Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8035 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 8035 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
Oggetto:
riscossione imposte
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7924/2016 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso il difensore;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, presso lo studio della quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 4911/21/2015, depositata il 18 settembre 2015.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6 dicembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del secondo motivo.
uditi gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME in sostituzione dell’AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE) avverso la sentenza n. 306/41/13 della Commissione tributaria provinciale di Roma che ne aveva respinto il ricorso contro due distinti provvedimenti di accoglimento di richieste di rateazione del pagamento di imposte emessi da RAGIONE_SOCIALE e contestuale impugnazione dei titoli correlativi.
La CTR osservava in particolare:
-che non potevasi accogliere l’impugnazione, per difetto di notifica, delle cartelle afferenti i provvedimenti di rateazione impugnati, posto che le relative istanze ne dimostravano aliunde la conoscenza, sicchè anche l’eccezione di mancata allegazione di tali atti riscossivi doveva ritenersi infondata;
-che nessuna delle eccezioni relative alla validità del provvedimento di rateazione era fondata (allegazione delle cartelle esattoriali, interessi di mora, compensi di riscossione, calcolo degli interessi, piano di ammortamento, motivazione della dilazione);
-che neppure doveva considerarsi fondata la denunzia di violazione dell’art. 2, comma 20, decreto -legge 225/2010, in relazione ai termini delle dilazioni concesse
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo sette motivi poi illustrati con una memoria.
Resiste con controricorso l’agente della riscossione.
Il PG ha depositato una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 3-5, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione degli artt. 19, dPR 602/1973, 21, d.lgs 546/1992, 156, cod. proc. civ. e di vizio motivazionale, poiché la CTR ha negato la fondatezza del suo specifico motivo di gravame in ordine alla notifica delle cartelle afferenti al piano di rateazione impugnato.
La censura ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. è inammissibile, in quanto non proponibile ex art. 348 ter, cod. proc. civ. (“doppia conforme”).
La censura di violazione di legge è infondata.
Risulta invero del tutto giuridicamente corretta l’affermazione del giudice tributario di appello circa la conoscenza, equipollente a notifica, delle cartelle esattoriali oggetto del piano di rateazione impugnato.
Altrimenti non si vede come la relativa istanza si sarebbe potuta proporre, costituendo evidentemente strumento alternativo all’impugnazione di detti atti riscossivi per difetto di notificazione. Con il secondo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente propone censura per vizio motivazionale assoluto in relazione alla reiezione della sua eccezione (e motivo di appello) concernente gli interessi di mora e i compensi della riscossione. La censura è infondata.
basti ribadire che «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito
dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01).
La motivazione della sentenza impugnata non corrisponde affatto ai paradigmi invalidanti di cui al citato consolidato arresto giurisprudenziale, piuttosto contenendo una puntuale argomentazione circa le statuizioni assunte, ben oltre il “minimo costituzionale” (v. Sez. U, 8053/2014).
Con il terzo motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 4-5, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione degli artt. 115, cod. proc. civ., 36, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. ( recte , d.lgs 546/1992) e di vizio motivazionale, poiché la CTR ha rigettato la sua eccezione (e motivo di appello) riguardante il calcolo degli interessi.
Palesemente infondata è la censura di vizio motivazionale assoluto, per la stessa ragione indicata in relazione al mezzo precedente.
Nemmeno risulta fondato il profilo ex art. 115, cod. proc. civ., dovendosi ribadire che «In tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione» (Cass., n. 27000 del 27/12/2016, Rv. 642299 – 01) e che «Il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di
dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto» (Cass., n. 29730 del 29/12/2020, Rv. 660157 – 01).
In considerazione di tali consolidati principi di diritto non può certo considerarsi causa invalidante della sentenza impugnata la mancata considerazione di una perizia di parte.
Il profilo ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. è invece inammissibile in quanto non proponibile (art. 348 ter, cod. proc. civ., “doppia conforme”).
Con il quarto motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 3-4, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione degli artt. 31, dPR 602/1973, 12, secondo comma, preleggi e vizio motivazionale assoluto, poiché la CTR ha sancito la legittimità del calcolo del piano di ammortamento del debito rateizzato con il criterio c.d. “alla francese”.
La censura è infondata.
In ordine al denunciato vizio motivazionale non vi è che da ribadire quanto sopra in ordine alla sussistenza del medesimo, certamente non riscontrabile nella sentenza impugnata relativamente al punto decisionale de quo .
