Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3780 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3780 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 14/02/2025
Irpef, Iva, 2007 -Contraddittorio -Inammissibilità ricorso.
ORDINANZA
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
sul ricorso iscritto al n. 6797/2019 R.G. proposto da: contro
COGNOME NOME
-intimato – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise n. 591/2018 depositata in data 14/09/2018, non notificata; adunanza camerale del 20/12/2024
udita la relazione della causa nell ‘ tenuta dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale del Molise rigettò l’appello erariale contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Campobasso che, accogliendo il ricorso del contribuente NOME COGNOME
COGNOME, esercente attività di noleggio di mezzi di trasporto marittimo e fluviale, aveva annullato l’avviso di accertamento con cui erano stati accertati nei suoi confronti maggiori ricavi per l’anno d’imposta 2007 a fini Irpef e Iva. In particolare si evidenziava che la sentenza di primo grado aveva annullato l’avviso di accertamento per l’ omessa instaurazione del contraddittorio procedimentale, questione ben diversa dalla necessità o meno dell’invito a rendere chiarimenti in sede di indagini bancarie, tan to più che l’accertamento si basava non solo su queste ultime ma anche su quelle patrimoniali, ai sensi dell’art. 38, commi 4 e 5, d.P.R. n. 600 del 1983, e che sul punto l’ufficio non aveva proposto alcuno specifico motivo di doglianza, a prescindere dalla correttezza o meno della decisione impugnata.
L ‘Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La parte intimata non svolge attività difensiva. La causa è stata fissata per l’adunanza camerale de l 20/12/2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente occorre rilevare che il ricorso risulta notificato sia a mezzo posta in data 4 marzo 2019 che a mezzo p.e.c. in data 21 febbraio 2019 sempre ad NOME COGNOME indicato come difensore del contribuente nella intestazione del ricorso; dalla intestazione della sentenza impugnata risulta però che il difensore del contribuente nel giudizio di appello fosse NOME COGNOME
Ciò non osta alla definizione del ricorso, alla luce del principio per cui il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del
processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso prima facie infondato o inammissibile (come nella specie, per quanto appresso precisato), appare superflua, pur potendone sussistere i presupposti, la fissazione del termine per l’integrazione del contraddittorio ai predetti, ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (Cass. 8/02/2010, n. 2723; Cass., Sez. U., 22/03/2010, n. 6826; Cass. 13/10/2011, n. 21141; Cass. 17/06/2013, n. 15106; Cass. 21/05/2018, n. 12515).
Il ricorso si rivela infatti inammissibile, essendo inammissibili tutti i suoi motivi che non colgono l’effettiva ratio decidendi , che è di natura processuale, connessa alla mancata impugnazione della decisione dei primi giudici fondata sulla violazione del contraddittorio.
La sentenza della CTR afferma infatti che l’ufficio non ha proposto appello sull’effettiva ratio decidendi adottata dalla CTP, che aveva «annullato l’avviso di accertamento accogliendo l’eccezione di nullità sollevata dal contribuente che lamentava l’omessa instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale», specificando che si trattasse di «questione ben diversa dalla eccepita violazione degli artt. 32, d.P.R. n. 600 del 1973, e 51, d.P.R. n. 633 del 1972».
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’ar t. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., si deduce infatti la violazione de ll’art. 132 cod. proc. civ., per motivazione apparente della sentenza, evidenziando che quest’ultima sarebbe nulla perché per i tributi armonizzati l’obbligo del
contraddittorio postula la deduzione delle ragioni che la parte avrebbe fatto valere in sede di contraddittorio e l’esperimento da parte del giudice della cosiddetta prova di resistenza.
Esclusa preliminarmente la sussistenza di una motivazione apparente o comunque non rispettosa del cd. minimo costituzionale (Cass. Sez. U. 7/04/2014, n. 8053), in quanto la ratio decidendi è chiaramente percepibile, il motivo è inammissibile in quanto in realtà deduce non un vizio di motivazione ma un’errata interpretazione del principio del contraddittorio per i tributi armonizzati, ove la deduzione della sua violazione postula, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, la deduzione delle ragioni che la parte avrebbe fatto valere e l’esperimento, da parte del giudice, della cd. prova di resistenza; ma, come sopra già accennato, la CTR ha emesso una decisione di carattere sostanzialmente processuale, esplicitamente evidenziando che essa prescindeva dalla correttezza della soluzione della CTP.
Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo, con cui il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione degli artt. 12, commi 4 e 7, della legge n. 212 del 2000 e 2697 cod. civ., in quanto il contraddittorio preventivo è previsto esclusivamente nel caso di accertamenti presuntivi standardizzati mancando una clausola generale che lo preveda per i tributi non armonizzati mentre per i tributi armonizzati la deduzione della violazione dell’obbligo di contraddittorio è subordinata alla deduzione delle ragioni che il contribuente avrebbe in esso fatto valere.
Analoga infine è la decisione anche relativamente al terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., con cui si deduce la violazione dell’art. 32 e dell’art. 38, commi 4 e 5 , d.P.R. n. 600 del 1973; l’Agenzia assume che l’avviso di accertamento è stato fondato solo ed esclusivamente sulle risultanze delle indagini finanziarie e cioè sui versamenti e prelevamenti per i quali non erano
state fornite adeguate giustificazioni da parte del contribuente, richiamando gli allegati 2 e 3, mentre la ricostruzione del reddito in base agli elementi indici di capacità contributiva di cui all’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 è stata effettuata al solo fine di avvalorare le risultanze della rettifica basata sulle indagini bancarie; i giudici d’appello avrebbero quindi erroneamente asserito che l’ufficio in sede di gravame non avesse proposto alcuno specifico motivo di doglianza circa la violazione degli artt. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 d.P.R. n. 633 del 1972.
Anche per tale motivo valgono le medesime considerazioni di cui sopra; la ratio decidendi sopra descritta non è attinta neanche dal motivo in esame che pone questioni di merito; occorre appena precisare che laddove la censura, nell ‘u ltima parte del motivo, afferma che il giudice ha errato nel ritenere che l’ufficio non avesse proposto alcuno specifico motivo di doglianza circa la violazione degli articoli 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 d.P.R. n. 633 del 1972 ancora una volta non coglie la ratio decidendi della sentenza della CTR che anzi ha espressamente evidenziato che proprio la dedotta violazione degli articoli 32 e 51 non fosse idonea ad attingere la statuizione dei giudici di primo grado, che si fondava sulla violazione del generale obbligo di contraddittorio.
In questa chiave il richiamo operato dai giudici della CTR alla natura ibrida dell’accertamento appare meramente confermativo del principio applicato ma non direttamente rilevante a tal fine.
Concludendo, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Non vi è a provvedere sulle spese in ragione del mancato svolgimento di attività difensiva dell’intimato.
La soccombenza di una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, determina che non si applichi
l’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2024.