Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19015 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19015 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO -PROCEDURA DI COLLABORAZIONE VOLONTARIA PER CAPITALI DETENUTI ALL’ESTERO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15130/2020 R.G. proposto da: COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, alla INDIRIZZO è elettivamente domiciliato;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELL ‘UMBRIA n. 248/02/2019, depositata in data 4/11/2019;
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella camera di consiglio del 22 maggio 2025;
Fatti di causa
In data 22/12/2015, il Sig. NOME COGNOME (d’ora in poi, anche ‘il contribuente’ ) presentò istanza di voluntary disclosure per regolarizzare la propria posizione fiscale in relazione a somme depositate in contanti su conti di banche svizzere, negli anni 2010, 2011, 2012 e 2013.
Il contribuente specificò che tali somme erano riconducibili in parte a ricavi in nero prodotti negli anni precedenti al 2010, in parte erano somme non dichiarate dalle società collegate al contribuente, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Anche tali società avevano prodotto domanda di voluntary disclosure ai sensi dell’art. 5 -quater del d.l. n. 167 del 1990 per i periodi d’imposta 2010, 2011, 2012, 2013.
In seguito alla presentazione dell’istanza, il competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate emise nei confronti di NOME COGNOME un atto di contestazione per mancata compilazione del quadro RW, notificato il 24/10/2016; degli inviti al contraddittorio per gli anni 2010-2013, notificati il 24/10/2016, con la relativa liquidazione delle imposte, sanzioni e interessi per redditi derivanti da attività finanziarie detenute all’estero e da redditi di partecipazione liquidati sulla base dell’istanza di voluntary disclosure presentata dal contribuente.
L’Ufficio riconobbe in favore del COGNOME solo le somme dichiarate dalle due indicate società nel corso delle rispettive voluntary disclosure , ritenendo che l’eccedenza dei contanti versati rispetto a tali importi fossero qualificabili come redditi diversi prodotti dal contribuente ai
sensi dell’art. 67 Tuir, tenendo anche conto che lo stesso era, all’epoca, rappresentante legale e titolare di quote di partecipazione di due società (RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Giovanni e la RAGIONE_SOCIALE), attive nei periodi d’imposta in esame e c he non avevano presentato istanza per accedere alla procedura di collaborazione volontaria.
In sostanza venne contestata l’omessa dichiarazione di redditi diversi presuntivamente conseguiti, ex art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, per gli anni 2010, 2011, 2012 e 2013.
In seguito al mancato perfezionamento della procedura di collaborazione volontaria, il 18/9/2017 l’Agenzia delle Entrate di Terni notificò al contribuente un invito a comparire.
Quest’ultimo, esaurita la procedura di voluntary disclosure , il 2/10/2017, anteriormente alla notifica degli avvisi di accertamento, presentò dichiarazioni integrative avvalendosi del ravvedimento operoso, riconoscendo la correttezza di parte delle contestazioni contenute negli inviti notificati dall’ufficio il 24/10/2016, integrando le proprie dichiarazioni per gli anni 2010, 2011, 2012 e 2013.
In seguito, l’Agenzia delle Entrate notificò al contribuente gli avvisi di accertamento per gli anni dal 2010 al 2013, con i quali contestò allo stesso l’omessa contabilizzazione dei redditi diversi sulla base delle risultanze della procedura di voluntary disclosure non conclusa positivamente, al netto delle somme versate in sede di dichiarazioni integrative.
Il contribuente propose distinti ricorsi per le varie annualità d’imposta alle quali si riferivano gli avvisi di accertamento.
La C.T.P. di Terni rigettò i ricorsi.
Su distinti appelli del contribuente, la C.T.R. dell’Umbria, previa riunione, accolse -con la sentenza richiamata in epigrafe – le doglianze solo con riferimento all’anno d’imposta 2010 per difetto di motivazione
circa il mancato rispetto degli ordinari termini di decadenza da parte dell’amministrazione.
Avverso la sentenza d’appello, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 d.lgs. n. 472 del 1997, art. 2, comma 8 del d.P.R. n. 322 del 1998 e degli artt. 5 e 5 quinquies del d.l. n. 167 del 1990 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , il contribuente deduce che, prima della notificazione degli avvisi di accertamento in seguito al fallimento della procedura di voluntary disclosure , aveva presentato, avvalendosi del ravvedimento operoso, dichiarazioni integrative per tutti gli anni in questione (2010-2013), versando poi le relative imposte, come riconosciuto anche dall’ufficio negli atti impositivi impugnati.
Rappresenta che l ‘ufficio non a veva ritenuto valide dette dichiarazioni ed aveva provveduto ad accertare maggiori somme a titolo d’imposta (al netto delle somme versate con le dichiarazioni integrative), sanzioni (in misura piena) e interessi.
Il contribuente si duole che la C.T.R. non gli abbia riconosciuto gli effetti premiali del ravvedimento operoso, adducendo quale motivazione che l’omessa compilazione del quadro relativo ai redditi esteri comporterebbe l’impossibilità giuridica di accedere alla misura premiale.
1.1. Il motivo è infondato.
Il contribuente, fermo restando che la procedura da lui attivata di voluntary disclosure non andò a buon fine, integrò le dichiarazioni dei redditi relative ai periodi per i quali avrebbe voluto fruire dei benefici
della collaborazione volontaria, chiedendo di trarre da tali volontarie integrazioni i vantaggi del ravvedimento operoso.