Peraltro risulta corretta la valutazione in diritto del giudice tributario di appello, posto appunto che non vi sono precise regole normative di calcolo del piano di ammortamento, non essendo tali, neppure analogicamente, le disposizioni legislative che la società contribuente evoca con il mezzo in esame.
In ogni caso va ribadito che « In tema di rateizzazione dei debiti fiscali, è legittima l’applicazione del cd. “metodo di ammortamento alla francese” – con rate costanti in ciascuna delle quali la quota capitale aumenta progressivamente, mentre la quota degli interessi progressivamente decresce – non ravvisandosi alcuna violazione del principio di trasparenza, giacché tale criterio è predeterminato attraverso la Direttiva Nazionale di RAGIONE_SOCIALE DSR/NC/2008/012 del 27 marzo 2008, che trova supporto normativo nell’art. 19, comma 1 ter, d.P.R. n. 602 del 1973, applicabile in via estensiva, per “eadem ratio”, a tutte le forme di rateizzazione fiscale» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 27823 del 02/10/2023, Rv. 669242 – 01).
Con il quinto motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3-5, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 7, 17, legge 212/2000 e vizio motivazionale, poiché la CTR ha affermato non necessaria la motivazione del provvedimento di dilazione impugnato trattandosi di atto adottato su richiesta della società contribuente medesima.
La censura è inammissibile e comunque infondata.
Il dedotto vizio motivazionale è improponibile, a causa della preclusione di cui all’art. 348 ter, cod. proc. civ. (“doppia conforme”).
Quanto alla violazione di legge profilata, come correttamente rilevato dalla controricorrente, la disposizione statutaria relativa all’obbligo di motivazione dell’agente della riscossione è l’art. 7, comma 2, legge 212/2000, la cui ottemperanza non risulta specificamente contestata dalla società contribuente.
In relazione alla (non)valorizzazione della consulenza contabile di parte si è già detto sopra.
Con il sesto motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 3-4, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione degli artt. 2, comma 20, decreto-legge 225/2010, 7, legge 212/2000 e di omessa pronuncia in violazione dell’art. 112, cod. proc. civ.,
poiché la CTR ha negato sussistere la denunciata violazione di legge.
La censura è inammissibile per difetto di specificità.
Trattasi invero di generiche deduzioni in ordine alla illegittimità della sentenza impugnata sul punto decisionale de quo , con vaghi riferimenti alle norme disciplinanti la motivazione degli atti riscossivi, sostanzialmente mirate a chiedere a questa Corte un sindacato sul merito della decisione di appello, dunque al di fuori del perimetro del giudizio di legittimità.
In ogni caso risulta evidente l’infondatezza del denunciato vizio di attività processuale, avendo la Corte territoriale emesso una puntuale statuizione in ordine all’invocata applicabilità dell’art. 2, comma 20, decreto-legge 225/2010.
Con il settimo motivo -ex art. 360, primo comma, nn. 4-3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia con violazione dell’art. 112, cod. proc. civ. e la violazione/falsa applicazione degli artt. 12, comma 4, dPR 602/1973, 21-septies, legge 241/1990, poiché la CTR non ha accolto le sue eccezioni di invalidità dei titoli correlati alle dilazioni di pagamento impugnate ed in particolare in ordine alla sottoscrizione dei ruoli.
La censura è inammissibile e comunque infondata.
Anzitutto il mezzo difetta di autosufficienza, non essendo trascritta compiutamente la parte del ricorso in appello al quale di riferisce il punto decisionale in esame.
Peraltro, con particolare riguardo alla sottoscrizione del ruolo non vi è che da ribadire che «In tema di requisiti formali del ruolo d’imposta, l’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973 non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi della sua omessa sottoscrizione, sicché non può che operare la presunzione AVV_NOTAIO di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente, che non può limitarsi ad una generica contestazione dell’esistenza del potere o della provenienza
dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni. D’altronde, la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, comporta l’applicazione del AVV_NOTAIO principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi dell’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990» (Sez. 5 – , Sentenza n. 27561 del 30/10/2018, Rv. 651066 – 03; conf. Sez. 5 – , Ordinanza n. 19405 del 08/07/2021, Rv. 661660 – 01).
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 10.500 per onorari, euro 200 per esborsi oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Cosi deciso in Roma 6 dicembre 2023
Il presidente
Il consigliere est.