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Ravvedimento operoso: no se la voluntary fallisce

La Corte di Cassazione ha stabilito che un contribuente non può beneficiare delle sanzioni ridotte previste dal ravvedimento operoso se ha precedentemente tentato, senza successo, di regolarizzare la propria posizione tramite la procedura di voluntary disclosure. L’aver avviato tale procedura equivale a una “constatazione” della violazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, precludendo così l’accesso al ravvedimento. La sentenza chiarisce inoltre che per i capitali detenuti all’estero si applica il raddoppio dei termini di accertamento.

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Pubblicato il 27 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Ravvedimento Operoso Post-Voluntary Disclosure: La Cassazione Nega i Benefici

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un’importante questione relativa ai rapporti tra la procedura di collaborazione volontaria (c.d. voluntary disclosure) e l’istituto del ravvedimento operoso. La decisione chiarisce che il fallimento della prima preclude l’accesso ai benefici del secondo, delineando un principio di non ritorno per chi decide di svelare al Fisco i propri capitali esteri.

Il Caso: Dalla Voluntary Disclosure all’Accertamento Fiscale

Un contribuente, per regolarizzare somme depositate su conti svizzeri e non dichiarate per gli anni dal 2010 al 2013, aveva presentato istanza di voluntary disclosure. La procedura, tuttavia, non si era perfezionata. A seguito di ciò, l’Agenzia delle Entrate aveva avviato i suoi controlli.

Anticipando la notifica degli avvisi di accertamento, il contribuente aveva presentato dichiarazioni integrative per le stesse annualità, avvalendosi del ravvedimento operoso e versando le relative imposte. Ciononostante, l’Amministrazione Finanziaria ha emesso gli avvisi di accertamento, contestando ulteriori somme e applicando sanzioni in misura piena, senza riconoscere gli effetti premiali del ravvedimento.

Il caso è approdato in Cassazione dopo che le Commissioni Tributarie di merito avevano parzialmente confermato la pretesa del Fisco.

I Motivi del Ricorso e la Posizione del Contribuente

Il contribuente ha basato il suo ricorso su quattro principali motivi:
1. Errata esclusione del ravvedimento operoso: Sosteneva di avere diritto alle sanzioni ridotte, avendo presentato le dichiarazioni integrative prima della notifica degli atti impositivi.
2. Decadenza del potere di accertamento: Riteneva che l’accertamento per l’anno 2011 fosse stato notificato oltre i termini di legge.
3. Omesso esame delle prove: Lamentava che i giudici di merito non avessero considerato la documentazione prodotta a sua difesa.
4. Vizio di motivazione: Contestava la mancata pronuncia su alcune delle sue richieste.

L’Analisi della Corte e il diniego del Ravvedimento Operoso

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso. Il punto cruciale della decisione riguarda il primo motivo. I giudici hanno chiarito che, ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 472/1997, il ravvedimento operoso è ammesso solo se la violazione “non sia stata già constatata”.

Secondo la Corte, il “disvelamento” delle somme detenute all’estero, effettuato dal contribuente stesso ai fini dell’accesso alla voluntary disclosure, costituisce di per sé una “constatazione” della violazione. Anche se la procedura non è andata a buon fine, l’Amministrazione è venuta a conoscenza dell’illecito. Questa conoscenza preclude in modo definitivo la possibilità per il contribuente di avvalersi successivamente del ravvedimento operoso per mitigare le sanzioni. In pratica, una volta aperta la porta della collaborazione volontaria, non è possibile richiuderla e fingere che nulla sia accaduto per beneficiare di un altro istituto premiale.

Decadenza e Raddoppio dei Termini

Anche il motivo relativo alla decadenza è stato respinto. La Corte ha ricordato che, per le violazioni relative a investimenti e attività finanziarie detenute all’estero, si applica una lex specialis (art. 12, co. 2-bis, D.L. 78/2009) che prevede il raddoppio dei termini ordinari di accertamento. Di conseguenza, l’avviso di accertamento per il 2011, notificato nel 2017, era pienamente legittimo e tempestivo.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su un’interpretazione rigorosa della normativa. La ratio della preclusione al ravvedimento risiede nel fatto che l’istituto è pensato per incentivare la regolarizzazione spontanea prima che il Fisco abbia qualsiasi sentore della violazione. L’istanza di voluntary disclosure, pur essendo un atto volontario, porta la violazione alla formale conoscenza dell’autorità fiscale. Questo atto informativo esaurisce la spontaneità richiesta dalla norma sul ravvedimento. Pertanto, il fallimento della procedura di collaborazione non “resetta” la situazione, ma lascia l’Amministrazione nella piena consapevolezza dell’illecito e libera di procedere con l’accertamento ordinario e l’applicazione delle sanzioni piene.
Per quanto riguarda la decadenza, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: la detenzione di capitali non dichiarati in Paesi non collaborativi giustifica un allungamento dei tempi a disposizione del Fisco per i controlli, data la maggiore difficoltà nel reperire le informazioni. Gli altri motivi sono stati giudicati inammissibili o infondati, in quanto tendenti a una rivalutazione dei fatti di merito, non consentita in sede di legittimità, o basati su un’errata concezione della natura del processo tributario.

le conclusioni

La pronuncia ha importanti implicazioni pratiche per contribuenti e professionisti. Emerge con chiarezza che la scelta di avviare una procedura di voluntary disclosure è un passo senza ritorno. Se la procedura fallisce per qualsiasi motivo, non solo non si ottengono i benefici sperati, ma si perde anche la possibilità di ricorrere al ravvedimento operoso come “piano B”. Il contribuente si trova così esposto all’azione accertativa del Fisco con l’applicazione delle sanzioni nella loro misura massima. La sentenza sottolinea l’importanza di una valutazione attenta e completa prima di intraprendere la via della collaborazione volontaria, poiché un passo falso può avere conseguenze molto onerose.

È possibile utilizzare il ravvedimento operoso dopo il fallimento di una procedura di voluntary disclosure?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la presentazione dell’istanza di voluntary disclosure costituisce una “constatazione” della violazione da parte dell’Amministrazione finanziaria. Questo preclude la possibilità di accedere successivamente ai benefici del ravvedimento operoso, poiché manca il requisito della spontaneità prima che la violazione sia nota al Fisco.

Quali sono i termini di accertamento per i capitali detenuti all’estero e non dichiarati?
Per le violazioni riguardanti attività finanziarie detenute illegalmente all’estero, si applica una normativa speciale (lex specialis) che prevede il raddoppio dei termini ordinari di decadenza per l’accertamento fiscale. Pertanto, l’Amministrazione finanziaria ha un periodo di tempo più lungo per notificare gli atti impositivi.

Cosa succede quando un contribuente avvia una procedura di voluntary disclosure?
Avviando la procedura, il contribuente “disvela” al Fisco l’esistenza di capitali e violazioni fino a quel momento sconosciute. Questo atto, anche se la procedura non si perfeziona, fa venire meno la possibilità di beneficiare di altri istituti premiali come il ravvedimento operoso, che si fondano sulla completa spontaneità della regolarizzazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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