024.