Senonché, la prospettazione del contribuente non può essere accolta, anche se per motivi diversi da quelli indicati nella sentenza d’appello.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, la riduzione della sanzione per il ravvedimento operoso è condizionata al fatto che la violazione commessa ‘non sia stata già constatata’.
Orbene, il ‘disvelamento’ all’amministrazione di somme detenute all’estero da parte del contribuente ai fini dell’accesso alla procedura di voluntary disclosure, poi non andata a buon fine, non può che comportare la ‘constatazione’ della violazione, da parte del contribuente, delle norme relative al ‘monitoraggio fiscale’ e all’imposizione dei redditi prodotti, all’estero, da quelle somme, con la conseguenza che al contribuente è inibita la possibilità di avvalersi dell’istituto del ravvedimento operoso.
2.Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 1, comma 132, della legge n. 208 del 2015, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. (in riferimento alla decadenza eccepita per il periodo d’imposta 2011)’ , il contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, con riferimento all’anno 2011, non ha accolto l’eccezione di decadenza dal potere accertativo dell’amministrazione: la notificazione dell’atto impositivo sarebbe avvenuta o ltre i termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, senza alcuna motivazione che giustificasse il superamento del termine previsto dalla legge.
Il contribuente deduce che il mancato accoglimento dell’eccezione di decadenza spiegata con riferimento all’anno 2011 sia dipeso dall’erronea affermazione, resa dalla C.T.R., secondo la quale il termine di decadenza stabilito dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 fosse fissato al ’31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è
stata presentata la dichiarazione’, mentre, ratione temporis , quel termine sarebbe scaduto il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui era stata presentata la dichiarazione, con la conseguenza che l’avviso di accertamento relativo al 2011, essendo stato notificato nel 2017, sarebbe stato tardivo.
2.1. Il motivo è infondato.
In seguito all’entrata in vigore della legge n. 208 del 2015, l’elevazione da quattro a cinque anni, successivi a quello della presentazione della dichiarazione fiscale, del termine ordinario di decadenza per la notifica degli avvisi di accertamento ha riguardato, ai sensi dell’art. 1, comma 132 della detta legge del 2015, ‘gli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi. Per i periodi d’imposta precedenti, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata’ .
Ne consegue che, con riferimento al periodo d’imposta 2011, il termine ordinario di decadenza per la notifica degli avvisi di accertamento nel caso (come quello che ci occupa) in cui la dichiarazione era stata (nel 2012) presentata sarebbe scaduto, secondo la disciplina ordinaria di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione, dunque il 31 dicembre 2016.
Tuttavia, come rilevato anche dall’Agenzia delle Entrate nel controricorso, nel caso di specie si applica la lex specialis di cui all’ art. 12, comma 2-bis, del d.l. n. 78 del 2009, conv. nella legge n. 102 del 2009, con il conseguente raddoppio dei termini previsti dal citato art.
43 del d.P.R. n. 600 del 1973 (v. Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 17928 del 23/06/2021).
L’amministrazione, dunque, con riferimento all’anno 2011 non era decaduta dalla potestà di accertamento.
3.Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, coma 1, n. 5 c.p.c. (in riferimento alla documentazione prodotta in atti dal contribuente)’ , il contribuente si duole che la C.T.R. non abbia valutato delle prove dalle quali sarebbe emersa l’infondatezza della pretesa erariale.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Esso tende ad una rivalutazione de i fatti posti dall’amministrazione a sostegno della ripresa fiscale e già oggetto di esame da parte del giudice di appello.
In particolare, la C.T.R. ha correttamente spiegato che la discrepanza quantitativa tra le somme depositate sui conti correnti svizzeri e quelle oggetto della procedura di voluntary disclosure , non andata a buon fine, giustifica la presunzione che le somme detenute all’estero fossero il frutto di evasione fiscale.
Tale presunzione, secondo il giudice d’appello, non è stata vinta con prove idonee e specifiche.
Si tratta di una motivazione congrua di un giudizio di fatto, il cui svolgimento e i cui esiti non possono essere devoluti in sede di legittimità.
Con il quarto motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 46 del 1992, dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (motivazione assente ovvero motivazione apparente)’ , il contribuente si duole che il giudice di appello non avrebbe provveduto rispetto a domande ed eccezioni svolte, considerandole assorbite.
4.1. Premesso che il mezzo d’impugnazione, per come proposto, avrebbe dovuto far valere non il vizio di motivazione, ma l’omessa pronuncia, esso è infondato.
Il giudizio tributario contro un atto impositivo nasce dall’esercizio di un’azione costitutiva, tesa all’eliminazione dell’atto impugnato, non da un’azione di condanna.
Una statuizione di condanna nell’ambito del giudizio tributario sarebbe, al più, possibile solo nel caso in cui il contribuente impugni il silenzio rifiuto su una domanda di rimborso o il diniego espresso su una domanda di rimborso.
Senonché in questa sede si controverte sulla legittimità di avvisi di accertamento e delle sottostanti riprese fiscali, sicché solo una volta che gli avvisi impugnati fossero annullati, il contribuente potrebbe prima chiedere in via amministrativa il rimborso delle somme incamerate senza titolo per poi, eventualmente, agire impugnando il silenzio rifiuto o il diniego espresso di rimborso.
Conclusivamente, il ricorso è integralmente infondato.
Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, d à atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 22 maggio 2025.